Editoriali

Non abbandoniamo le afgane

Vent’anni fa, quando i diritti delle donne erano usati per giustificare l’invasione dell’Afghanistan, le fotografie dei burqa blu erano l’immagine simbolo della vita sotto il regime dei taliban. Ora i taliban hanno nuovamente ordinato alle donne di coprire il volto in pubblico. Le afgane hanno protestato, ma stavolta non c’è stata nessuna reazione internazionale. È vero che l’Ucraina sta monopolizzando l’attenzione di tutti, ma questa indifferenza è dovuta anche al fatto che gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali vogliono lasciarsi alle spalle il fallimento in Afghanistan, e che al di là della retorica i diritti delle donne hanno scarsa priorità.

Anche se i taliban sostengono che l’uso del burqa sia una questione di tradizioni, solo nelle aree rurali più conservatrici è così. Per il resto delle afgane si tratta di un’imposizione estranea e sgradita. In ogni caso per loro il vero problema non è tanto l’obbligo di coprire il volto, ma il fatto che questo è solo l’ultimo tentativo di impedirgli di lavorare e partecipare alla vita pubblica, e di affidare agli uomini il controllo sul loro corpo. Le autorità hanno anche suggerito che dovrebbero restare in casa il più possibile. Le donne non possono nemmeno decidere autonomamente quali rischi correre, perché sono i loro guardiani maschi a rischiare di essere multati, arrestati o licenziati.

La repressione crescente ha spazzato via la pretesa secondo cui i taliban sarebbero cambiati rispetto all’ultima volta in cui governarono l’Afghanistan. Il fatto che i taliban non abbiano rispettato l’impegno di permettere alle ragazze più grandi di studiare in tutto il paese ha evidenziato una spaccatura interna. Alcuni religiosi hanno chiesto che le adolescenti potessero tornare a scuola, e in alcune aree del paese questo è successo. Ma altri segnali lasciano pensare che il potere della fazione più rigida si stia rafforzando.

In gioco non c’è solo la libertà delle donne, ma anche la sopravvivenza delle famiglie nel collasso economico del paese. A marzo la Banca mondiale ha bloccato dei progetti di sviluppo da 600 milioni di dollari a causa della violazione dei diritti delle donne. Secondo le Nazioni Unite le restrizioni sul lavoro femminile sono costate all’Afghanistan un miliardo di dollari.

Gli altri paesi hanno poco margine di manovra, ma devono ribadire con decisione il loro sostegno alle afgane. Dovrebbero smettere di inviare a Kabul delegazioni composte da soli uomini, e usare gli aiuti come leva: finanziare l’istruzione nelle aree dove anche alle ragazze è concesso di studiare potrebbe mettere pressione sulle comunità vicine. Le donne afgane non saranno “salvate”, come dicevano di voler fare un tempo gli occidentali, ma non devono neanche essere abbandonate. Devono essere ascoltate e ricevere tutto il sostegno che gli può essere offerto. ◆ as

All’Europa serve un passo avanti

Per un anno più di cinquantamila cittadini dell’Unione europea hanno partecipato alla conferenza sul futuro dell’Europa, hanno presentato le loro idee e si sono confrontati con chi era d’accordo con loro e con chi la pensava diversamente. Il risultato è un documento notevole, 56 pagine dense che non solo identificano i problemi fondamentali per il futuro dell’Europa, ma formulano anche delle proposte per risolverli. La priorità accordata al clima, alla politica estera e all’immigrazione sono condivisibili e urgenti.

Ma in questo momento non è tanto dei temi che bisogna parlare, quanto del modo in cui si fa politica. L’Unione europea si è spesso ostacolata da sola, e lo sta facendo anche oggi. La crisi del debito, la Brexit e la pandemia di covid-19 hanno dimostrato che è capace di trovare soluzioni, ma quasi sempre in situazioni di emergenza e non da una posizione di sovranità.

Di fronte alla minaccia che la guerra in Ucraina rappresenta per l’intero continente, per esempio, bisognerebbe riconsiderare il principio di unanimità nella politica estera europea. Non si tratta del coinvolgimento militare, ma della semplice capacità di agire a livello politico, una capacità che è molto limitata. Purtroppo però mancano l’unità, la visione, la disponibilità al compromesso. Soprattutto manca la fiducia, una fiducia che forse potremmo, e dovremmo, mostrare ai nostri alleati in quel “progetto di pace” che è l’Unione europea. ◆ gac

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1460 - 13 maggio 2022
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