I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la freelance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.
Da tipica expat che ha girato le capitali europee e da ex impiegata dell’Onu che ha lavorato in varie emergenze in continenti diversi, l’ultimo romanzo di Filippo D’Angelo, Le città e i giorni, non poteva non piacermi. Riconosco sia l’acuta, sporca realtà di Emanuele che, coinvolto in varie organizzazioni umanitarie, accetta un incarico nella Repubblica Centrafricana sia le battaglie interiori del fratello Maurizio, che deve affrontare lo spostamento più difficile di tutti: quello del ritorno in patria. Mi riconosco nelle loro esigenze, nei loro dubbi, nelle loro battaglie. È facile che nella scelta di emigrare ci sia un elemento di fuga, un desiderio di trovare e rafforzare un’identità propria che possa servire da scudo contro il desiderio di controllarci, più o meno evidente, della società in cui siamo cresciuti. Un’identità che ci permette soprattutto di distinguerci e affermarci di fronte allo sguardo meno obiettivo: quello dei nostri genitori. D’Angelo descrive queste dinamiche con una scrittura che, malgrado a volte sia molto dettagliata, coinvolge facilmente il lettore nelle vicende dei protagonisti. L’autore non offre soluzioni, ma lascia solo intravedere la luce che riflette la serenità di chi è arrivato e sa di esserlo. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati