Il chitarrista Jeff Parker ha costruito la sua reputazione a Chicago con i Tortoise, gli Isotope 217 e il Chicago Underground Trio. Dal 2016, però, fa base a Los Angeles. Insieme alla sua band, Eta IVtet (composta dal sassofonista contralto Josh Johnson, dalla bassista di origine australiana Anna Butterss e dal richiestissimo batterista Jay Bellerose), si è esibito ogni lunedì al club Eta, ormai chiuso, dove il 2 gennaio 2023 è stato registrato questo album. Sia Johnson sia Parker usano pedali per gli effetti e The way out of easy rimane fedele a questa formula. Bellerose e Butterss stendono un groove semplice e ripetitivo nel brano di apertura, Freakadelic, versione estesa di un pezzo apparso sul disco di Parker Bright light in winter. Johnson entra per primo, prima che Parker arrivi con il suo approccio minimalista, fluttuando sopra il tandem basso-batteria. Come molti brani di Parker, anche questo mescola il jazz con elementi rnb, blues e psichedelia. Il pezzo di punta, Late autumn, è sognante e ultraterreno, simile a una trance; Easy way out si spinge ancora di più nell’etere, mentre il finale vede il quartetto decelerare ed evaporare nel ritmo dub di Chrome dome, mentre gli scambi tra Johnson e Parker si fanno sempre più taglienti. Questi quattro brani sono l’equivalente musicale di una doccia fresca. L’ascoltatore ne esce rigenerato.
Jim Hynes, Glide Magazine
Father John Misty, nome d’arte di Josh Tillman, è un commentatore sociale fulminante, che fa insinuazioni ironiche sulla vita moderna, spesso raffigurata in proporzioni da luna park. Ogni tanto, però, gli piace fare il clown dentro questo mondo. Il Tillman satirico e il Tillman gonzo sono entrambi rappresentati in Mahashmashana, e spesso lui sembra intenzionato a riconciliare le due metà. A volte ci riesce, come nel brano Josh Tillman and the accidental dose, in cui prende in giro sia se stesso sia i “fascisti taciti” che incontra. Il cantautore dimostra di essere divertente anche quando affronta i demoni. Altrove, però, Tillman sembra perso nella sua testa, snocciolando versi obliqui difficili da analizzare. La traccia di apertura è una sgargiante canzone funebre che può essere descritta come “Phil Spector va a Las Vegas”, ma forse è troppo ricca di stimoli. A Mahashmashana manca la coerenza tematica dei migliori lavori di Father John Misty, ma è in parte un ritorno alla forma migliore del cantautore statunitense.
Jeremy Winograd, Slant
Registrato nel giugno 2022, questo disco di Schubert documenta l’ultima visita di Maurizio Pollini allo studio di registrazione. Il pianista affronta il primo movimento della sonata in sol maggiore con impazienza: a volte il suo fraseggio è affrettato e gli capita di mangiarsi i finali di alcune battute. È così in tutti e quattro i movimenti. Certo, non ha problemi a suonare le note, ma la sua esecuzione è priva di fascino e suggerisce poco del lirismo sfrenato della musica. Al contrario, suo figlio Daniele ha un controllo ritmico impeccabile nei Moments musicaux, anche se non ha il tocco perlato di Radu Lupu, Maria João Pires o Clifford Curzon. Padre e figlio uniscono le forze nella fantasia in fa minore per pianoforte a quattro mani. All’inizio l’ho ascoltata senza sapere chi suonava il primo e chi il secondo. Nel Largo ho notato i ritmi puntati incisivi del primo e i suoi trilli accuratissimi, e un secondo meno assertivo. Era Daniele che si prendeva cura degli acuti, con Pollini padre al basso. L’Allegro vivace vede i due pianisti in perfetto equilibrio, ma nel Finale sono troppo rumorosi e lasciano straripare i climax prima che il tema principale ritorni nella coda. Nel complesso, è un ricordo agrodolce di un grande pianista.
Jed Distler, ClassicsToday
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