Alla fine del 2022 gli studiosi della televisione russa ci hanno dato una triste notizia: il conduttore Vladimir Rudolfovič Solovëv non era più uno dei dieci personaggi televisivi più graditi dal pubblico. Era scivolato verso il ventesimo posto della classifica e oggi canta le solite vecchie canzoni sui temi all’ordine del giorno: i nazisti in Ucraina e i feroci liberali in Russia. Le sue canzoni però stanno diventando sempre più lunghe e malinconiche, e neppure il suo ingresso nel Guinness dei primati per le ore passate in onda da conduttore (quasi 26 in una settimana) riesce a placare questo cuore turbolento votato alla lotta contro il male democratico che minaccia il mondo.
“L’eterno due per cento di merda”, come una volta Solovëv chiamava il pubblico democratico russo, non lo fa dormire. Questo due per cento non ama il presidente Vladimir Putin, anche se, secondo Solovëv, “il presidente non tradirà mai la sua patria né i suoi amici”. Ma forse a non farlo dormire è il pensiero delle sue ville in Italia ormai inaccessibili.
Come molti altri portavoce del Cremlino, una volta Solovëv aveva posizioni molto diverse da oggi. Questo, in generale, andrebbe trattato come un argomento a parte: perché persone con sane opinioni democratiche si sono trasformate in sostenitori di un dittatore pazzo? Come mai giornalisti rispettabili sono passati dall’altra parte delle barricate diventando servi ideologici del Cremlino? È ingenuo credere che sia solo una questione di soldi.
C’era una volta un modesto laureato all’Istituto statale dell’acciaio e delle leghe di Mosca (oggi Università nazionale di scienza e tecnologia). La sua vita scorreva senza eccessi: molto probabilmente il destino gli stava preparando una carriera da esperto di economia, soprattutto perché in seguito si sarebbe specializzato all’Istituto di economia mondiale e relazioni internazionali. Ma forse, in fondo, desiderava altro. Era affetto da una patologica vanità che non gli permetteva di limitarsi alle relazioni internazionali e all’economia.
Fuori imperversavano gli anni novanta, un’epoca di opportunità e follie per i russi. Solovëv voleva fama e popolarità. E proprio allora apparve all’orizzonte la giornalista Natalja Sindeeva, che lo invitò alla radio Serebrjanyj dožd (Pioggia d’argento). Lì per dodici anni Solovëv fece i suoi gorgheggi d’usignolo (che in russo si dice appunto solovej). Per Serebrjanyj dožd fu una manna dal cielo: insieme ad Aleksandr Gordon, Solovëv diventò un conduttore molto popolare tra gli ascoltatori. La sua allegria e la sua audacia erano il marchio di fabbrica della radio e ne fecero notevolmente aumentare gli ascolti. Ma per lui questa popolarità non era abbastanza. L’occasione per fare un altro salto in avanti non tardò a presentarsi: fu invitato in televisione.
I primi campanelli d’allarme sui tormenti che affliggevano l’anima di Solovëv suonarono all’inizio degli anni duemila. Molte delle sue strane affermazioni di quel periodo si possono spiegare come provocazioni, ma nella testa del già famoso presentatore televisivo non era tutto a posto. Le persone ricordano, per esempio, la sua discussione a Process, un programma sul canale Ort (che oggi si chiama Pervyj kanal), con l’altro conduttore Aleksandr Gordon sulle persone contagiate dal virus dell’hiv: Solovëv sosteneva con parole infuocate che i sieropositivi avrebbero dovuto essere isolati dalla società. E secondo il televoto il pubblico era d’accordo con lui e non con Gordon, che difendeva un trattamento più umano. Con il senno di poi, c’è forse da meravigliarsi se gli spettatori della televisione russa oggi siano a favore dell’invasione dell’Ucraina?
Campo opposto
Ma all’inizio degli anni duemila Solovëv era ancora un volto presentabile. Nel 2001 fu uno degli organizzatori della protesta contro la chiusura della tv privata Ntv. Alla fine del comizio disse con rammarico: “È un peccato che siamo solo quindicimila”. Qualche anno dopo, quelle quindicimila persone per lui sarebbero diventate il “due per cento di merda”.
