Editoriali

Una via di scampo per gli ucraini

Lo spettacolo insopportabile della tragedia che colpisce gli ucraini ha provocato una forte ondata di solidarietà in Europa. Le manifestazioni, le raccolte di prodotti di prima necessità e l’accoglienza di centinaia di migliaia di profughi sono la prova del lodevole impegno della società civile europea. Ma se l’offensiva russa non si ferma, la priorità è permettere ai civili di lasciare le zone di guerra.

Il presidente russo Vladimir Putin non rispetta il diritto umanitario più di quanto rispetti il diritto internazionale nel suo insieme. I cessate il fuoco negoziati per consentire ai civili di fuggire dalla città portuale di Mariupol sono stati violati più volte. I bombardamenti sono ripresi mentre la gente cercava di andarsene, prendendo di mira i punti di raccolta e distruggendo gli autobus che dovevano essere usati per l’evacuazione. In seguito la Russia ha annunciato un altro cessate il fuoco per portare via i civili da Kiev, Charkiv, Mariupol e Sumy. I corridoi umanitari però conducevano solo verso la Russia e la Bielorussia: per gli ucraini quindi la scelta era tra rimanere sotto le bombe o rifugiarsi in territorio nemico.

La violenza sempre più cieca che si abbatte sull’Ucraina ricorda le atrocità commesse da Mosca nelle due guerre in Cecenia, che provocarono la distruzione totale delle capitale Groznyj, e durante l’assedio di Aleppo nel 2016, quando l’aviazione russa non ha esitato a bombardare gli ospedali. Per raggiungere i suoi obiettivi in Ucraina, Putin mostra tutto il suo disprezzo per la vita umana, che si tratti di quella dei civili o di quella delle truppe russe. Ora che la resistenza ucraina ha vanificato le sue speranze di una guerra lampo, si è impegnato in una guerra totale, di cui i civili sono le prime vittime. Neanche le centrali nucleari sembrano al sicuro.

Alla distruzione, alle stragi, all’esodo (quasi due milioni di persone sono già scappate) rischia ora di aggiungersi un’enorme catastrofe umanitaria. ◆ ff

Il fardello delle lavoratrici

Uno degli effetti più insidiosi e duraturi della pandemia saranno le sue conseguenze sulle disuguaglianze. I giovani, i poveri e i lavoratori essenziali hanno dovuto affrontare un peso maggiore rispetto agli altri. Allo stesso modo, con la chiusura delle scuole molte lavoratrici si sono assunte la responsabilità dell’istruzione dei figli, e le loro carriere ne hanno risentito.

Da tempo le donne devono affrontare una disparità salariale legata alle cure parentali. Dato che gli uomini sono meno soggetti all’aspettativa secondo cui dovrebbero prendersi una pausa dal lavoro dopo la nascita di un figlio, le loro compagne che restano a casa perdono spesso l’opportunità di ottenere promozioni e aumenti. Il passaggio al lavoro da remoto ha probabilmente peggiorato le cose. Gli studi hanno dimostrato che le madri dedicavano costantemente più tempo alla cura dei bambini rispetto ai padri. Anche lontano dall’ufficio, il concetto del “maschio capofamiglia” che porta il pane a casa è rimasto dominante.

Il lavoro ibrido può consentire una più equa divisione dei compiti, ma senza uno sforzo da parte delle aziende (e dei padri) il divario di genere potrebbe perfino aumentare. Le persone che lavorano a distanza, infatti, potrebbero avere meno occasioni di fare rapidamente carriera. Se gli uomini hanno più possibilità di tornare in ufficio, potrebbero essere gli unici ad approfittare delle occasioni che derivano dalla presenza.

Le aziende e gli individui possono contribuire a ridurre questo effetto. Adottare il lavoro flessibile per tutti invece di renderlo opzionale ridurrebbe le disparità; i dirigenti dovrebbero usare criteri oggettivi per valutare il rendimento dei dipendenti; le coppie dovrebbero ridiscutere la condivisione dei compiti. Ma le iniziative private servono fino a un certo punto. Rendere più accessibile l’assistenza all’infanzia dovrebbe essere una priorità. Condividere il congedo parentale è determinante per aumentare l’uguaglianza, ma non tutti i datori di lavoro offrono questa possibilità. Alcuni si limitano a concedere ai padri una o due settimane.

Ora che il mondo emerge dalla pandemia, bisogna fare in modo che il costo dell’assistenza non gravi solo sulle donne. ◆ as

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1451 - 11 marzo 2022
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