Editoriali

In India il termometro esplode

L’aspetto più preoccupante dell’ondata di caldo che ha colpito 1,8 miliardi di persone nel subcontinente indiano è il fatto che sia arrivata così presto. In India e in Pakistan lo scorso mese di marzo è stato il più caldo da quando si registrano le temperature, cioè da 122 anni. I record cadono uno dopo l’altro: a New Delhi a maggio i termometri hanno raggiunto i 49 gradi, un balzo enorme rispetto ai 45,6 gradi toccati nel 1941. Nel frattempo le ondate di caldo hanno imperversato su entrambi i poli, mentre nei giorni scorsi temperature letali hanno colpito la Spagna e il sudovest degli Stati Uniti.

In tutto il mondo le ondate di caldo sono diventate più frequenti ed estreme a causa del cambiamento climatico provocato dall’uomo. Gli abitanti più poveri del pianeta hanno contribuito in misura minima al surriscaldamento globale, ma ne pagano le conseguenze maggiori. Rischiano la perdita delle fonti di sostentamento e la morte, soprattutto se costretti a lavorare all’aperto.

Uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet suggerisce che in India possano essere attribuiti al surriscaldamento globale 740mila morti all’anno. Ai tempi della dominazione britannica si diceva che l’economia indiana era “una scommessa sulla pioggia”. Più di un secolo dopo quella scommessa sembra persa, e il mondo ne paga il prezzo. Le scarse precipitazioni e le alte temperature hanno compromesso il raccolto di grano, costringendo l’India a rimangiarsi l’impegno a esportare il proprio surplus per compensare le carenze provocate dal blocco russo del grano ucraino.

Secondo le Nazioni Unite entro il 2030 i paesi poveri dovranno spendere fino a 300 miliardi di dollari all’anno per affrontare l’emergenza climatica. I paesi ricchi ospitano appena il 12 per cento della popolazione mondiale, ma sono responsabili del 50 per cento delle emissioni di gas serra. Questi paesi hanno la responsabilità morale di aiutare gli altri, ma all’ultima conferenza sul clima hanno promesso di fornire appena quaranta miliardi di dollari entro il 2025. Nel frattempo è partita una nuova “corsa all’oro” nel campo dei combustibili fossili, anche perché l’occidente ha bisogno di ridurre la dipendenza dalla Russia. Questi progetti sono definiti soluzioni a breve termine, ma rischiano di trascinare il mondo verso un disastro climatico irreversibile. Il presidente statunitense Joe Biden ha promesso di usare i suoi poteri per produrre tecnologie verdi e inviarle in Europa, ma il peso del riscaldamento globale graverà soprattutto sui paesi poveri. È a loro che dovrebbe andare la maggior parte degli aiuti. ◆ as

Aprire all’Ucraina, senza fretta

Il dramma vissuto dall’Ucraina giustifica l’accelerazione del processo della sua adesione all’Unione europea, chiesta dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. L’altra faccia della medaglia è il rischio di un ingresso prematuro, in un momento in cui l’Unione è scossa da tensioni interne e i suoi fondamenti sono messi in discussione. Oggi nella lista dei candidati all’adesione ci sono Turchia, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia, ma dopo l’invasione russa hanno espresso l’intenzione di entrare anche Ucraina, Moldova e Georgia.

Di fronte a questa situazione inedita è necessario immaginare soluzioni che permettano di coniugare punti di partenza molto diversi. Il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto di formalizzare un sistema a più velocità, istituendo una “comunità politica europea”. Il cuore dell’Unione europea potrebbe così continuare il processo d’integrazione, mentre i paesi candidati potrebbero realizzare le riforme necessarie a soddisfare i requisiti europei in materia di lotta alla corruzione, trasparenza, indipendenza dei poteri e diritti. Il rispetto di queste condizioni è ancora più importante perché il modello europeo è sfidato dall’asse autoritario tra Russia e Cina, che vede nell’indebolimento delle istituzioni democratiche occidentali un’opportunità. Svalutare i requisiti per accelerare l’adesione dell’Ucraina ridimensionerebbe la legittimità dell’Unione europea.

Con la sua resistenza, l’Ucraina ha mostrato chiaramente da che parte sta. È ora che l’Europa contraccambi senza indugi, ma senza rinnegare la fedeltà a quello che è e che vuole rappresentare nel mondo. ◆ gac

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1465 - 17 giugno 2022
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