Nel 2013 disse: “Dio non voglia che la Crimea torni alla Russia”
Dall’amore all’odio, si sa, il passaggio può essere breve. E per Vladimir Rudolfovič Solovëv, evidentemente lo è ancora di più. Negli anni successivi le opinioni del presentatore televisivo partirono al galoppo. La velocità con cui Solovëv passò nel campo opposto è degna di un pilota di Formula 1. Già nel 2005 partecipò al congresso di fondazione del movimento giovanile d’ispirazione putiniana Naši (Nostri). Nessuno sa cosa sia successo tra il 2001 e il 2005. Si dice che in quel periodo l’oligarca Boris Berezovskij, ex sostenitore di Putin diventato poi un oppositore del presidente e morto a Londra nel 2013 in circostanze da chiarire, offrì a Solovëv di prendere il posto di Putin. Ma questo episodio è stato raccontato dallo stesso Solovëv, quindi non bisogna dargli molto credito. E Berezovskij era un uomo troppo razionale per pensare a lui come a un possibile presidente. Se vogliamo ammettere che sia successo qualcosa di simile, è probabile che possa essere stato questo il motivo dei bruschi ripensamenti del presentatore.
In ogni caso, la metamorfosi di Solovëv cominciò proprio nel 2005, con il movimento Naši. Poi continuò senza sosta: ormai aveva stabilmente occupato la nicchia dei servi ideologici del Cremlino. Non si era ancora schierato dalla parte del regime di Vladimir Putin, ma a metà degli anni duemila agli osservatori era chiaro che l’opposizione non era più il suo elemento naturale.
Solovëv si trovava sempre dove poteva essere visto. I suoi programmi televisivi Duel e K bareru! (A duello!) erano il ritratto inequivocabile di un uomo malato di superbia: “Signore e signori, Vladimir Solovëv!”, annunciava una voce fuori campo, poi appariva lui, il deus ex machina, l’arbitro, il giudice, il giustiziere, il demiurgo, il portatore della verità. Era al comando, dalle sue labbra uscivano accuse e lodi, faceva pace e litigava. Si vedeva che amava follemente tutto questo.
Il ruolo di sovrano dei pensieri che lui stesso aveva inventato lo scaldava e nutriva. Un nutrimento, peraltro, non solo morale: fu allora che Solovëv mendicò alle autorità russe un appartamento di 150 metri quadrati nel centro di Mosca, fingendo di essere un padre bisognoso con molti figli. L’appartamento gli fu venduto per pochi centesimi.
Alla fine degli anni duemila il suo programma K bareru! fu chiuso. Solovëv cadde brevemente in disgrazia, perché aveva fatto arrabbiare gli amici degli amici. Nello specifico, aveva accusato la moglie del primo vicedirettore generale della Ntv, che trasmetteva il suo programma, e un compagno di classe dell’allora presidente russo Dmitrij Medvedev di ricevere regolarmente soldi di dubbia provenienza. La storia d’amore con la Ntv finì, Solovëv fece il libero professionista per un po’, ma presto ricevette una proposta dal canale Rossija-1, dove oggi attacca ogni giorno il cervello della popolazione con vari programmi, tra cui “La sera con Vladimir Solovëv”, “Domenica sera con Vladimir Solovëv” e Moskva. Kreml. Putin (Mosca. Il Cremlino. Putin).
Una mente volubile
Solovëv si considera un intellettuale e ha sempre sostenuto che i suoi spettatori sono la parte pensante del pubblico. Bisogna dire che per molti anni è stato così: Solovëv ha una buona parlantina, è istruito. Ma ha una mente volubile. Ed è stata proprio questa volubilità a tirargli un brutto scherzo. Anche l’onnivoro deve porsi dei limiti, altrimenti diventa un estraneo per i suoi simili. Cosa che è appunto successa a Solovëv.
La partecipazione alla nascita del movimento Naši fu un punto di svolta. Gli ammiratori di Solovëv negli ambienti democratici reagirono all’istante, non solo voltandogli le spalle, ma anche ridicolizzando la pubblicità in cui promuoveva prodotti dimagranti. Il soprannome di “palloncino gastrico” gli è rimasto affibbiato a lungo (in quella pubblicità si parlava di un dispositivo a forma di palloncino che favorisce la perdita di peso).
Lui si offese molto e insultò pubblicamente chi lo aveva preso in giro, peggiorando le cose: gli autori degli insulti non solo non si calmarono, ma rincararono la dose. Ivan Urgant ribattezzò i “gorgheggi dell’usignolo” “escrementi dell’usignolo”, e questa espressione attecchì non meno di quella originale. Boris Grebenščikov, leader del gruppo rock Akvarium, dedicò al presentatore la canzone Večernij mudozvon (Raccontapalle serale). Il brano ebbe una popolarità inaspettata e il soprannome gli è rimasto appiccicato addosso.
Storia comune
Si pensa che sia stata quella la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Solovëv non aveva più niente da fare nel campo liberale: il fronte democratico lo aveva tradito e messo in ridicolo. Ormai sembrava fuori controllo: le sue trasmissioni radiofoniche erano piene di insulti e capricci contro tutti quelli che non erano d’accordo con lui.
È vero, in televisione si concedeva ancora brandelli di riflessioni democratiche. Nel 2008 per esempio dichiarò: “Chiunque cerchi di cominciare una guerra tra la Russia e l’Ucraina è un criminale che non riesco nemmeno a descrivere. In Ucraina vivono persone che ci sono vicine nello spirito, nel sangue, nella storia comune”.
Nel 2013, rispondendo a chi gli chiedeva se la Crimea dovesse essere “restituita” alla Russia, sbottò: “Dio non voglia che la Crimea torni alla Russia. Non c’è nessuna base legale. E cosa ve ne fareste della Crimea?”. Ma solo sei mesi dopo Solovëv, con una professionale lacrima sulla guancia, diceva: “Ci siamo impegnati a rendere questo giorno più vicino. La Crimea e Sebastopoli sono parte della Russia. La giustizia storica ha trionfato”.
Non ha senso analizzare tutto quello che è capitato a Solovëv dopo il 2014: non c’è stato niente di nuovo, sempre e solo il lamento di una vanità offesa. Il presentatore è finito tra chi non voleva stare. L’indice di gradimento dei suoi programmi è cresciuto, in poco tempo “La sera con Vladimir Solovëv” è diventata la trasmissione televisiva con gli ascolti migliori del paese. Ma il suo vasto pubblico gli era estraneo: lui ne voleva un altro, quello che lo aveva respinto per i suoi legami con le autorità e l’aveva privato dell’immagine di uomo di talento e intellettuale. In quel momento comparve quel “due per cento di merda”. E cominciò una crisi isterica permanente.Dopo il 24 febbraio 2022 Solovëv è completamente uscito dai gangheri. Le speranze di riconquistare il rispetto delle persone che la pensavano come lui erano svanite del tutto e anche la speranza di riguadagnare almeno la loro attenzione.
Così è diventato il re dei balordi. I suoi ospiti sono sempre gli stessi “esperti” con le loro trite e ritrite affermazioni sul marcio occidente e i nazisti ucraini. Sono noiosi, proprio come lui. Non interessano a nessuno, e nessuno di loro provoca l’indignazione di un tempo. Gli ascolti sono calati. Per una persona così vanitosa, è la cosa peggiore che possa esserci.
Le sanzioni e la confisca delle sue ville sul lago di Como lo hanno colpito così duramente che guardarlo mette tristezza: il suo dolore è lacerante. Chiama gli spettatori che non sono d’accordo con lui “stupidi bugiardi”, “spudorati mentitori”, “grassi, stupidi maiali”. Chiede la fucilazione dei capi militari per gli errori commessi durante la mobilitazione dei riservisti. Sbuffa e sgomita, ma il suo tempo è passato.
Caduti nell’abisso
Vladimir Rudolfovič Solovëv è un esempio istruttivo. Non è il primo né sarà l’ultimo. “Quanti di loro sono caduti in questo abisso”, scriveva la poeta russa Marina Ivanovna Cvetaeva. Un brillante presentatore che si è trasformato in un personaggio miserabile e poco interessante. Per tutte le parti del conflitto globale.
E qual è il premio più offensivo per qualcuno che fino a ieri veniva ascoltato da tutti? Come cantava negli anni settanta la popstar Alla Pugačeva nel brano Arlekino, “la risata”. ◆ ab
◆ 1963 Nasce a Mosca, in Russia.
◆ 1986 Si laurea all’Istituto di acciaio e leghe della capitale.
◆ 1990 Si trasferisce negli Stati Uniti per fare l’imprenditore, ma nel 1992 torna in Russia.
◆ 1998 Comincia a lavorare per la radio Serebrjanyj dožd (Pioggia d’argento).
◆ 1999 Conduce il suo primo programma televisivo, The process.
◆ 2022 La sua villa sul lago di Como è confiscata in seguito alle sanzioni occidentali contro Mosca.
Ekaterina Barabaš è una critica cinematografica e giornalista russa.
È stata licenziata dall’agenzia di stampa Interfax per aver criticato il governo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati