Cultura Suoni
Nobody loves you more
Kim Deal (Alex Da Corte)

Mentre i suoi ex colleghi dei Pixies sono sempre stati produttivi, Kim Deal preferisce un approccio più lento, che giustifica il suo perfezionismo. Questo primo album solista ha richiesto dodici anni di lavoro. In realtà lei scrive continuamente ma per una canzone che ascoltiamo ce n’è una decina che finisce nel cestino. Critica verso l’evoluzione dell’industria musicale ai tempi di internet, si è costruita uno studio di registrazione nella sua casa a Dayton, in Ohio. Nobody loves you more è il suo lavoro più autobiografico, legato profondamente alla morte dei suoi genitori. Queste canzoni parlano di lotta, di trauma e perdita, ma nonostante tutto non sono deprimenti, anzi affermano un’energia vitale in cui la gioia e la disperazione, l’amore e il lutto sono inseparabili. Tra felicità e tristezza, i brani del disco sono tinti di chiaroscuri. Deal sembra dirci che la vita è breve e difficile, ma i momenti belli la rendono preziosa. Specialmente se ci porta un’opera sublime come questa.
Stevie Chick, Mojo

From zero
Linkin Park (James Minchin III)

“Da zero?”, si chiede la nuova cantante dei Linkin Park, Emily Armstrong, nei secondi iniziali dell’ottavo album della band, From zero. La domanda non è solo un’allusione al nome originale dei Linkin Park dal 1996 al 1999, Xero, ma un riconoscimento dell’elefante nella stanza: il suicidio del cantante Chester Bennington nel 2017, che ha portato la band a riorganizzarsi. I Linkin Park abbracciano l’inevitabilità del cambiamento. È sconcertante, quindi, che passino gran parte del tempo a rivivere il passato. From zero scimmiotta lo stile dei primi tre album senza avere lo stesso impatto. La furia angosciata di Hybrid theory (in Two faced), gli inni carichi di ritornelli di Meteora (in The emptiness machine) e le inclinazioni alt-rock di Minutes to midnight (in Cut the bridge, una clamorosa imitazione di Bleed it out) non sono solo punti di riferimento, sono il fondamento della musica. Non è per forza una cosa negativa: un ritorno alle origini sarebbe più tollerabile del pop e della pesantezza elettronica che hanno tormentato le ultime uscite dei Linkin Park, ma nessuna di queste canzoni può reggere il confronto con In the end o Breaking the habit. A causa della natura tossica e misogina della reazione che il gruppo ha dovuto affrontare per aver sostituito Bennington con Armstrong, molti daranno la colpa delle carenze dell’album alla nuova cantante. In realtà la sua performance è la cosa migliore che From zero ha da offrire. Ma è un peccato che sia costretta a fare del suo meglio in mezzo a un karaoke dei Linkin Park.
Paul Attard, Slant

Brahms, Schubert

Il pianista francese Alexandre Kantorow completa con questo cd la sua rassegna delle sonate per pianoforte di Brahms. La terza sonata è movimentata, forse troppo. E Kantorow accetta questa sregolatezza invece di cercare di domarla, sfruttando la sua tecnica virtuosistica e la sua gamma dinamica sorprendentemente ampia per spremere ogni goccia di tumulto dalla musica. Eppure l’esecuzione non è mai eccessiva: il modo di suonare di Kantorow può essere torrenziale ma non è mai spericolato; il suo suono può essere pieno ma il suo modo di suonare è spesso intriso di delicatezza; e grazie alla sua straordinaria capacità di bilanciare le linee interne, il pianista riesce a districare i passaggi più densi di Brahms. Può essere ritmicamente acuto ma non è mai inflessibile (anzi, il suo rubato è spesso estremo). La stessa volatilità caratterizza il resto del programma. Dal terrificante crescendo con cui comincia la sua lettura di Der Wanderer di Schubert nella trascrizione di Liszt fino al finale selvaggio della fantasia Wanderer, questo è un recital elettrizzante. Il dramma è accentuato dal contrasto più che dall’esagerazione: Frühlingsglaube è insolitamente gentile e l’adagio della Wanderer comincia con un torpore esausto. Anche senza la straordinaria qualità di suono della Bis, questo sarebbe un album eccezionale.
Peter J. Rabinowitz, Gramophone

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1590 - 22 novembre 2024

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