Quando si parla di antropocene, di solito ci si riferisce al profondo impatto delle società umane sul pianeta, dalla rapida riduzione della biodiversità all’aumento della temperatura dovuto all’uso dei combustibili fossili. Questi cambiamenti di portata globale non sono cominciati nello stesso posto e nello stesso momento.
Ecco perché ci sono state molte discussioni quando, dopo più di dieci anni di studi e dibattiti, un gruppo di lavoro formato da scienziati di tutto il mondo ha proposto di definire l’antropocene un’epoca geologica fissandone l’inizio precisamente al 1952 e usando come indicatore le ricadute dei test nucleari.
Il 4 marzo 2024 la Sottocommissione sulla stratigrafia del quaternario, un organismo dell’Unione internazionale di scienze geologiche che stabilisce gli standard per definire il quaternario (il periodo geologico più recente), ha respinto la proposta con dodici voti contrari su diciotto. Secondo la sottocommissione introdurre l’antropocene e dichiarare concluso l’olocene, l’epoca in cui viviamo, non era giustificato dai criteri usati per definire la cronologia della Terra.
Da quando il meteorologo Paul Crutzen l’ha coniato nel 2000, il termine antropocene è stato usato sempre più spesso per descrivere un’epoca segnata dagli effetti delle attività umane, come il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, l’inquinamento e la deforestazione. In origine, però, Crutzen aveva suggerito di fissarne l’inizio alla seconda metà del settecento, agli esordi dell’era industriale, ritenendo “arbitrario” stabilire una data più precisa.
Secondo i geologi viviamo nell’olocene da circa 11.700 anni, cioè dalla fine dell’ultima era glaciale. Le società umane influenzano la biodiversità e il clima con l’agricoltura da migliaia di anni, ma circa cinquecento anni fa questi cambiamenti hanno subìto un’accelerazione con l’inizio del colonialismo europeo. Come ha osservato Crutzen, il clima ha cominciato a mutare davvero con l’aumento dell’uso dei combustibili fossili durante la rivoluzione industriale, alla fine del settecento.
La proposta di far cominciare l’antropocene intorno al 1950 si basava sulle prove schiaccianti secondo cui tanti dei cambiamenti più significativi prodotti dagli esseri umani sono aumentati sensibilmente con la “grande accelerazione” individuata dal climatologo Will Steffen e altri. I radioisotopi dei test nucleari effettuati nel dopoguerra hanno lasciato tracce evidenti nel suolo, nei sedimenti, negli alberi, nei coralli e in altre testimonianze geologiche. Il picco di plutonio nel lago Crawford, in Canada, scelto dal gruppo di lavoro come sito di riferimento per determinare l’inizio dell’antropocene, è ben marcato nei sedimenti del fondale. Allora perché l’idea è stata respinta?
Un evento complesso
I motivi sono vari, e nessuno mette in discussione che le società umane stiano cambiando il pianeta. Tutt’altro. La principale ragione è che fissare una data d’inizio così recente sarebbe riduttivo e non includerebbe le prove più antiche del cambiamento causato dall’umanità. Come hanno scritto nel 2015 il geologo Bill Ruddiman e altri su Science, “ha senso stabilire l’inizio di un’epoca dominata dall’umanità millenni dopo che la maggior parte delle foreste delle zone coltivabili è stata abbattuta per far posto all’agricoltura?”.
Il dibattito resta aperto, anche se è improbabile che la decisione sia ribaltata a breve. Ma questo non è un problema per la scienza, dato che esiste già una definizione dell’antropocene che lo classifica come un “evento complesso, trasformativo e in corso, analogo alla grande ossidazione e ad altri eventi geologici”.
Malgrado il voto contrario, quindi, il concetto di antropocene continuerà a essere utile come lo è stato negli ultimi vent’anni, per stimolare la discussione e la ricerca sulla trasformazione di questo pianeta a opera degli esseri umani. ◆ sdf
Erle C. Ellis insegna geografia e sistemi ambientali all’università del Maryland, negli Stati Uniti. Ha fatto parte del gruppo di lavoro sull’antropocene dal 2009 al 2023.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati