Dieci anni fa Kais Bouazizi e Tawfik Abidi erano seduti in un caffè di Sidi Bouzid, in Tunisia, per scrivere il programma del loro nuovo partito, La Bilancia, con cui volevano presentarsi alle elezioni per l’assemblea costituente. Politici improbabili, i due giovani avevano passato l’inverno a scontrarsi con le forze di sicurezza nelle strade della città dopo che il cugino di Bouazizi, Mohamed, si era dato fuoco per protestare contro le vessazioni della polizia. Le manifestazioni scatenate dalla sua morte si diffusero nella capitale e spazzarono via una dittatura decennale.
“Sono sempre i margini a lanciare la rivoluzione”, spiega Bouazizi. “Ma poi il centro si prende la fetta più grossa del premio che ci siamo guadagnati con il sangue e il sudore”. I due fondatori della Bilancia immaginavano un sistema federale che avrebbe garantito alle regioni povere dell’entroterra tunisino più autonomia e controllo sulle risorse locali. A lungo, città come Sidi Bouzid erano state trascurate dal governo. Le priorità del partito sarebbero state lavoro, libertà e dignità.
Bouazizi e Abidi, che potevano contare su risorse economiche più scarse dei loro avversari, non furono eletti. Nei dieci anni successivi la Tunisia ha avuto dieci governi, quasi 150 ministri e innumerevoli scandali politici. Il 25 luglio il presidente Kais Saied, lui stesso un outsider, eletto nel 2019 facendo leva sul decentramento dei poteri, si è arrogato tutte le prerogative del governo “per correggere il corso della rivoluzione”.
Bouazizi e Abidi hanno sostenuto Saied nel 2019, ma oggi sono in disaccordo. “La mossa del 25 luglio è stata l’esito di dieci anni di fallimenti”, sostiene Bouazizi, snocciolando una lista di errori commessi dai governi, fino a quello del primo ministro Hichem Mechichi (licenziato il 25 luglio), che al culmine della terza ondata pandemica è andato in vacanza al mare. “C’era mia madre malata di covid che boccheggiava per prendere aria perché non si riusciva a trovare l’ossigeno. Ma quei pagliacci in parlamento non facevano altro che prendersi a schiaffi”, dice Bouazizi, convinto che la scelta di congelare le attività del parlamento porterà a un decentramento del potere, il quale tornerà nelle mani del popolo.
Abidi, invece, pensa che si sia superato un limite: “Temo che la Tunisia vada verso un periodo di grave ambiguità. Siamo stati il primo paese arabo ad adottare una costituzione e dobbiamo onorare il passato. Servono persone che rispettino le leggi. Se Saied l’avesse fatto, oggi avrebbe ancora più sostegno”.
Anche il loro amico Anwar Jawedi è perplesso: “Speriamo di non tornare alla dittatura. Saied non può fare tutto da solo, ha bisogno di una squadra affidabile”. Jawedi si aspetta che Saied nomini un primo ministro e presenti un piano per tirar fuori il paese dalla crisi con l’aiuto di vari partiti e organizzazioni della società civile. “Un leader serio deve saper lavorare con gli altri. Se non lo fa, allora è una dittatura”. I tre sanno esattamente da dove dovrebbe cominciare Saied: incriminare i parlamentari e gli imprenditori corrotti, proteggere i simboli della rivoluzione e costruire l’ospedale da tempo promesso a Sidi Bouzid.
**Speranza in fumo **
Per Wahid Affi, 43 anni, la priorità è un’altra: sostenere i disoccupati e i sottoccupati in città come Sidi Bouzid. Dopo la laurea in ingegneria elettronica nel 2001, Affi non è mai riuscito a trovare un lavoro nel settore. “Saied era un barlume di speranza per i giovani, ma credo che ormai i ragazzi siano delusi”, dice durante una pausa dal suo lavoro part-time come cassiere.
“Il suo è stato un colpo di stato dolce”, interviene Abdellatif, il datore di lavoro di Affi, molto critico verso l’ultimo governo, “che non ha fatto nulla”.
“Ma dobbiamo stare attenti”, continua. “Saied ha tutto nelle sue mani, anche la nostra libertà di espressione, tutto quello per cui abbiamo lottato nel 2011”.
L’entusiasmo iniziale suscitato dall’annuncio di Saied si è un po’ spento, ma Affi crede ancora che la Tunisia sia destinata al successo: “Non chiedo molto, solo un po’ di stabilità. Stabilità materiale, e magari anche sentimentale”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati