Lo scandalo sulla corruzione nel parlamento europeo, arrivato proprio al culmine della disputa sui fondi europei con l’Ungheria, è un clamoroso autogol per Bruxelles: dare lezioni sullo stato di diritto è diventato molto più difficile. Il fatto che i sospettati vengano tutti dall’Europa meridionale potrebbe portare qualcuno a liquidare la faccenda sostenendo che si tratta dei “soliti sospetti”. Ma questo caso è solo la punta di un iceberg che non fa distinzioni tra sinistra e destra né tra nord e sud. La vicenda conferma che serve più trasparenza nelle decisioni politiche e nell’attività delle lobby. La vicepresidente socialdemocratica Eva Kaili sarà stata al soldo del Qatar, ma sono stati i politici dell’Unione cristianodemocratica tedesca a prendere parte a lussuosi viaggi a Baku dopo che l’Azerbaigian era stato ammesso nel Consiglio d’Europa. Neanche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen può dormire sonni tranquilli. La procura europea sta indagando sulle presunte irregolarità nell’accordo con la Pfizer per la fornitura dei vaccini contro il covid-19: gli sms scambiati tra Von der Leyen e i vertici dell’azienda risultano irreperibili.
Spesso la vicinanza ai gruppi d’interesse diventa un sistema di porte girevoli, come nel caso dell’ex presidente della Commissione José Manuel Barroso, attualmente consulente della banca statunitense Goldman Sachs. Pubblicare gli incontri tra gli eurodeputati e i lobbisti nel registro delle lobby dovrebbe diventare obbligatorio, e anche i rappresentanti dei paesi terzi dovrebbero essere inclusi. Inoltre bisognerebbe imporre un limite alle entrate aggiuntive degli eurodeputati, un terzo dei quali riceve regolarmente altre retribuzioni oltre al proprio salario. In caso contrario la democrazia europea sarà sempre più esposta alla corruzione, e a vincere saranno i populisti come Viktor Orbán. ◆ gac
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Questo articolo è uscito sul numero 1491 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati