Durante l’estate dei suoi 16 anni, Alexis è salvato dall’annegamento da un altro adolescente, David, più agguerrito di lui in ogni cosa. Per un po’ di giorni diventano inseparabili, improvvisamente e appassionatamente innamorati. Il fatto che siano due ragazzi non è il punto del film (né del libro di Aidan Chambers da cui è tratto). Questa disinvoltura, anche più sensazionale nella Francia di qualche decennio fa, inscrive il racconto in una realtà incerta, dove immaginazioni e fantasmi si presentano senza essere stati invitati. Alexis, il protagonista, è anche quello che racconta la storia, gestendo la suspense come vuole lui. La memoria frammentata del narratore può stimolare riflessioni su come François Ozon ama raccontare le storie. Ma senza esagerare, perché qui i personaggi, nel pieno dell’età delle prime volte, contano più di ogni altra cosa. Estate 85 ripercorre un implacabile percorso di formazione, dove l’eroe impara a sue spese che l’oggetto del suo desiderio è frutto della sua fantasia, e dove la noia, mostro inatteso, colpisce al cuore il romanticismo. “La cosa più importante è sfuggire alla propria storia”, sentiamo dire a un certo punto. Questa frase misteriosa si adatta a perfezione sia al film sia al regista, che non sono mai dove pensiamo che siano. Louis Guichard, Télérama
Francia 2019, 101’. In sala

Stati Uniti / Canada 2020, 77’. Mubi

La shiva, la settimana di lutto nell’ebraismo in cui ci si riunisce con parenti e amici, è intrinsecamente imbarazzante. Si piangono parenti appena morti, ma è comunque un’occasione sociale. Tra preghiere e condoglianze, si chiacchiera con persone che non s’incontrano spesso e che in alcuni casi non si vorrebbero proprio incontrare. Shiva baby si svolge quasi tutto, quasi in tempo reale, in una di queste occasioni, ed Emma Seligman s’immerge con gioia nell’imbarazzo. Danielle (Rachel Sennott) si è persa sulla soglia dell’età adulta e non è sicura di quale direzione voglia prendere. Durante la shiva la sua condizione è amplificata dal fatto che tutti offrono consigli e, più o meno consapevolmente, la giudicano. La sua ex è lì e a un certo punto arriva anche il suo amante, più maturo, che lei scopre essere fresco padre di famiglia. Per Danielle, intrappolata in casa da persone e convenzioni, la giornata diventa un incubo. Non autobiografico ma quasi, il film di Seligman suona autentico anche quando gioca con i generi. Nell’occhio del ciclone per tutto il tempo, Sennott è una rivelazione. Insomma Shiva baby è la perfetta dimostrazione di quello che si può fare con un budget ridotto e tanto talento. Alex Godfrey, Empire
Stati Uniti / Canada 2020, 90’. In sala
La depravazione ha mai avuto un volto dolce come quello di Sarah Paulson? Nel thriller un po’ artificioso di Aneesh Chaganty, Paulson (Ratched) interpreta Diane, crocerossina forzata che accudisce un’unica paziente: la figlia adolescente Chloe (l’ottima Kiera Allen, al debutto, che come il suo personaggio è costretta sulla sedia a rotelle). Bimba prematura a malapena sopravvissuta al parto e con una lunga lista di malattie croniche che vanno dall’asma al diabete, Chloe è riuscita a diventare comunque un’adolescente che sembra abbastanza felice e sana di mente. A 17 anni, Chloe ha una routine consolidata: lezioni scolastiche condotte da casa, chiacchiere con la madre durante i pasti, ogni tanto un film in città. Ma come mai Diane si chiude in cantina a bere vino e vedere vecchi classici con un inquietante sorriso sulle labbra? Perché tiene sotto chiave l’unico computer con la connessione a internet? E come mai Chloe non riceve risposte dai college a cui ha fatto domanda? Un banale incidente con un nuovo farmaco comincia a far nascere dei sospetti in Chloe. Il film di Chaganty si attiene fedelmente a un modello piuttosto logoro, lasciando alle attrici il compito di portare avanti una storia poco più che tratteggiata. La naturalezza della giovane Allen crea un contrasto piacevole con la tendenza al dramma di Paulson. Sono loro due a evitare il disastro quando il film comincia inevitabilmente a mostrare tutte le sue forzature. Leah Greenblatt, Entertainment Weekly