La guerra è a pochi passi da noi. Sentiamo il suo fiato sul collo. Si fa beffe di noi con il rombo dei droni e il suono tonante degli aerei. Si autoinvita a Beirut dopo aver sequestrato per quasi un anno il sud del paese. Dove si fermerà? Cosa porterà via al suo passaggio?

Per qualche ora, qualche giorno, forse qualche settimana, nessuno lo sa, abbiamo ancora il lusso di poterci fare queste domande. Israele sembra determinato ad andare fino in fondo. A bombardare il sud del Libano con un’intensità paragonabile a quella messa in campo a Gaza. Per preparare una vasta offensiva o per mettere in ginocchio Hezbollah? I due obiettivi non sono incompatibili.

I leader politici libanesi devono smetterla di essere spettatori della catastrofe. Devono unirsi per chiedere a Hezbollah, senza umiliarlo, di mettere fine al conflitto con Israele

Per quanto tempo il partito-milizia sciita potrà lasciar correre senza reagire? Se si è convinto che lo scontro totale è ormai inevitabile, non prenderà forse l’iniziativa? Nella notte tra il 21 e il 22 settembre Hezbollah ha lanciato tre raffiche di razzi sulla regione di Haifa, nel nord di Israele. Secondo l’esercito israeliano i razzi sono stati quasi tutti intercettati. La morsa si sta stringendo. Le prossime ore si annunciano lunghe, estenuanti e dolorose.

Questa guerra ci mette di fronte a un’equazione impossibile. Non possiamo dimenticare improvvisamente cos’è Hezbollah. Non possiamo confonderlo, come fa il governo israeliano, con il Libano, anche se ne è una parte, che piaccia o no.

Non possiamo far finta che non sia stato Hezbollah ad aprire un fronte di sostegno a Gaza l’8 ottobre scorso, rendendo il Libano un ostaggio dei calcoli dell’asse iraniano. Non possiamo chiudere gli occhi su tutti i colpi di mano, su tutte le volte che Hassan Nasrallah, segretario del partito sciita, ha minacciato di scatenare una guerra civile, sul suo presunto coinvolgimento in una serie di omicidi. Per non parlare del suo probabile ruolo nell’importazione e nello stoccaggio del nitrato d’ammonio esploso al porto di Beirut il 4 agosto 2020. E non possiamo nemmeno dimenticare che la sorte dei civili è stata l’ultima delle sue preoccupazioni quando commetteva i peggiori crimini di guerra per permettere al suo alleato siriano Bashar al Assad di sopravvivere.

Ma dall’altra parte abbiamo Israele, che ha distrutto Gaza, uccidendo decine di migliaia di palestinesi, che occupa la Cisgiordania e che promette la stessa sorte al Libano. Si può condannare Hezbollah, ma saranno tutti i libanesi, senza distinzioni, a essere uccisi dall’esercito israeliano. E sarà il Libano a essere distrutto se Hezbollah sarà sconfitto.

Hezbollah divora il Libano dall’interno. Israele promette di annientarlo dall’esterno. Sono entrambe minacce alla sua esistenza, ma non sono della stessa natura. Non ha senso metterle sullo stesso piano, tanto meno in tempo di guerra. Rifondare il Libano con Hezbollah sembrava illusorio. Riuscirci con la metà del paese in rovina è impossibile.

Fin dall’inizio di questa guerra il paese manca di una voce, soprattutto sulla scena politica, che gli permetta di risolvere questa equazione. Fin dall’inizio sarebbe stato necessario opporsi all’apertura di questo fronte di sostegno, che non serve né gli interessi del Libano né quelli dei palestinesi. Ma sarebbe stato necessario farlo in una logica di apertura e nella comprensione di quello che sta succedendo nella regione.

Il Libano non può ritenersi estraneo alla guerra di Gaza, non può pensare che un conflitto con una tale potenza simbolica in corso in un paese vicino non abbia alcuna ripercussione su di sé. Il 7 ottobre ha provocato un’ondata di radicalizzazione in tutta la regione. I destini del Libano, della Palestina e della Siria, che un tempo costituivano il cuore del Levante, sono profondamente interconnessi. Questo non significa che bisognava bombardare il nord d’Israele per compiacere l’Iran, ma che bisognava ragionare collettivamente sul ruolo che tutto il paese, e non Hezbollah, avrebbe dovuto giocare in questa situazione. Per questo ormai è troppo tardi. Ma per evitare la guerra totale forse c’è ancora un briciolo di speranza.

I leader politici libanesi devono smetterla di essere spettatori della catastrofe senza muovere un dito per scongiurarla. Devono unirsi per chiedere a Hezbollah di mettere fine a questa guerra, senza però cercare di umiliare il movimento. Questo non basterà a convincere il partito-milizia, che prende ordini solo da Teheran, ma mostrerà che le autorità libanesi hanno fatto di tutto per evitare il peggio.

D’altra parte, è ora che le potenze occidentali usino la loro influenza per costringere Israele a rinunciare a questa escalation che ci porterebbe dritti verso il precipizio. Sembrano soddisfatte dall’indebolimento di Hezbollah, che considerano un movimento terrorista. Ma in caso di guerra totale il prezzo da pagare sarà molto pesante. Per il Libano. Per Israele. E per l’intera regione. La situazione è grave. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati