Raccontare il carcere ai ragazzi non è facile. Milvia ci è riuscita con una prosa semplice e una vicenda importante del dopoguerra italiano. Nel 1952 Eugenio Perucatti arrivò sull’isola di Santo Stefano per dirigere il carcere, che risaliva ai tempi dei Borboni e che era segnato, come avesse delle stigmate, da un regolamento penitenziario vecchio e drammatico. Perucatti portò un’atmosfera nuova, rifacendo totalmente le strutture e modificando il regolamento a misura d’uomo. Uno dei suoi dieci figli ha raccontato la vicenda in un libro. Ora Milvia con il suo romanzo ne prosegue il percorso, portando questa storia ai più giovani. L’isola, il sole, il mare e poi quella fortezza, le sue finestre piccole, due ragazzi che si conoscono, un’amicizia, una consapevolezza. Così attraverso Antonio, quindici anni, figlio del direttore, e Clara, quattordici anni, figlia di un’avvocata, conosciamo il carcere. Grazie al loro sguardo e al loro stupore c’inoltriamo in una natura non sempre clemente e cominciamo a capire il significato di parole come coraggio, dignità, umanità, rispetto. E Perucatti diventa un esempio di chi ha contribuito molto al progresso del paese. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1520 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati