Cecilia Dalla Negra e Paola Rivetti hanno lanciato con l’editore Le Plurali la collana Kwir, che accoglie voci autoriali queer dall’area mediorientale, nordafricana e delle diaspore. Libri con una profonda vena antirazzista, decoloniale che “fa della queerness un approccio al mondo e non solo una questione d’identità e di avanzamento dei diritti individuali”. La collana ci permette davvero, con ironia, di entrare in tante vite che non sono la nostra. Quella di Lamya, per esempio. È lei la protagonista del primo libro, autobiografico, della collana. Con una scrittura colloquiale siamo coinvolti in una confessione intima, acuta. Lamya è una giovane migrante, musulmana e queer. E per le varie persone che la guardano è un’anomalia. Ma è lei stessa a spiegare di non esserlo. Spiega come si è ritrovata e ha capito tanto di sé leggendo una sura del Corano, la Sura di Maria. E da lì è partita per costruire una persona nuova. La vediamo in Medio Oriente alle prese con una cotta adolescenziale per un’insegnante, poi negli Stati Uniti nella lotta quotidiana contro il razzismo. Deve lottare per essere quello che è. Lei non vuole scegliere nessuna delle sue identità, la sua sfida è portare tutti i suoi sé sulle spalle, come se fosse una tartaruga. Un libro che merita di essere amato e letto molte volte. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 91. Compra questo numero | Abbonati