Conoscete il nome del primo ministro bulgaro? Sono sicuro di no. Ma non preoccupatevi: nemmeno la maggior parte dei bulgari lo conosce. E come potrebbero? In soli tre anni la Bulgaria ha affrontato sei elezioni legislative. Per quattro volte il parlamento neoeletto non è riuscito a formare un governo. Nei due casi in cui ci è riuscito, l’esecutivo è durato meno di un anno, evidenziando tutti i difetti di un matrimonio combinato.

Il 27 ottobre i bulgari torneranno a votare. C’è il 50 per cento di possibilità che stavolta si riesca a eleggere un governo. Fin qui, tra gli effetti di questa versione bulgara di long covid politico, possiamo includere una modesta crescita economica, una bassa affluenza alle urne in costante diminuzione (a ottobre dovrebbe attestarsi attorno al 30 per cento), un eccessivo cinismo politico, la proliferazione di nuovi partiti di protesta, una burocrazia paralizzata, la marginalizzazione della Bulgaria nella politica europea. Per quanto deprimente possa apparire la situazione, però, uno dei motivi per cui non avete sentito parlare del premier bulgaro è che, finora, il paese è riuscito a tenere l’estrema destra fuori del governo, a differenza dell’Ungheria e della Slovacchia.

Gli stati gestiti da governi di breve durata o tecnici con voti sufficienti per sopravvivere, ma senza il sostegno per governare sul serio sono la nuova tendenza nel continente

Quindi quello della Bulgaria è un successo o un fallimento? Il paese non è un inferno populista, quanto piuttosto una democrazia congelata. Il sospetto è che i partiti non riescano a governare perché non vogliono farlo. Per i loro elettori è più importante essere chiari sui soggetti con cui non collaboreranno anziché sui risultati che si potrebbero ottenere. Dunque, la questione irrisolta della politica bulgara è chi governa davvero il paese. Potrebbe essere liquidato come una sorta di fenomeno esotico, se non fosse che è contagioso.

Quelle che potremmo definire democrazie impantanate, gestite da governi di breve durata o tecnici con voti sufficienti a sopravvivere per un po’, ma senza il sostegno necessario a fare sul serio, sono la nuova tendenza in Europa. Il governo francese guidato da Michel Barnier, per esempio, è tra questi. Un altro potrebbe emergere dalle elezioni federali tedesche del 2025. In entrambi i casi la paura dei governi repressivi di destra rischia di portare al potere squallidi esecutivi centristi.

Un decennio fa il politologo Moisés Naím osservava che “il potere non ha più lo stesso valore di un tempo. Si conquista più facilmente, è più difficile da esercitare e si perde con più facilità”. Naím temeva che i governi democratici stessero scivolando verso l’impotenza. Considerata l’ascesa di leader autoritari, di recente ha rivisto la sua tesi. Le democrazie paralizzate però non sono scomparse.

Mentre la maggior parte dei commentatori politici si concentra sul successo dell’estrema destra, le democrazie europee potrebbero essere più minacciate dall’eccessiva frammentazione dei partiti che dalla polarizzazione di tipo statunitense. La storia della Bulgaria non è quella di un paese diviso sui valori. Si tratta piuttosto di una società lacerata dalla sfiducia. Le linee che dividono i partiti politici sono talmente numerose e la paura del compromesso talmente grande che i politici si convincono di poter essere premiati alle urne per quello che non fanno invece che per quello che fanno.

L’ascesa della destra populista molto spesso si traduce in un aumento dell’affluenza alle elezioni e in un rinnovato interesse per la politica, com’è successo in Polonia, in Turchia o negli Stati Uniti. Una frammentazione come quella che vediamo attualmente in Bulgaria, invece, porta dritta al disincanto. Il maggioritarismo autoritario, le elezioni contestate e le istituzioni pubbliche occupate dal partito al potere sono i principali risultati della polarizzazione estrema.

Ogni cambio di governo in una democrazia del genere è una forma di cambio di regime. E il risultato principale del cocktail letale di polarizzazione e frammentazione danneggia la democrazia.

Dall’esterno, la “malattia bulgara” potrebbe quindi essere vista come il male minore rispetto alla presenza dell’estrema destra al governo, perché crea l’illusione che tutto sommato il centro regga ancora. Ma questo giudizio dovrà essere rivisto. La società civile saprebbe cosa fare se vincesse un partito come il polacco Diritto e giustizia. È meno evidente cosa fare quando nessuno conosce il nome del primo ministro (a proposito, si chiama Dimităr Glavčev) e non ha motivo d’impararlo.

Alla richiesta di definire la pornografia, un giudice statunitense una volta ha dato questa celebre risposta: “Quando la vedo sono in grado di riconoscerla”. Oggi l’Europa ha il problema opposto. Se è facile definire l’autoritarismo, potrebbe essere molto più difficile individuare il lento declino della democrazia, soprattutto se avviene sotto i nostri occhi. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati