◆ I vincitori, dopo le ultime elezioni, invocano all’unisono, come una cantilena ipnotica: partecipazione. È un buon segno ma non basta. Pd, cinquestelle, azionisti calendiani e altre schiere hanno conquistato comuni piccoli e grandi, è vero, ma sono rocche parecchio malconce, sia economicamente sia eticamente, e se si mette il piede in fallo si finisce giù dagli spalti nei letamai di sempre. Tanto più che i trionfatori sembrano tutt’altro che pronti a sfuggire ai veleni dei loro stessi amici e sostenitori. Né paiono addestrati a evitare i ni e a dire sì quando è un giusto sì e no quando è un giusto no. Soprattutto si sbagliano, se credono di potercela fare contando, di fatto, su quattro gatti barricati coi pallottolieri nelle stanze delle decisioni. Competenza ed efficienza non bastano. In cima ai loro pensieri i vincitori farebbero bene a mettere subito l’esercito di non votanti che li detesta quanto detesta i momentaneamente sconfitti. Mai la qualità immediata dei governi locali di sinistra ha avuto tanto peso. Perciò la partecipazione non va cantilenata, ma organizzata. Occorre stimolare il confronto innanzitutto con i cittadini più spietatamente critici, più appassionatamente rompiscatole. Se non si riesce a trasformare in presenti gli assenti, i trionfatori di oggi porteranno la responsabilità della sconfitta elettorale alle elezioni politiche di domani.
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Questo articolo è uscito sul numero 1432 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati