La situazione ha riportato alla mente i momenti peggiori della crisi del 2019, in piena disputa tra Nicolás Maduro e il leader dell’opposizione Juan Guaidó. La mattina del 30 agosto circa l’80 per cento del Venezuela è rimasto senza corrente. Milioni di persone sveglie prima dell’alba per andare al lavoro sono dovute uscire con il buio. Il governo del presidente socialista Maduro ha parlato di sabotaggio.
Le fasi più dure del conflitto politico che il paese caraibico sta vivendo da vent’anni coincidono con periodi d’isolamento e collasso economico. E i blackout aggravano la situazione: le autorità stringono l’assedio contro l’opposizione, che dalle elezioni presidenziali del 28 luglio sta facendo di tutto per mantenere una presenza pubblica nonostante la repressione dell’apparato giudiziario e di polizia del chavismo.
La mobilitazione organizzata il 28 agosto dall’opposizione ha dimostrato che la coalizione guidata da María Corina Machado (di centrodestra) resiste agli attacchi del governo e ha ancora lo slancio sufficiente per continuare a rivendicare la vittoria alle urne. Ma deve lottare contro l’intero apparato filogovernativo, che controlla ogni settore del potere pubblico.
Il chavismo, nel frattempo, si è mosso in due direzioni. Da un lato ha intensificato la repressione, arrestando i principali collaboratori di Machado e del candidato Edmundo González Urrutia e scoraggiando i loro simpatizzanti. Dall’altro, si è premunito in vista di un possibile aumento delle pressioni sul fronte interno o esterno. Maduro si rifiuta di condividere i registri elettorali che dimostrerebbero la sua vittoria, nonostante i documenti pubblicati dai suoi oppositori, il severo rapporto di uno dei pochi organismi di osservazione indipendenti, il Carter center, e perfino le denunce del Consiglio nazionale elettorale (Cne). Il 26 agosto uno dei rettori dell’autorità elettorale, Juan Carlos Delpino, ha denunciato gravi irregolarità nel processo elettorale ed è stato subito licenziato.
Il successore di Hugo Chávez insiste di aver vinto le elezioni, si rifiuta di avviare negoziati con l’opposizione e respinge le proposte di mediazione di alcuni governi di sinistra della regione, come quelli del brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, del colombiano Gustavo Petro e del messicano Andrés Manuel López Obrador. Maduro non sembra preoccupato di riportare il Venezuela all’isolamento sulla scena internazionale.
I cambiamenti annunciati nel governo dimostrano la volontà del presidente di rafforzare la sua cerchia più stretta: la vicepresidente Delcy Rodríguez è passata al ministero del petrolio e Diosdado Cabello a quello dell’interno e della giustizia, con poteri sulle forze dell’ordine. La nomina di Cabello è particolarmente significativa, perché è uno dei più implacabili critici dell’opposizione.
◆ Il 2 settembre 2024 le autorità venezuelane hanno spiccato un mandato d’arresto nei confronti di Edmundo González Urrutia, il candidato dell’opposizione che rivendica la vittoria nelle elezioni presidenziali del 28 luglio. González Urrutia ha ignorato tre convocazioni in tribunale, l’ultima il 30 agosto per rispondere ad alcune domande sul sito web dell’opposizione che lo dà come vincitore delle presidenziali con più del 60 per cento delle preferenze. Da quando il 29 luglio il Consiglio nazionale elettorale ha dichiarato Maduro vincitore delle elezioni, ci sono state proteste in tutto il paese. Ventisette persone sono morte nella repressione delle manifestazioni, più di 192 sono state ferite e più di 2.400 arrestate. Il 2 settembre Caracas ha definito un “atto di pirateria” il sequestro da parte di Washington di un aereo del presidente Nicolás Maduro. Afp
Opinioni discordanti
La strategia di Maduro non è nuova. Il leader venezuelano sta cercando di logorare o scoraggiare gli avversari. In contemporanea con la mobilitazione indetta dall’opposizione, il chavismo ne ha organizzato un’altra di solidarietà con il presidente davanti al palazzo Miraflores. Maduro ha esortato González Urrutia, che da un mese si nasconde in un luogo sicuro, a “metterci la faccia”. Ha anche ipotizzato una possibile fuga e ha parlato di un suo possibile arresto per non essersi presentato davanti al procuratore (il 2 settembre le autorità hanno spiccato un mandato d’arresto contro di lui). Il clima diventa più teso di ora in ora.
L’interruzione di energia elettrica ha fatto precipitare la situazione. Dalla prima dichiarazione del ministro delle comunicazioni Freddy Ñáñez al bilancio fatto dal presidente in serata, tutti hanno puntato il dito contro l’opposizione, alimentando la tesi del sabotaggio orchestrato all’estero. Maduro ha assicurato che grazie alle “protezioni” applicate alla centrale idroelettrica di Guri, nello stato di Bolívar, sono stati evitati ulteriori danni. Ha accusato “la destra fascista”, come chiama l’alleanza guidata da María Corina Machado e González Urrutia, e “l’imperialismo statunitense” di aver pianificato un attacco alla centrale, che è la principale del paese. Ma non ha presentato nessuna prova: “È stato il padre di tutti gli attentati, ma i sistemi di protezione che abbiamo applicato hanno funzionato. Abbiamo difeso Guri per il paese”.
Il riferimento al passato, in particolare al 2019, non è casuale. Da anni l’opposizione attribuisce i blackout alla precarietà e alla mancanza di manutenzione. Per l’apparato chavista invece le interruzioni di corrente sono la premessa perfetta per realizzare piani speciali di emergenza e aumentare il controllo di polizia e militari. “Siamo più preparati e in condizioni migliori rispetto a quando subivamo gli attacchi dell’oppositore Juan Guaidó”, ha sottolineato Maduro, aggiungendo che “un account chiamato Anonymous, al servizio della guerra di odio contro il Venezuela, ha minacciato in diverse occasioni un blackout nazionale. Le indagini sono in fase avanzata, stanno procedendo velocemente, saranno approfondite”, ha continuato, prima di parlare di “una sala operativa di fascisti” negli Stati Uniti.
Il blackout del marzo 2019, che lasciò gran parte del Venezuela senza elettricità per tre giorni, fu uno degli episodi più drammatici di quella crisi politica (Guaidó a gennaio si era autoproclamato presidente ad interim del paese). Il chavismo ne approfittò per usare tribunali e forze dell’ordine contro i suoi oppositori, la maggior parte dei quali fu costretta a nascondersi o, con il tempo, a lasciare il paese. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati