In Spagna è sempre complicato parlare di una convivenza senza tensioni, e ancora di più costruirla. Soprattutto quando bisogna trovare (e quasi sempre è necessario) formule innovative, capaci di guardare al futuro senza nostalgia per il passato.

La costituzione del 1978 è stata un momento eccezionale (il passaggio dalla dittatura franchista alla monarchia costituzionale) e un passo avanti coraggioso che ha posto le basi di questa convivenza nel segno della libertà e della democrazia. Ma da allora sono successe tante cose, e nonostante la rapida e profonda evoluzione della società spagnola c’è chi – paradossalmente proprio le persone che all’epoca non appoggiarono la costituzione – vorrebbe rendere quel testo immodificabile. Queste persone non solo se ne appropriano indebitamente, ma sfruttano indegnamente il concetto stesso di Spagna. Loro sono “la Spagna”, mentre ciò che non gli piace è “un attacco al paese”. Questo pensiero conservatore e passatista oggi è molto forte. Dovremmo invece concentrarci tutti sull’evoluzione di quel testo, perché intorno a noi tutto cambia.

La costituzione del 1978 fu approvata con un sostegno pubblico travolgente, ma solo con la metà dei voti dei deputati di Alianza popular (la formazione da cui è nato il Partito popular, Pp). L’altra metà votò contro o si astenne. All’epoca il futuro premier José María Aznar, allora giovane militante di Ap, scriveva articoli che attaccavano la costituzione. Un anno prima era stata votata la Ley de amnistía (l’amnistia) per i franchisti.

Il patto costituzionale era concepito per essere in armonia con lo statuto di autonomia della Catalogna approvato nel 1979. E in effetti i due documenti hanno convissuto per trent’anni, finché quel meccanismo istituzionale non è invecchiato e la Catalogna ha cominciato a chiedere un nuovo statuto (Estatut in catalano), anche perché nel frattempo a diverse altre regioni (Cantabria, Murcia, Rioja, per esempio) era stata concessa un’autonomia simile a quella catalana. Molti hanno dimenticato un aspetto importante della fase costituente: la Catalogna era un soggetto nazionale, come il Paese Basco e la Galizia, e come tale avrebbe dovuto essere trattata.

Giustizia e politica

Davanti al tentativo di riformare l’Estatut, i conservatori hanno alimentato una catalanofobia che ha finito per mettere in moto quel fenomeno che più tardi si sarebbe trasformato in indipendentismo. Nonostante la promessa del premier socialista dell’epoca, José Luis Rodríguez Zapatero, in parlamento l’Estatut ha subìto numerose modifiche. Eppure, anche depotenziato, è stato approvato attraverso un referendum che ha dimostrato il buon senso degli elettori catalani, ovviamente delusi dal testo votato.

Incapace di trovare soluzioni, nel 2017 Mariano Rajoy ha trasformato un grave scontro politico in un gravissimo conflitto giudiziario

È stato a quel punto che l’irresponsabile premier popolare Mariano Rajoy ha deciso di presentare un ricorso durissimo alla corte costituzionale e, quel che è peggio, alimentare un clima di accesa ostilità nei confronti di tutto ciò che era catalano, creando una frattura sociale tra questa comunità e il resto della Spagna. Poi è arrivata la pessima sentenza della corte, che ha dichiarato incostituzionali 14 articoli dello statuto, mutilandolo ulteriormente e facendo sentire la Catalogna umiliata e penalizzata, dato che era stata privata di competenze ottenute senza problemi da altre comunità autonome, come l’Andalusia e il Paese Basco.

Nel frattempo i popolari continuavano a gettare benzina sul fuoco del catalanismo, anche più moderato, accelerando la sua trasformazione in un indipendentismo fortemente emotivo. Il ministro più vicino a Rajoy, Jorge Fernández Díaz, ha usato fondi pubblici e agenti delle forze dell’ordine per inventare e diffondere calunnie contro i leader catalanisti. Naturalmente non ha dovuto risponderne davanti alla giustizia. Mentre il Pp alimentava in questo modo l’indipendentismo, la Generalitat catalana ne ha approfittato per organizzare, il 1 ottobre 2017, un referendum senza alcuna base legale. Invece di ignorarlo o cercare di fermarlo attraverso il dialogo politico, il governo ha inviato a Barcellona un gran numero di poliziotti che hanno caricato chiunque fosse nei paraggi di un’urna elettorale. Quella reazione ha inasprito ancora di più il conflitto.

Con la situazione sempre più tesa e lo scontro ormai aperto, il 27 ottobre il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, ha detto davanti al parlamento catalano che il “risultato” del referendum era “un mandato per trasformare la Catalogna in uno stato indipendente sotto forma di repubblica”. Quelle parole sono state accolte e applaudite come una dichiarazione d’indipendenza solo da due gruppi parlamentari. Riprendendo il discorso, Puigdemont ha poi annunciato al parlamento la sospensione dell’indipendenza, “affinché nelle prossime settimane si possa avviare un dialogo, senza il quale non è possibile arrivare a una soluzione concordata”. In totale lo spettacolo è durato 56 secondi.

Ma il governo del Pp ha ritenuto comunque di dover applicare per la prima volta l’articolo 155 della costituzione, sospendendo l’autonomia della Catalogna. Il Partito socialista (Psoe), già guidato da Pedro Sánchez, ha appoggiato i popolari in senato. Solo uno sparuto gruppo di sindaci socialisti catalani si è opposto.

Incapace di trovare soluzioni, Rajoy ha finito per trasformare un grave scontro politico in un gravissimo e sovradimensionato conflitto giudiziario. Il suo governo ha chiesto al tribunale supremo, l’organo penale più sbilanciato a destra del paese, di punire quei maldestri soggetti come fossero golpisti. Le autorità hanno quindi inventato un presunto reato di “ribellione” che nessun giurista sensato riterrebbe congruo, a meno che non sia animato da motivazioni politiche. Così facendo hanno privato delle sue prerogative il Tribunal superior de justicia de Cataluña, cioè l’autorità competente sul caso. Durante le deposizioni sono stati convocati come testimoni dell’accusa gli esponenti delle forze di sicurezza che avevano represso quella parvenza di referendum.

Costretto ad assolvere gli accusati da un reato inesistente, il tribunale in compenso ha inasprito al massimo le pene per quello di sedizione, un reato anacronistico che non esiste in nessun paese europeo e che in Spagna non era mai stato punito. Il furore nazionalista spagnolo stava attaccando un altro nazionalismo, quello catalano. In quel periodo nessuna voce critica si è levata dal Psoe contro il governo e la sua strategia. Era chiaramente una questione politica. Quando nell’autunno del 2017 ho scritto cinque articoli per il Periódico de Catalunya in cui criticavo il governo, sono stato attaccato duramente dal ministero degli esteri e da quello della giustizia, in teoria per questioni burocratiche. In realtà era un attacco alla mia libertà di pensiero e di espressione.

Nell’interesse del paese

La sentenza del tribunale supremo di Madrid, nel 2019, è stata una chiara distorsione del diritto, operata per ottenere pene pesantissime e demonizzare gli accusati. E il Psoe ha continuato a non battere ciglio. “Non concederemo mai l’amnistia”, ha dichiarato allora Sánchez. Tuttavia, l’aritmetica della politica e una certa audacia alla fine l’hanno convinto a farlo due anni dopo. In pochi l’hanno applaudito, perché era un rischio. In seguito Sánchez ha preso un’altra decisione corretta: ha cancellato l’anacronistico reato di sedizione.

Dopo i risultati incerti delle elezioni dello scorso luglio (vinte dal Pp, che però non ha i numeri per formare un governo), Sánchez ha modificato le sue idee sull’amnistia, proponendo una legge per discolpare gli attivisti coinvolti nel referendum catalano del 2017. Fare a posteriori di necessità virtù, o giustificare la decisione presa dicendo di voler impedire l’arrivo al governo dell’estrema destra di Vox, è una scelta non imparziale ma comprensibile. Il presidente del governo ha detto di avere agito “nell’interesse della Spagna”. Ascoltandolo alla radio ho sorriso. Due anni e mezzo prima, in un’intervista sull’amnistia, avevo usato lo stesso concetto. Come accade ad altri progressisti indipendenti e liberi, quello che è successo mi spinge a guardare avanti e a continuare ad appoggiare in piena coscienza l’amnistia per gli indipendentisti catalani. ◆ as

Jesús López-Medel è un giurista spagnolo, ex parlamentare e professore di diritto, e oggi avvocato dello stato.

Da sapere
Le tappe istituzionali

23 luglio 2023 Nelle elezioni legislative il più votato è il Partito popolare (Pp, 33 per cento), seguito dai socialisti (Psoe, 30,7 per cento), dall’estrema destra di Vox (12,4 per cento), dalla coalizione di sinistra Sumar (12,3 per cento) e dalle forze minori autonomiste e localiste.

22 agosto Il leader dei popolari Alberto Núñez Feijóo riceve dal re Felipe IV l’incarico di formare un governo. Trova un accordo con Vox e altri partiti minori, ma non basta per ottenere la fiducia del parlamento.

3 ottobre L’incarico viene affidato al leader socialista e premier uscente Pedro Sánchez, che ha il sostegno di Sumar e comincia a negoziare con le forze indipendentiste e autonomiste.

10 novembre Sánchez perfeziona l’ultimo degli accordi con gli autonomisti, quello con il Partito nazionalista basco e Coalición Canaria, che dovrebbero garantirgli una maggioranza parlamentare di 179 seggi su 350. Gli accordi con le forze catalane, galiziane, basche e canarie prevedono nuove prerogative per i governi autonomi e un’amnistia sui reati commessi dagli indipendentisti catalani negli anni dello scontro frontale con Madrid. L’intesa è attaccata con toni durissimi dai popolari e dall’estrema destra di Vox, ma è criticata anche da una parte del Partito socialista.

12 novembre Dopo alcune manifestazioni violente organizzate da gruppi vicini a Vox contro il Partito socialista, a Madrid circa 400mila persone partecipano a una mobilitazione convocata dal Pp per protestare contro l’accordo di governo sottoscritto da Sánchez e l’amnistia per gli indipendentisti catalani. Nei giorni seguenti in tutto il paese continuano le proteste. El País, El Mundo


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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati