A Brescia tutte le strade portano in chiesa. Anche qui i luoghi di culto si stanno svuotando, ma questo non impedisce alla città lombarda di coltivare una forma originale di cattolicesimo sociale, molto integrato nella vita del posto. Così il 6 marzo al capo della polizia di Brescia è sembrato normale chiamare padre Domenico, la cui parrocchia dedicata alle sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa è proprio davanti alla questura. Il capo della polizia voleva chiedergli aiuto per accogliere i profughi ucraini.
Domenico, 38 anni, una persona vitale dall’aria un po’ timida, si è subito attivato offrendo gli spazi e il sostegno dei fedeli della parrocchia. “È un momento di carità vissuta”, sintetizza il parroco sorridendo, mentre intorno si muovono molti volontari.
Avere notizie
“Padre Domenico mi ha chiamata lunedì mattina per dirmi di venire a vedere cosa stava succedendo in oratorio, stavo andando al lavoro ma ho deciso di passare un momento. Sono rimasta così colpita che mi sono presa la giornata di ferie. Da allora vengo tutti i giorni”, dice Tiziana. Intorno a lei decine di famiglie aspettano di sbrigare le prime formalità. All’interno dei locali, tra il biliardino e il tavolo da ping-pong, ci sono scrivanie e computer dove dei dipendenti dell’ospedale civile di Brescia danno ai nuovi arrivati tessere sanitarie provvisorie. Fuori, accanto ai campi sportivi, c’è una fila per fare il test per il covid. Gli ucraini hanno un tasso di vaccinazione molto basso e si teme che si possano formare nuovi focolai. I volontari la mattina distribuiscono la colazione e a pranzo un pasto caldo.
“Le famiglie che arrivano qui hanno quasi tutte lasciato un marito, un padre o un fratello in Ucraina, e sperano di tornare nel loro paese. La prima cosa che ci chiedono è l’accesso al wifi perché vogliono avere notizie”, spiega Tiziana.
Alle persone viene dato un piccolo glossario illustrato per capire le domande più semplici. Per le richieste più complesse (e spesso dolorose) ci sono delle interpreti ucraine, che sono letteralmente tempestate di domande. Krystyna Oldakowska, arrivata 17 anni fa a Brescia, è ancora traumatizzata dallo scoppio della guerra e non riesce a raccontare le prime drammatiche ore dell’invasione senza tremare. “Di solito mi alzo presto, ma quella mattina avevo dormito un po’ di più. Quando mi sono svegliata ho visto che avevo un messaggio sul telefono, me lo avevano inviato alle sei di mattina. ‘Kry, tua madre è viva’. In quel momento ho capito che avevano attaccato”.
Oldakowska, originaria della città di Mykolaïv, vive sulla sua pelle il dramma dei connazionali. “Per dimenticare” l’angoscia e il dolore, si è buttata a capofitto nel lavoro. Quando finisce di lavorare va nella chiesa della comunità uniate ucraina di Sant’Orsola, per organizzare la spedizione dei pacchi umanitari.
Una sfida enorme
Secondo il comune, al 22 marzo si erano registrati 1.200 profughi, ma a questi bisogna aggiungere i 1.500 accolti nel resto della provincia. In realtà il numero delle persone che arrivano è molto più alto. “Nella regione c’è già una forte comunità ucraina: conta tremila persone nel comune di Brescia, che ha duecentomila abitanti. Nella provincia, dove vivono più di un milione di persone, gli ucraini sono ottomila. Per questo la maggioranza dei profughi arrivati ha già un contatto qui: una sorella, una zia, una cugina, un’amica, che si trovano a dover accogliere improvvisamente nei loro piccoli appartamenti intere famiglie. Lo slancio di solidarietà locale ha fatto il resto e ora tutti i profughi hanno trovato un alloggio”, dice il sindaco Emilio Del Bono (Partito democratico). “Per ora le famiglie si arrangiano, ma questa situazione non potrà durare a lungo, per noi è una sfida enorme. Senza parlare poi delle centinaia di bambini che dovranno essere inseriti nelle scuole”.
La diaspora ucraina in Italia (circa 250mila persone) è per l’80 per cento femminile ed è soprattutto concentrata in Lombardia e in Emilia-Romagna, due regioni ricche e con una popolazione sempre più anziana, dove la richiesta di collaboratrici familiari è alta.
È su queste donne con una vita spesso precaria che poggia il grosso dello sforzo di accoglienza. Finora, nella chiesa delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, non è stata registrata nessuna persona di sesso maschile che abbia più di 16 anni . ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 43. Compra questo numero | Abbonati