Ma che sorpresa! La resistenza violenta palestinese in Cis­giordania sta alzando la testa. I mostri si sono svegliati dal letargo e hanno cominciato a farsi esplodere. Gli attentatori suicidi sono tornati e l’armata degli opinionisti israeliani ha la sua sapiente spiegazione: tutta colpa dei soldi iraniani. Senza quel denaro la Cisgiordania sarebbe tranquilla. Le persone sono disposte a farsi saltare in aria solo per potersi accaparrare un po’ di soldi. C’entra sempre la piovra iraniana.

Com’è facile attribuire tutto a Teheran. Gli israeliani adorano farlo. Esiste un diavolo, ed è iraniano, e tutto quello che succede è da imputare a lui. Forse ci sono di mezzo i soldi iraniani, forse no, ma questa intensificazione dello scontro è solo lo sviluppo più prevedibile di quello che è successo in Cisgiordania nel corso degli undici mesi di guerra a Gaza. L’unica cosa sorprendente è che non sia successo prima.

Questa intensificazione dello scontro è solo lo sviluppo più prevedibile di ciò che è successo in Cisgiordania nel corso degli undici mesi di guerra a Gaza

In questi undici mesi Israele ha dilaniato la Cis­giordania, proprio come sta facendo oggi alle strade di Tulkarem e Jenin; non ne resta nulla. Questo è il periodo più difficile per i palestinesi che vivono lì dai tempi dell’operazione Scudo difensivo del 2002, ancora più duro perché avviene all’ombra di un’altra aggressione, perfino più barbara, a Gaza. A differenza di Scudo difensivo, questa offensiva non ha alcuna giustificazione. Israele ha sfruttato la situazione nella Striscia per provocare dei disordini in Cisgiordania. La risposta è stata tardiva, ma è arrivata.

Stavolta l’aggressione israeliana viene da due parti: da un lato ci sono l’esercito, i servizi segreti e la polizia di frontiera, dall’altro le milizie violente dei coloni. Queste due ramificazioni sono coordinate e non s’intralciano. A volte si fondono, quando le persone provenienti dagli insediamenti indossano le uniformi (sono le “squadre di risposta rapida”, che conferiscono legittimità a ogni pogrom). L’esercito non interviene mai per fermarle.

In questo contesto Ronen Bar, direttore dello Shin bet, il servizio di sicurezza interna israeliano, ha messo in guardia dalle violenze dei coloni con una sfacciataggine incredibile: “Il terrorismo ebraico sta causando seri danni alla sicurezza in Cisgiordania”. Peccato che lo Shin bet avrebbe potuto e dovuto fermare quel terrore ebraico molto tempo fa. Non c’è stato un solo pogrom in cui i soldati non fossero presenti, ovviamente senza muovere un dito per impedirlo. Occasionalmente, i militari partecipavano, ma di questo Ronen Bar non ha osato parlare.

L’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023 non è stato una calamità solo per gli israeliani, lo è stato anche per i palestinesi. Non ci sono altre parole per descrivere quello che lo stato ebraico ha inflitto alla Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania non si è di certo tirato indietro, con l’incoraggiamento dei ministri kahanisti (gli estremisti religiosi seguaci del rabbino Meir Kahane, che proponeva il trasferimento di tutti gli arabi nei paesi musulmani o in occidente) e il silenzio del primo ministro Benjamin Netanyahu, del resto del governo e dell’opinione pubblica.

Nelle ultime settimane sono stato a Jenin, Tulkarem, Qalqilya, Ramallah e Hebron. La Cisgiordania non ha avuto alcun ruolo nella serie di attentati commessi da Hamas, ma dal 7 ottobre tre milioni di palestinesi si sono svegliati in una nuova realtà, anche se quella precedente non era poi tanto meglio. Con la sua passione per la vendetta, Israele ha impietosamente premuto il suo stivale sul collo della Cisgiordania.

In questi mesi sono stati espropriati decine di migliaia di ettari di terre; ormai quasi non ci sono più colline senza una bandiera israeliana o un insediamento che un giorno sarà una città. Anche i posti di blocco sono tornati pienamente attivi. Non ci si può spostare da un luogo all’altro senza incontrarli, stando in attesa, umiliati, per ore. È impossibile fare progetti in una zona dove almeno 150mila persone sono rimaste senza mezzi di sussistenza, dato che non possono più lavorare in Israele. Tutti qui sono stati puniti per il 7 ottobre. Cosa vi aspettavate?

E poi c’è l’ultimo arrivato: il drone. Protetta dall’ombra della guerra, l’aviazione di Tel Aviv ha cominciato a sparare sulla Cisgiordania. Secondo i dati delle Nazioni Unite 630 palestinesi sono stati uccisi da queste parti da quando è cominciata la guerra.

Quello che è consentito a Gaza ora è permesso anche in Cisgiordania. I soldati hanno interiorizzato questo fatto e la loro condotta è cambiata di conseguenza. Non siamo a Gaza, ma facciamo finta di esserci. Chiedete a qualunque palestinese cos’ha passato negli ultimi tempi: la disperazione non è mai stata così profonda.

E, dopo tutto questo, come si può pensare che non ci sia il terrorismo? ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati