Editoriali

Il vero volto della Cina

Chi può ancora negare, relativizzare o anche solo tacere il destino inflitto dalla Cina alle sue minoranze? Nessuno ha mai creduto alla versione di Pechino, secondo cui i campi d’internamento per gli uiguri e le altre etnie musulmane nello Xinjiang sono centri di formazione professionale. Da anni le testimonianze dei sopravvissuti descrivono il sistema carcerario, le sterilizzazioni e l’indottrinamento. Ma i documenti riservati della polizia cinese pubblicati da Le Monde e da altri giornali danno un’altra dimensione a questa tragedia, confermando l’ossessione per la sicurezza e lo sforzo totalitario di rimodellare un popolo. Descrivono con terrificante precisione la macchina repressiva che frantuma intere famiglie, internate solo perché legate ad altri detenuti o a causa di un’“atmo­sfera familiare fortemente religiosa”.

Queste rivelazioni arrivano mentre l’alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, si trova in Cina per una visita frutto di un lungo negoziato. Le possibilità di un’inchiesta indipendente sono molto scarse. Al contrario, le autorità cinesi potrebbero cercare di trarre legittimazione dalla visita. Finora la risposta delle Nazioni Unite agli abusi nello Xinjiang è stata molto timida, per non parlare del silenzio dei paesi pronti a denunciare l’islamofobia dell’occidente. È il risultato della nuova influenza di Pechino sul sistema internazionale, ottenuta grazie all’appoggio dei paesi che sostiene economicamente.

È anche il segno di una brutalità deliberata nelle relazioni internazionali e l’illustrazione di una nuova era d’impunità, sancita dalla dichiarazione congiunta di Russia e Cina del 4 febbraio: una professione di fede in favore di un nuovo ordine mondiale revisionista, espressa alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina. Nonostante la Cina abbia internato almeno un milione di uiguri, nessuno pensa davvero di imporle le sanzioni che meriterebbero simili violazioni dei diritti umani. Quale grande azienda occidentale sarebbe pronta a rinunciare all’immenso mercato cinese? Queste rivelazioni dovrebbero tuttavia essere un ultimo appello alla ragione: bisogna tenere gli occhi bene aperti sulla realtà che la Cina rappresenta oggi. ◆ ff

Il suicidio degli Stati Uniti

Forse è cosi che finisce tutto: autogoverno, autodifesa, autocontrollo, libertà, unità, famiglia. Forse il destino degli Stati Uniti è veder morire la propria anima insieme ad almeno 19 bambini e due adulti, massacrati il 24 maggio in una scuola elementare di Uvalde, in Texas. Ci siamo noi, il popolo statunitense, da entrambi i lati di quell’arma e di un’infinità di altre armi, in un’infinità di parchi giochi, centri commerciali, strade e case, che uccidono i nostri figli e noi stessi. Che uccidono il nostro futuro. È questo che siamo diventati: non possiamo più mandare i nostri figli a scuola senza l’ansia che finiscano sotto tiro. Quando ci sentiamo in pericolo tiriamo fuori le nostre armi. Le nostre armi ci mettono in pericolo, quindi ne compriamo altre.

Nel 1838 Abraham Lincoln disse che gli Stati Uniti non sarebbero mai stati sconfitti da un nemico straniero: il vero pericolo veniva dall’interno. “Se la distruzione sarà il nostro destino, ne saremo gli autori e gli esecutori. Come nazione di uomini liberi, supereremo tutto o moriremo per suicidio”. Lincoln era ormai presidente quando il paese rischiò per la prima volta il suicidio per decidere se libertà significa che qualcuno è libero di sfruttare gli altri o che tutti devono essere liberi. La guerra civile fu semplice, con un nemico chiaro (anche se eravamo noi stessi) che indossava uniformi diverse. Ora non è più così semplice. Siamo ancora il nostro nemico, ma per cosa ci stiamo uccidendo? Non lo sappiamo. Continuiamo a prendere le armi e a premere il grilletto. Eleggiamo rappresentanti politici che promettono di agire, ma non li mettiamo mai davanti alle loro responsabilità. In ogni caso, gli omicidi continuano.

Questo potrebbe essere il suicidio di cui parlava Lincoln. Forse moriremo così. Non per un grande ideale ma a causa della perdita dell’amore e del rispetto reciproco e del sogno che ha unito i nostri antenati. È qui che finisce il sogno americano, non su un campo di battaglia, ma nelle nostre case e scuole, per mano nostra e del nostro prossimo? ◆ as

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1462 - 27 maggio 2022

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