Una maschera color del cielo è un romanzo palestinese pubblicato dalla casa editrice libanese Dar Al-Adab nel 2023. Il 28 aprile 2024 ha vinto il Premio internazionale di narrativa araba, che è stato ritirato dall’editore poiché l’autore Bassem Khandaqji si trova in carcere dal 2004. Il romanzo ruota intorno a Nur, un archeologo palestinese che vive in un campo profughi a Ramallah. Un giorno, nella tasca di un vecchio cappotto trova la carta d’identità israeliana di un certo Ur. Nur decide di mettersi la maschera dell’occupante e di diventare Ur. Con la sua nuova identità si unisce a una campagna di scavi in Cisgior-dania e dà inizio a una stratificata narrazione. Nur sta anche scrivendo un romanzo storico su Maria Maddalena e grazie al suo aspetto europeo e alla sua naturalezza nel parlare l’ebraico non ha problemi a passare per israeliano. Il dialogo interiore tra Nur e il suo alter ego sionista Ur ci svela la vera trama del racconto: la profonda crisi d’identità del protagonista che rifiuta di accettare la condizione di rifugiato palestinese ma allo stesso tempo non può accettare neanche la finta identità del suo storico oppressore. Il romanzo è diviso in tre parti: le ricerche del protagonista su Maria Maddalena e le due vite distinte di Nur e Ur, e si sposta tra ambienti palestinesi e del nemico occupante. È un lavoro in cui le parole trascendono i confini e uniscono i cuori e le menti in un meraviglioso intreccio.
Riyadh Review of Books
Ultimamente siamo stati inondati da così tanti attacchi razzisti e xenofobi che una piccola fantasia di vendetta potrebbe non farci male. Nel suo ultimo romanzo satirico, Adam Mansbach se la prende con i suprematisti bianchi che ci hanno regalato Charlottesville, le torce accese e le bandane usate come maschere. Il Golem di Brooklyn fa rivivere nell’era di TikTok l’antica leggenda ebraica del golem, il gigante d’argilla che prende vita durante le calamità e che secondo la tradizione può essere evocato con un mistico rituale rabbinico. Len Bronstein però è solo un insegnante d’arte delle scuole superiori un po’ fattone che poco per volta ha rubato dai magazzini scolastici una gran quantità di creta. Dopo aver modellato un immenso golem, un po’ imperfetto e zoppicante, si accorge con terrore che la sua creatura prende vita. A differenza del golem però Len non parla yiddish e prima di correre a cercare un interprete piazza la creatura davanti alla tv, e quella impara l’inglese dal comico Larry David. A quel punto Len, Miri (la figlia ribelle di una famiglia hasidica) e il golem partono per un viaggio attraverso gli Stati Uniti diretti a una manifestazione antisemita chiamata “Salviamo il futuro della nostra storia”. Per fare cosa, esattamente? Non lo sanno bene. Come il loro suv cigola sotto il peso della gigantesca creatura d’argilla, così il romanzo sobbalza da un colpo di scena all’altro. E non mancano le pause in cui si raccontano episodi dell’antica storia ebraica.
James Sullivan, The Boston Globe
Questo tenero inno alla maternità e al senso di comunità racconta come l’esilio spogli la gente delle loro tradizioni e della loro identità. Nata in Ruanda nel 1956, Mukasonga ha vissuto direttamente il conflitto etnico che ha infuriato nel suo paese. Nel 1960 la sua famiglia tutsi è stata esiliata in una terra brulla al confine con il Burundi. Mukasonga rende omaggio a sua madre Stefania e a tutte le donne che nel campo profughi “ci nutrivano, ci proteggevano, ci consigliavano e ci consolavano”. L’autrice ricorda i rituali che avevano dato forma alla sua infanzia e avevano tenuto insieme la famiglia. I matrimoni, la fermentazione della birra di sorgo, il pane dato come premio e le donne che amavano fumare la pipa sono tutti dettagli che Mukasonga tratteggia con destrezza. Ma in tutto questo il pericolo della violenza hutu era sempre dietro l’angolo. La donna dai piedi nudi è un tributo a una straordinaria “madre coraggio” ma anche un ammonimento sulle devastazioni che tutte le guerre portano con sé.
Lucy Popescu, The Guardian
Un’oscurità (che può essere chiamata depressione, ansia o in qualunque altro modo imperfetto) prende forma in questo tagliente secondo romanzo di Sarah Rose Etter. Cassie ha 33 anni e lavora per un’azienda della Silicon valley. Per tutta la vita si è sentita sull’orlo di un buco nero che si espande o si restringe, si allontana o si avvicina a seconda dei suoi stati d’animo e delle sue attività. Su tutta la sua storia aleggia una domanda: cosa succede dall’altra parte di questa oscurità? E qual è il prezzo da pagare per scoprirlo? Le condizioni di Cassie rispecchiano quelle dell’America di oggi: è scappata dalla sua città agonizzante sulla costa est, è andata all’università, ha avuto dei lavori decenti, si è trasferita a San Francisco per “giocarsi la sua partita”, come le dice il padre. Vive in un appartamento che le costa tremila dollari al mese e lavora come copy in una startup valutata 16 miliardi di dollari. Ma sotto la superficie del successo scorre “un assordante fiume di malinconia”. Il suo ambiente di lavoro è velenoso e i suoi capi la maltrattano, si riempie di farmaci e a San Francisco riesce a malapena a sopravvivere. La prosa squisita di Etter dà grande slancio a un libro che potrebbe sembrare ripetitivo. Abbracciare le tenebre può essere l’unico modo per superarle.
Alexandra Chang, The New York Times
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati