Editoriali

L’umanità sa cosa deve fare

Con gli accordi internazionali sull’ambiente, come il trattato sull’alto mare concordato il 4 marzo, l’umanità mostra cosa è in grado di fare. Ha capito che bisogna trattare le risorse della Terra in modo diverso, più responsabile e rispettoso. Che bisogna dare più spazio alla natura, così che possa continuare a offrire nutrimento, rifugio e un clima stabile. E sa benissimo quali habitat sono più importanti, minacciati e bisognosi di protezione. L’alto mare è uno di questi. Gli oceani rivestono un’enorme importanza per la biodiversità e per la stabilità del clima. In questo senso sono fondamentali almeno quanto le foreste pluviali.

Gli accordi ambientali più recenti – quello di Montréal sulla biodiversità, quello di Parigi sul clima e quello sulla plastica in fase di negoziazione – sono la prova che l’umanità ha le conoscenze, i mezzi e la capacità per proteggere questi importantissimi habitat e rendere così il mondo un luogo più giusto e sicuro. In questi trattati è scritto cosa bisogna fare e come farlo. Per cui è ancora più irritante vedere che alla verità di questi documenti si contrappone una prassi politica in cui la miopia e la mancanza di coraggio sembrano sempre avere la meglio. Chi ancora oggi non riesce a fare a meno di pensare che anche tra vent’anni la prosperità della Germania dipenderà dalla produzione di milioni di auto e dalla disponibilità a buon mercato delle materie prime necessarie, che un paese avanzato come la Norvegia abbia assolutamente bisogno di una flotta di pescherecci d’altura o che in Cina benessere significa diritto all’arrosto di maiale, può ancora illudersi di essere un rappresentante della razionalità e del pragmatismo, preoccupato che non ci si spinga troppo in là con la tutela del clima e dell’ambiente e che i cambiamenti rimangano gestibili.

Ma il riscaldamento globale e la perdita della biodiversità porteranno sconvolgimenti molto più difficili da affrontare di qualsiasi transizione economica e sociale. Per cui chi tenta d’impedire questa trasformazione non è né razionale né pragmatico, ma solo miope. Riconoscere quello che bisogna fare, cioè ridurre il consumo di materie prime, distribuire equamente le risorse, lasciare spazio alla natura: a questo serve un accordo delle Nazioni Unite. Così nessuno potrà dire che non lo sapeva. ◆ mp

Passi avanti sul diritto all’aborto

Il dibattito sull’interruzione volontaria di gravidanza tocca molti interrogativi filosofici. Ma l’aspetto pratico resta fondamentale, dato che la sua criminalizzazione uccide le donne in tutto il mondo e colpisce soprattutto quelle più povere. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità tra il 4,7 e il 13,2 per cento dei decessi di donne incinte è dovuto a pratiche abortive non sicure. Significa fino a 38mila morti all’anno. Nei paesi poveri si concentra il 97 per cento di queste pratiche. In America Latina tre interruzioni di gravidanza su quattro avvengono in condizioni non sicure. Questi rischi sono legati alle leggi. Nei paesi in cui l’aborto non è reato il tasso di interruzioni non sicure è del 10 per cento, ma supera il 25 per cento dove è vietato. Più di tre quarti dei paesi prevedono sanzioni per l’aborto, tra cui il Brasile e altri stati latinoamericani.

Negli ultimi anni, però, la situazione ha cominciato a cambiare. Nel 2017 solo il 3 per cento dei latinoamericani viveva in luoghi in cui l’aborto era legale o depenalizzato. Nel 2022 la percentuale è passata al 37 per cento, e oggi include Cuba, Guyana, Guyana francese, Puerto Rico, Uruguay, Argentina, Colombia e alcuni stati del Messico. Nel 2020 l’Argentina ha regolamentato l’accesso sicuro all’interruzione di gravidanza negli ospedali pubblici. Secondo il ministero della salute il numero di decessi causati da pratiche abortive è diminuito del 40 per cento dal 2021. Il problema è che la mentalità cambia più lentamente delle leggi, e le argentine continuano a incontrare ostacoli, tra l’ostilità dei medici, le obiezioni di coscienza, le lunghe attese e gli attacchi degli attivisti “pro-vita”.

In ogni caso il passo avanti è stato notevole, grazie a una società civile organizzata che ha saputo stimolare il dibattito. In Brasile, purtroppo, l’aborto resta un tabù. Nemmeno le forze politiche progressiste osano affrontarlo nell’ottica della salute pubblica, per paura di perdere le elezioni. ◆ as

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1502 - 10 marzo 2023
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