Le parole volano, schioccano, senza compromessi e senza filtri, sul palco del Ked, un teatro nella zona industriale della Quarantaine, a Beirut. Sola in scena, sfrontata, imponente, Shaden Fakih conquista il pubblico. Il suo sguardo critico e la sua lingua affilata non risparmiano niente: le lotte tra politici, il gretto settarismo, il conservatorismo religioso e il patriarcato, i tabù dell’omosessualità o della sessualità femminile.
Con un umorismo corrosivo, volutamente scioccante, la ragazza snocciola le sue storie e le sue lotte personali per puntare il dito contro i difetti e le ipocrisie della società libanese e dei suoi leader. C’è una stoccata per tutti. Anche gli spettatori sono presi di mira. Sono stati avvisati: “Se vi offendete facilmente, questo spettacolo non fa per voi”, c’è scritto su un cartellino posato sui tavoli.
Il pubblico è venuto proprio per questo, già conquistato o semplicemente incuriosito dal fenomeno Shaden. Quattro amici sui vent’anni hanno fatto due ore di strada da Tripoli, nel nord. Alcune eleganti quarantenni di Beirut intorno a un tavolo ridono delle avances che gli fa l’attrice. Gli uomini seduti accanto ci mettono un po’ più di tempo per lasciarsi andare. Gli scoppi di risa crescono, come gli applausi.
A trent’anni, Shaden Fakih è una delle stelle della giovane scena della stand-up comedy in Libano, “È un ambiente dominato dagli uomini, qui come altrove”, spiega. “Conosco solo due donne che fanno questo tipo di spettacoli in Medio Oriente, e una sono io! Ma molte giovani cominciano a salire sul palco, a parlare di tutto, ed è incredibile vedere questa cosa mentre la maggioranza della popolazione libanese è ancora molto conservatrice”.
Quando Fakih ha cominciato a esibirsi nel 2017, la stand-up comedy, una forma di spettacolo comico alternativo perfezionato a New York negli anni sessanta, non era diffusa a Beirut. Il comico Nemr Abou Nassar riempiva sale con migliaia di persone, ma gli spettacoli erano in inglese. Alcuni bar underground organizzavano serate a microfono aperto, i cosiddetti open mic, dove chiunque può esprimersi in pubblico, senza una formula imposta.
Oggi a Beirut non passa più una serata senza uno spettacolo. La stand-up comedy è diventata un fenomeno che sta conquistando gradualmente un pubblico nuovo, al di fuori della ristretta cerchia dei giovani progressisti, degli ambienti femministi, lgbt e atei. È uno sfogo per i libanesi che osservano, smarriti, il loro paese sprofondare e i politici imporre la loro camicia di forza comunitaria e religiosa dalla fine della guerra civile nel 1990.
La thawra (rivoluzione), la sollevazione popolare nata nell’ottobre 2019 per cacciare questa classe politica considerata corrotta, ha sciolto le lingue e ha infranto alcune linee che sembravano invalicabili. Con il concatenarsi delle crisi, dall’esplosione al porto di Beirut nell’agosto 2020 al naufragio economico e finanziario, i giovani libanesi sono alla ricerca di spazi dove possono indignarsi, criticare e prendere in giro tutto.
Quel giorno del 2017, quando è salita per la prima volta sul palco, Fakih non aveva preparato nulla. Ha raccontato di quando, a quindici anni, confidò alla famiglia che le piacevano le ragazze. Anche se appartenevano alla comunità sciita conservatrice, i suoi genitori erano progressisti e la sostennero. Però si ponevano delle domande: prima di lei, sua sorella aveva già fatto coming out. “Dirlo in pubblico è stato una guarigione. Da giovane ho vissuto con difficoltà questa situazione e non c’era nessuno con cui potermi identificare”, ricorda. Oggi Fakih è un modello per la comunità lgbt e una voce per le libanesi che si sentono oppresse dal patriarcato. “A un matrimonio una trentenne è venuta a cercarmi, un po’ ubriaca, per ringraziarmi: grazie a me aveva cominciato a masturbarsi”, racconta. La mentalità in Libano è cambiata con il #MeToo, ma resta molta strada da fare su vari fronti. “Non c’è ancora un comico gay”, dice Fakih.
Il linguaggio della strada
Come molti comici della sua generazione, Shaden Fakih deve la sua ascesa al collettivo Awk.word, creato nel 2018 da Dany Abou Jaoude insieme a due amici. Abou Jaoude, imprenditore di 35 anni, è un appassionato di stand-up comedy; da adolescente aveva passato le giornate a guardare i video dei comici statunitensi Richard Pryor e George Carlin. Voleva creare una piattaforma per gli attori libanesi e promuovere questa forma di spettacolo che da giovane lo aveva aiutato a sottrarsi alle costrizioni del cristianesimo conservatore nel quale era cresciuto. Un giorno un amico gli ha proposto di animare una serata settimanale al Beirut open space, un bar-spazio culturale nel quartiere di Mar Mikhael. Così è nato Awk.word.
In poco tempo il collettivo ha raggruppato una ventina di comici, scovando la maggior parte di loro nelle serate di microfono aperto. Attraverso il passaparola, la sala da novanta posti si riempiva ogni settimana, poi presto è successo lo stesso con quella del Ked, che ha una capacità di 260 posti. “All’inizio sconvolgevamo le persone per il nostro modo di parlare, che è il linguaggio della strada. Poi la schiettezza ha avuto successo”, ricorda Chaker Bou Abdalla, cinquant’anni, pioniere della scena con un passato nel teatro.
Non c’erano tabù né linee invalicabili, a differenza degli spettacoli trasmessi in televisione o messi in scena nei grandi teatri. Awk.word ha finalmente sfondato con la diffusione, durante il lockdown nel 2020, della stand-up baladi (stand-up nostrana), una serie di sei spettacoli trasmessa sulla piattaforma di video on demand Cinemoz.
Le serate di microfono aperto si svolgono il lunedì al bar-libreria Barzakh, punto di ritrovo per studenti e giovani artisti, nel quartiere di Hamra. In una di queste serate una quindicina di comici affermati e giovani talenti vengono a provare, come in un laboratorio, i loro sketch davanti al pubblico. Il comico superstar Nour Hajjar, trent’anni, è il maestro di cerimonie.
“È impressionante vedere dal vivo i comici che abbiamo conosciuto online. C’è una vicinanza che non si trova negli spettacoli con un solo attore, un’interazione che aiuta a parlare, ad avviare discussioni”, si meraviglia Ghadi Yasmin, responsabile delle risorse umane di 23 anni, fedele spettatore da un anno. “Anche se chi viene qui è di mente aperta e in privato parla di tutto, il palco dà a questi argomenti un senso di accettazione più forte e un che di normalità”.
La sua amica Dana Saad, che lavora in un’ong, ha particolarmente apprezzato la performance di Tera Irani, una delle poche attrici della serata. Anche Irani, 29 anni, lavora in un’ong, e adora parlare di sua madre, che non smette di chiederle perché non è ancora sposata e vuole sapere tutto delle sue relazioni amorose, con tanto di dettagli sessuali.
Il tema non è più tabù sul palco, ma Irani ammette che non è così semplice prendersi questa libertà fuori. “Nella società le ragazze non possono assolutamente parlare di sesso”, conferma Dana Saad. “Se lo facessi, sarei considerata una puttana! O direbbero che sto perdendo la testa”.
Stesse aspirazioni
L’atmosfera intima delle serate di microfono aperto conforta Batoul Ezzedine, che ha avuto una giornata difficile. “Quando veniamo qui vediamo che c’è gente come noi, che non siamo soli”, ammette. È una libanese di 27 anni e lavora nella produzione. Proviene da un ambiente sciita conservatore del sud del Libano ed è l’unica donna velata nel pubblico. Come la sua amica Marwa, una giornalista di 25 anni, è arrivata nella capitale per partecipare alla thawra nel 2019, e non se n’è più andata. Le due trovano nelle serate al Barzakh comici provenienti da contesti diversi ma con le loro stesse aspirazioni. “Esprimono quello che pensiamo, ma a voce alta e con sarcasmo. Qui si può parlare senza timore e riderne”, dice Ezzedine. “È una terapia”, concorda l’amica.
“Il novanta per cento del paese prova disagio nei confronti delle nostre idee”, ammette Dany Abou Jaoude. “Non c’è mai stata libertà di espressione in Libano. Le istituzioni religiose hanno il monopolio della censura. Le persone non cambiano idea facilmente, pensano che non si debba prendere in giro la storia cristiana o musulmana, le autorità, né parlare di sessualità femminile”.
La comicità raramente piace ai simpatizzanti dei partiti. “C’è sempre qualcuno che si offende per una battuta e che può minacciarti. Se dico che Dio mi parla, è già troppo”, osserva l’attore Chaker Bou Abdalla. Ex grafico, Bou Abdalla s’interessa poco di politica. Si dedica soprattutto alla “commedia dell’assurdo” e si diverte a smontare i preconcetti sociali, religiosi o politici raccontando storie grottesche. Ma dopo lo sketch in cui suggerisce che Gengis Khan, il sanguinario conquistatore mongolo, potrebbe essere il “padre della nazione libanese”, titolo dato al presidente Michel Aoun dai suoi sostenitori, ha ricevuto qualche minaccia.
Quella che scatena più polemiche, però, è Shaden Fakih. “Ha il tasso più alto di persone che lasciano la sala”, ride Dany Abou Jaoude. Fakih conferma. A volte alcuni tavoli si svuotano durante il numero in cui descrive la sua “relazione tossica” con Dio, un uomo che soffre d’insicurezza affettiva e le chiede di rassicurarlo cinque volte al giorno sull’amore che prova per lui (l’allusione è alle cinque preghiere quotidiane dell’islam). In alcuni casi la comica si prende la briga di chiedere al pubblico se può fare la sua battuta sul Profeta.
“Non potrei mai dire fuori dal palcoscenico alcune barzellette che mescolano il politico e il religioso”, spiega Fakih. Il video che ha diffuso sui social network durante il lockdown, in cui chiama le forze di sicurezza interna (Fsi) chiedendogli se possono portarle degli assorbenti perché lei non può uscire di casa, le è costato un processo davanti un tribunale militare. A giugno è stata condannata a una multa di 1,8 milioni di lire libanesi (una sessantina di euro al tasso attuale) per “umiliazione e danno alla reputazione delle Fsi”, il massimo della pena prevista.
Il caso secondo lei va oltre quel semplice sketch. Fakih ha spesso criticato l’esercito, dopo la repressione delle manifestazioni del 2019, così come i giudici e i procuratori che non hanno perseguito i responsabili dell’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020. “Mi tenevano d’occhio, hanno voluto mandare un messaggio per farmi smettere”, sostiene, dicendosi “onorata” di essere considerata una “criminale”. “Questo dimostra fino a che punto le mie parole li colpiscono”. Comunque oggi la comica è più attenta a quello che pubblica. Ha la sensazione che con la crisi economica la sicurezza si stia deteriorando e che le minoranze, che si tratti di rifugiati siriani o della comunità lgbt, siano prese di mira dalle autorità in cerca di capri espiatori.
Cronaca del naufragio
Per proteggere i comici e la loro libertà di espressione, Awk.word ha stabilito una semplice regola: è vietato filmare gli spettacoli. Le esibizioni non sono mai pubblicate online senza essere state prima ripulite delle scene considerate più offensive.
“I problemi in Libano nascono soprattutto dai social network, che sono una cassa di risonanza. Le forze di sicurezza arrestano le persone più per un tweet che diventa virale che per quello che viene detto sul palco”, spiega Dany Abou Jaoude. La censura si è un po’ attenuata dopo il susseguirsi di tragedie in Libano, aggiunge Nour Hajjar.
Hajjar è spesso presentato come “il comico più politico” di Awk.word. Nato in Libano, laureato in sicurezza alimentare nei Paesi Bassi, dove ha cominciato la sua carriera, divora tutto quello che ha a che fare con la politica e la filosofia. Scrive anche per programmi televisivi e per la rivista satirica Al Hudood. Gli piace punzecchiare i politici, tra cui l’ex primo ministro libanese Saad Hariri, capo del movimento Corrente del futuro e della comunità sunnita. Questi attacchi rattristano suo padre, simpatizzante di Hariri, e gli hanno attirato qualche minaccia di morte. Il covid-19, l’esplosione al porto, la crisi economica: gli sketch di Hajjar fanno una cronaca del naufragio del Libano. “Lavoro sull’osservazione, la satira e talvolta l’assurdo. Dicono che il mio stile è malinconico, ma è il paese a esserlo”. Il suo spettacolo è un successone, ha già attirato circa 12mila persone. “Aiuta a ridere di tutto questo. Non dico che la stand-up comedy porterà una soluzione, ma serve”, afferma.
Giorno per giorno
Per molti libanesi il tempo si è fermato il 4 agosto 2020 e il susseguirsi delle difficoltà aggrava la loro depressione latente. I medici e le ong non smettono di lanciare allarmi sulla “crisi di salute mentale” che attraversa il paese. “Ho imparato a vivere giorno per giorno, senza progetti per il futuro. Ci aspettiamo che tutto possa succedere, siamo come su montagne russe emotive”, confida Chaker Bou Abdalla, la cui infanzia fu segnata dalla guerra civile, tra il 1975 e 1990. La stand-up comedy è per lui “un salvagente” e il collettivo “una famiglia”. Una famiglia che si allarga con la generazione che emerge dagli spettacoli di microfono aperto. C’è così tanto entusiasmo per la stand-up comedy che spuntano anche nuovi collettivi. A gennaio Kamal Fouani, un comico di 24 anni, ha lanciato Showcase, uno spettacolo organizzato ogni martedì al caffè letterario Aaliya’s, nel quartiere di Mar Mikhael, che include anche musica e poesia. “La scena si sta espandendo e le persone hanno bisogno di uno spazio in cui mettersi alla prova e migliorarsi”, spiega Fouani. Studente di ingegneria e con una passione per il teatro ereditata dalla madre, Fouani ha scoperto la stand-up comedy dopo aver lasciato il suo villaggio vicino a Tiro, nel sud del Libano, per studiare a Beirut.
Nel 2018 uno spettacolo di Nour Hajjar l’ha talmente colpito che ha cominciato a frequentare le serate di microfono aperto. Paralizzato dalla paura, si è lanciato solo alla fine del primo lockdown, due anni fa, perché non voleva demoralizzarsi ulteriormente. I comici di Awk.word lo hanno accolto e aiutato a fare progressi. Oggi parla di sua madre, del resto della famiglia andata a lavorare in Gabon, delle cose che lo riguardano. “Condividere quello che mi destabilizza mi rende felice e mi dà sollievo. Da quando lo faccio regolarmente, il mio stato mentale sta migliorando”, dice Kamal Fouani, che vuole trasmettere la sua passione e ampliare il progetto Showcase.
Nonostante questo fermento, tuttavia, la scena della stand-up comedy in Libano è ancora fragile. La grande migrazione dei giovani libanesi gli tarpa un po’ le ali. Negli ultimi due anni alcuni comici di riferimento hanno lasciato il paese, anche se i talenti emergenti seguono le loro orme. Tra quelli che restano, pochi riescono a farne un lavoro. Il collettivo Awk.word si esibisce ormai anche a Dubai per raggiungere i tanti immigrati libanesi che si sono stabiliti negli Emirati Arabi Uniti. Alcune date sono previste in Europa e in Canada.
Shaden Fakih, Chaker Bou Abdalla e Nour Hajjar non vogliono lasciare il Libano, e men che meno smettere con la stand-up comedy. “Ho costruito la mia vita qui e ho capito dalla mia migliore amica siriana cosa significa perdere il proprio paese, la propria identità”, esclama Fakih. “Sono già psicologicamente disturbata, ma almeno qui sono una depressa felice! Il palcoscenico è tutto per me”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1478 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati