Il francese – secondo varie stime, la quinta lingua più parlata nel mondo – sta cambiando. Forse non nei corridoi dorati dell’Académie française, l’istituzione parigina che pubblica il dizionario ufficiale, ma su un tetto di Abidjan, la città più grande della Costa d’Avorio.
Lì, un pomeriggio, una rapper di diciannove anni che si fa chiamare Marla fa le prove del suo prossimo spettacolo, circondata da amici e bottiglie di bibite vuote. Le parole che usa sono in gran parte francesi, ma le mescola con lo slang ivoriano e l’inglese, creando una nuova lingua. Parlare solo francese c’est zogo, fuori moda, dice Marla – il cui vero nome è Mariam Dosso – combinando francese e slang ivoriano. Invece giocare con lingue e parole è choco, un’abbreviazione di chocolat, cioè “dolce”, “chic”.
Il francese sta assimilando molte parole ed espressioni africane, spinto dalla grande crescita della popolazione giovanile nell’Africa occidentale e centrale. Nel continente vivono ormai più del 60 per cento delle persone che parlano francese nella vita di tutti i giorni e l’80 per cento dei bambini e delle bambine che lo studiano. A Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, ci sono tanti francofoni quanti a Parigi.
Attraverso social media come TikTok e YouTube, queste persone stanno letteralmente diffondendo il verbo, rimodellando il francese a partire da paesi che, come la Costa d’Avorio, un tempo erano colonie della Francia.
“Abbiamo provato a rappare solo in francese, ma nessuno ci ascoltava”, spiega Jean Patrick Niambé, noto come Dofy, un artista hip hop ivoriano di 24 anni che sta assistendo all’esibizione di Marla. “Allora creiamo delle parole a partire dalle nostre realtà, e queste poi si diffondono”.
Nelle strade di Parigi o nelle sue periferie può capitare di sentire qualcuno usare s’enjailler per dire “divertirsi”. Il termine è nato ad Abidjan per descrivere il modo in cui, negli anni ottanta, i ragazzi ivoriani in cerca di adrenalina saltavano su e giù dagli autobus in corsa.
In Africa i giovani stanno aumentando, mentre il resto del mondo invecchia. I demografi prevedono che entro il 2060 l’85 per cento dei francofoni vivrà nel continente africano. È quasi l’inverso rispetto agli anni sessanta, quando il 90 per cento viveva in Europa e in altri paesi occidentali. “Il francese prospera in Africa”, osserva Souleymane Bachir Diagne, professore senegalese di filosofia e di lingua francese che insegna alla Columbia university di New York, negli Stati Uniti. “E questo francese creolizzato trova spazio nei libri che leggiamo, negli spettacoli che guardiamo in tv, nelle canzoni che ascoltiamo”.
Quasi la metà dei paesi dell’Africa sono stati in passato colonie o protettorati francesi. Molti usano ancora il francese come lingua ufficiale. Negli ultimi anni, però, Parigi ha dovuto affrontare il risentimento crescente della popolazione di alcuni paesi per il retaggio coloniale e per l’influenza che ha continuato a esercitare su alcuni governi. Ci sono paesi che hanno espulso gli ambasciatori e i soldati mandati da Parigi, mentre altri hanno preso di mira la lingua. Alcuni scrittori e scrittrici dell’Africa occidentale usano le parlate locali come atto di resistenza artistica. La giunta al potere in Mali ha smesso di riconoscere il francese come lingua ufficiale e lo stesso sta facendo il Burkina Faso.
Tutto questo non è passato inosservato in Francia, dove l’evoluzione della lingua scatena dibattiti, se non addirittura angosce, tra alcuni intellettuali. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato nel 2019: “La Francia dev’essere orgogliosa di essere, in fondo, uno dei tanti paesi che studia, parla, scrive in francese”.
Nel grande mercato di Adjamé, un quartiere di Abidjan, ci sono migliaia di piccole bancarelle che vendono articoli di elettronica, abiti, farmaci contraffatti e prodotti alimentari. È il posto perfetto dove studiare il nouchi, lo slang che un tempo era usato dai piccoli criminali ma che in meno di quarant’anni si è diffuso in tutto il paese. Alcuni vecchi esponenti delle bande criminali di Abidjan che contribuirono a inventare il nouchi lavorano oggi come guardie tra i vicoli del mercato, dove i jassa men (giovani traffichini) vendono merci per sbarcare il lunario. Qui ogni giorno nascono nuove espressioni e altre cadono in disuso.
Una mattina Germain-Arsène Kadi, professore di letteratura all’università Alassane Ouattara in Costa d’Avorio, si addentra nel mercato portando con sé il dizionario nouchi che ha pubblicato. In un maquis, un ristorante di strada con tavoli e sedie di plastica, il proprietario ha riunito alcuni jassa men _in un angolo, o _soï, per fargli pronunciare le loro parole preferite, mentre bevono vody, un mix di vodka e bevanda energetica. “Vi colpiranno”, mi dice il proprietario in francese, mettendomi in allarme finché non capisco che non intende in senso letterale. I jassa men, infatti, ci trattano bene e in pochi minuti snocciolano decine di parole ed espressioni a me sconosciute. Kadi scarabocchia freneticamente le nuove parole su un taccuino. “Un’altra per il dizionario”, continua a ripetere.
È praticamente impossibile sapere quale termine nato per le strade di Abidjan si diffonderà, supererà i confini e sopravvivrà nel tempo. Nel 2023 la parola go, che in Costa d’Avorio significa “fidanzata”, è entrata nel dizionario francese Le Robert.
Sempre l’anno scorso ad Abidjan la gente ha cominciato a usare mon pain, “il mio pane”, per dire fidanzato. Rapidamente si sono diffuse delle varianti sul tema: pain choco (pane al cioccolato) è un fidanzato carino. Un pane zuccherato è un ragazzo dolce. E un pane appena sfornato è un partner seducente.
Qualche mese fa in una chiesa di Abidjan, mi riferiscono alcuni fedeli, l’intera congregazione è scoppiata a ridere quando il prete ha detto che tutti dovrebbero condividere il pane con il prossimo.
L’espressione si è diffusa come un meme sui social, raggiungendo il vicino Burkina Faso e la Repubblica Democratica del Congo. Non è ancora arrivata in Francia. Ma agli ivoriani piace scherzare sul fatto che i francesi adottano alcune espressioni anche a distanza di anni, se non di decenni.
“Se il francese diventa più ibrido, anche le visioni del mondo che porta con sé saranno più varie”, commenta Josué Guébo, poeta e filosofo ivoriano. “Se l’Africa influenza il francese da un punto di vista linguistico, forse lo farà anche da quello ideologico”.
Passato doloroso, futuro incerto
Le Magnific, nome d’arte di Jacques Silvère Bah, è uno dei più famosi artisti di stand up comedy della Costa d’Avorio, noto per i giochi di parole e le imitazioni dei vari accenti dell’Africa occidentale. Quando andava a scuola, racconta, non poteva parlare in wobé, la sua lingua madre. E all’inizio in francese era così scarso che doveva comunicare a gesti con i compagni. “Abbiamo dovuto imparare in fretta e in modo doloroso”, dice Silvère, 45 anni, un pomeriggio prima di salire sul palco di un festival ad Abidjan. In tutti i paesi francofoni dell’Africa occidentale e centrale, il francese raramente è la prima lingua: si usa poco a casa, si parla soprattutto a scuola, al lavoro, negli affari e nella pubblica amministrazione.
In un sondaggio pubblicato nel 2022 dall’Organizzazione della francofonia (Oif), il principale ente per la promozione della lingua e della cultura francese nel mondo, il 77 per cento degli africani intervistati descrive il francese come la “lingua dei colonizzatori”. Circa il 57 per cento la considera una lingua che gli è stata imposta.
A volte i metodi di questa imposizione sono stati brutali, affermano gli studiosi. Nelle scuole di molte colonie francesi i bambini che parlavano nella loro lingua madre erano picchiati o costretti a portare al collo per punizione un oggetto chiamato “simbolo”, spesso qualcosa di maleodorante o un osso di animale. Molti paesi africani adottarono il francese come lingua ufficiale al momento dell’indipendenza, in parte per consolidare l’identità nazionale. Alcuni mantennero perfino l’usanza del “simbolo” nelle scuole.
Al festival di Abidjan Le Magnific e altri comici fanno battute in francese prendendo in giro gli accenti degli altri, suscitando le risate del pubblico. Poco importa se qualche parola si perde nella traduzione. “Il nostro umorismo è panafricano perché passa attraverso la lingua francese”, dichiara l’organizzatore del festival, Mohamed Mustapha, conosciuto in tutta l’Africa occidentale con il nome d’arte di Mamane. Questo comico del Niger conduce un programma quotidiano su Radio France internationale che viene ascoltato da milioni di persone in tutto il mondo.
“È una questione di sopravvivenza, se vogliamo resistere a Nollywood”, spiega, riferendosi all’industria cinematografica nigeriana, “e ai tanti contenuti in inglese”.
Secondo l’Oif, in Costa d’Avorio più di un terzo degli abitanti parla francese. In Tunisia e nella Repubblica Democratica del Congo – il più grande paese francofono del mondo – la percentuale supera la metà.
Ma i governi di molti paesi francofoni faticano ad assumere un numero sufficiente di insegnanti. “I bambini e le bambine stanno ancora imparando il francese in condizioni molto difficili”, dichiara Francine Quéméner, responsabile di programma per le politiche linguistiche dell’Oif. “Devono imparare a contare, a scrivere, a leggere in una lingua che non conoscono bene, con maestre e maestri che non sempre si sentono sicuri delle loro conoscenze”.
Anche Quéméner ammette che il francese è sfuggito da tempo al controllo di Parigi. “È una lingua africana e appartiene agli africani”, dice. “Il decentramento del francese è un dato di fatto”.
All’Académie du Hip Hop, un progetto lanciato del rapper d’origine congolese Grödash nella periferia di Parigi, adolescenti e bambini scribacchiano versi su blocchi per appunti, seguendo l’indicazione di mescolare francese e altre lingue.
Coumba Soumaré Camara, nove anni, ha preso alcune parole dalle lingue dei suoi genitori, che vengono dalla Mauritania e dal Senegal. Conclude il suo testo con t’es magna, sei cattivo, combinando la sintassi francese con il lessico mauritano.
L’hip hop, il genere che domina l’industria musicale francese, sta portando nuove parole, frasi e concetti africani nelle periferie e nelle città francesi.
Una delle cantanti pop francofone più famose è Aya Nakamura, originaria del Mali. Molti artisti popolari su internet sono di origine marocchina, algerina, congolese o ivoriana.
“Un gran numero di loro ha democratizzato la musica francese con lo slang africano”, spiega Elvis Adidiema, dirigente congolese della Sony music entertainment. “Il pubblico francese, di ogni provenienza, si è abituato a queste sonorità”.
La Francia osserva
Ma in Francia c’è ancora chi fatica ad accogliere il cambiamento. I letterati dell’Académie française, un’istituzione nata nel seicento, sono al lavoro da quarant’anni sull’ultima edizione del vocabolario della lingua francese.
Una sera Dany Laferrière, scrittore haitiano-canadese e unico rappresentante nero all’Académie, cammina per gli eleganti corridoi del palazzo sulla riva sinistra della Senna. Lui e gli altri studiosi devono decidere se inserire nel dizionario la parola yeah, comparsa negli anni sessanta.
Laferrière riconosce che l’Académie avrebbe bisogno di modernizzarsi, incorporando il francese belga, senegalese o ivoriano. “La lingua francese sta per fare un grande salto e si chiede come andrà”, dice Laferrière. “Ma è elettrizzata dalla direzione che sta prendendo”. Fa una pausa, fissando la Senna dalla finestra, e si corregge. “Le lingue, non la lingua. Ormai ci sono tante versioni del francese, che vanno per la loro strada. E questa è una prova di grande vitalità”. ◆svb
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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati