Un momento: il Magnum e il Cornetto non erano una promessa di dolcezza, di leggerezza, d’estate? Una promessa rinnovata a ogni angolo: al cinema, nelle piscine all’aperto e nei supermercati? Quando c’era il sole un bel gelato Langnese (marchio che in Italia corrisponde all’Algida) sembrava irrinunciabile. O almeno così ci ha fatto credere per anni la pubblicità. Ora però la Unilever, l’azienda proprietaria della Langnese, ha annunciato di volersi concentrare sui “marchi di fascia superiore”, che non fanno i gelati. La produzione di questi sarà affidata a un’azienda separata. Sembrerebbe una vicenda innocua, e invece è un brutto segno. La leggerezza del Magnum e del Cornetto lascia il posto a un’atmosfera più pesante.

A Übach-Palenberg, nel land della Renania Settentrionale-Westfalia, le cose vanno diversamente. Qui, tra campi coltivati e pale eoliche, sorge una fabbrica di gelati di proprietà della catena di dis­count Lidl.

Berlino, Germania, 17 maggio 2024

All’interno fa freddo e i nastri trasportatori sono larghi come strade. Un macchinario pompa una massa bianca e cremosa attraverso un tubo, mentre intorno si spande profumo di vaniglia. Poi, velocissima, la macchina conficca bastoncini di legno in ogni porzione e più giù lungo il nastro le fettine di vaniglia vengono immerse nel cioccolato liquido con scaglie di mandorla. Il risultato sembra proprio un Magnum, e infatti qui nello stabilimento parlano, senza mezzi termini, di “Magnum-style”.

La Lidl lo sta copiando su grande scala: un milione di volte al giorno, tutti i giorni. Al contrario della Unilever, qui non c’è traccia di una crisi del gelato. Anzi, questa fabbrica è una delle più grandi d’Europa. Il sito della Lidl si celebra senza pudore: “Nessuno è più cool di noi”.

Il gelato è solo uno dei tanti esempi possibili per descrivere la variazione dei rapporti di forza in corso. Se un’azienda come la Lidl, che è stata a lungo un gigante della grande distribuzione in Germania, comincia a produrre in proprio un gran numero di generi alimentari, s’innesca una trasformazione nel tessuto economico. E non necessariamente in meglio.

Più un’azienda diventa potente, più aumenta il rischio che abusi del suo potere: all’improvviso i vecchi fornitori, come la Unilever, diventano concorrenti che è facile estromettere dal mercato, rendendogli difficile arrivare ai consumatori. E quando questo succede, gli agricoltori, se non vogliono che i loro prodotti restino in magazzino, si trovano costretti a venderli a qualsiasi prezzo gli sia imposto.

Berlino, Germania, 17 maggio 2024

All’inizio del 2024, in risposta alle proteste degli agricoltori che vedevano minacciata la loro sopravvivenza, il ministro dell’economia Robert Habeck, dei Verdi, ha dato la colpa alla grande distribuzione, dichiarando in parlamento che “il problema principale è lo strapotere concentrato dal lato della domanda”. Quello che intendeva dire è che se la grande distribuzione diventa sempre più potente, può attirare clienti grazie a offerte eccezionali di cui scarica i costi sui fornitori, per esempio sugli agricoltori.

Fiore all’occhiello

È esattamente quello che sta succedendo in Germania: la Lidl è sempre più potente. In realtà, però, quest’azienda è solo il fiore all’occhiello del gruppo Schwarz, di cui fa parte anche la catena di ipermercati Kaufland e che gestisce quasi 14mila negozi in trenta paesi. Più di 575mila persone lavorano per rendere ancora più grande questo gigante con sede a Neckarsulm, nel land del Baden-Württemberg.

Gli effetti ormai si vedono su tanti prodotti, come il gelato, la cioccolata, il caffè, la pasta e il pane. Insomma, le cose che finiscono nel carrello ogni volta che si va a fare la spesa. Passando quasi del tutto inosservata, la Lidl è diventata uno dei maggiori produttori di generi alimentari in Germania, forse addirittura il più grande, visto che probabilmente ha superato anche il gruppo Oetker, che nel 2022 risultava il leader di mercato per valore dei prodotti alimentari.

La variazione dei rapporti di forza non riguarda solo la Lidl, ma più in generale l’evoluzione di quella che in origine era un’invenzione tedesca, cioè il discount. Sono stati i fondatori della Aldi, Karl e Theo Albrecht, ad abbassare enormemente i costi negli anni sessanta lanciando un modello d’azienda diventato uno standard nella distribuzione alimentare.

Oggi il settore in Germania è dominato da quattro grandi marchi: la Lidl, la Aldi, la Rewe e la Edeka con i relativi discount Penny e Netto. Insieme valgono l’80 per cento della distribuzione alimentare tedesca.

L’alto tasso d’inflazione di questi ultimi anni ha alimentato la corsa al prezzo più basso. Secondo la società per la ricerca sui consumi Gfk nel 2022 tra i tedeschi che dovevano risparmiare uno su due lo faceva principalmente sostituendo articoli di marca con prodotti del discount. Insomma, vai con il “Magnum-style”, tanto chi nota la differenza? In questo periodo, aggiunge la Gfk, perfino i consumatori più fidelizzati hanno cominciato a dividersi tra le varie catene. Anche a dicembre, il mese dello champagne e dell’arrosto dei giorni di festa. Mai come in questo periodo i discount hanno registrato aumenti di fatturato così superiori a quelli degli altri supermercati.

Fiuto per gli affari

La Lidl è l’azienda che ha saputo sfruttare più di tutte la situazione favorevole. Nel 2022 il fatturato complessivo del gruppo Schwarz è cresciuto del 14 per cento, arrivando a 154 miliardi di euro. L’azienda ha aperto quattrocento nuovi negozi in tutto il mondo. Il fondatore, Dieter Schwarz, 84 anni, ha inaugurato il primo supermercato della Lidl all’inizio degli anni settanta a Ludwigshafen e grazie al suo fiuto per gli affari è diventato miliardario. Ci sarebbe piaciuto parlarne con lui, ma ha rifiutato: “Non rilascio interviste”.

Anche per questo ci ha sorpreso il fatto che il gruppo, tradizionalmente inaccessibile, in primavera ci abbia permesso di entrare nello stabilimento di Übach-
Palenberg, vero e proprio centro del suo nuovo potere. Nella più grande fabbrica della Schwarz Produktion (la denominazione ufficiale del ramo del gruppo) non si producono solo cloni del Magnum, ma quasi tutto quello che è possibile trovare in una tipica dispensa tedesca.

Se, in caso d’emergenza, si dovesse cercare un posto in grado si sfamare buona parte della popolazione, probabilmente ci si fermerebbe qui.

Proprio accanto alla fabbrica del gelato si produce cioccolata in quello che l’azienda definisce uno degli “stabilimenti più grandi e moderni d’Europa”. Ogni giorno una quantità di massa di cacao liquida pari al carico di otto camion è pressata in forma di tavolette.

Berlino, Germania, 17 maggio 2024 (Marcus Glahn)

Accanto si imballano noci e frutta secca, con l’obiettivo di arrivare presto a 47mila tonnellate all’anno. E poi c’è un panificio industriale di dimensioni enormi: la Lidl inforna tredicimila pagnotte all’ora.

Daniel Monawari apre la porta di un capannone in cui luccicanti serbatoi in acciaio svettano come le colonne di una cattedrale. “È il nostro santuario”, commenta lo spiritoso capo panettiere mentre, con addosso il grembiule bianco, costeggia i serbatoi in cui fermentano migliaia di chili di lievito. Ne ha messo un po’ in un bicchiere e affondandoci un cucchiaio dice: “Assaggiate, forza!”. Il lievito sa di mela, quasi come uno yogurt, un po’ acido.

È tutto come in un panificio artigianale, solo su scala maggiore. Sono parole che Monawari ripete più volte durante il nostro giro. Per lui – mastro fornaio, tecnico alimentare e direttore di questa fabbrica – è importante ribadirlo, anche in barba all’evidente automazione e ai macchinari presenti.

Perché in effetti qui di lavoro umano praticamente non ce n’è. Nei capannoni di questa fabbrica su vari piani, con tredici linee di produzione altamente automatizzate dedicate solo a prodotti da forno come pane, panini, cornetti, ciambelle, krapfen, i dipendenti sono pochissimi. Secondo l’associazione nazionale dei panificatori tedeschi, nel 2022 in Germania hanno chiuso 780 panifici a prevalenza artigianale. Ancora non sono disponibili dati più recenti.

Il fatturato dei panificatori artigianali si è ridotto del 9,4 per cento.

Berlino, Germania, 17 maggio 2024 (Marcus Glahn)

Ma non si tratta solo dei prodotti da forno. Anche il più grande pastificio industriale tedesco è della Lidl e sta a Erfurt. Il caffè, invece, l’azienda lo tosta a Rheine, nella Renania Settentrionale-Westfalia, mentre l’acqua minerale e altre bevande sono imbottigliate in cinque diverse strutture. La Lidl ha un impianto di riciclaggio, una ditta di spedizioni, una cartiera dove realizza i volantini con le offerte speciali della settimana.

Anche gli altri operatori della grande distribuzione producono generi alimentari. La Rewe e il suo discount Penny hanno tremila dipendenti che, in sei diversi stabilimenti, producono carne e insaccati del marchio Wilhelm Brandenburg. Il fatturato annuale è di 850 milioni di euro. La Edeka, invece, possiede una fabbrica di insaccati (la Gutfleisch) e un’azienda che imbottiglia l’acqua minerale, più una dedicata alla produzione di succhi di frutta. Nel 2023 la Aldi ha comprato il gruppo Altmühltaler Mineralbrunnen, sempre nel settore bevande. Insomma, gli altri gruppi seguono un modello simile a quello della Lidl, ma senza agire con la stessa determinazione quando si tratta di creare i propri impianti.

Questa strategia si chiama integrazione verticale. Si applica quando non c’è più molto da guadagnare facendo concorrenza diretta ai rivali. Concretamente significa che un’azienda come la Lidl, quando smette di crescere a livello orizzontale, cioè sottraendo fette di mercato e di profitto alla Aldi, alla Rewe e alla Edeka, comincia a guardare alla propria catena di approvvigionamento, espandendosi a spese dei fornitori che, occupandosi di produzione ma non di vendita diretta, hanno un problema: non possono arrivare al consumatore finale.

Nel 2021 e nel 2022 la Lidl ha lanciato una campagna pubblicitaria con lo slogan Du hast die Wahl (La scelta è tua) che chiarisce bene quali sono le implicazioni di questo meccanismo. La Lidl paragonava i suoi prodotti a quelli di marca, rappresentando i primi su uno sfondo bianco, i secondi su uno sfondo nero. Cosa compreranno i clienti? Il Golden toast originale a 1,39 euro o la copia della Lidl a 79 centesimi? La Coca-Cola a 89 centesimi o la copia a 39 centesimi? Il pacco da sei gelati Magnum a 3,69 euro o la copia a 1,99 euro?

Peter Feller, vicedirettore dell’Unione nazionale dell’industria alimentare tedesca, sottolinea che la tendenza all’integrazione verticale nelle aziende della distribuzione alimentare è “una sfida importante” al settore. Secondo lui, la concorrenza tra i classici articoli di marca e i prodotti da discount o da supermercato “è aumentata in modo evidente”.

La situazione dipende anche dai consumatori tedeschi, sempre in cerca di offerte speciali e prodotti alimentari a basso costo

Se la Lidl si mette a fare concorrenza ai suoi fornitori, quali prodotti sarà più probabile trovare sugli scaffali del supermercato? E se li dovessimo trovare entrambi, come saranno collocati?

Il posizionamento delle merci sugli scaffali è infatti determinante per il fatturato. Bisogna considerare quali sono collocati all’altezza degli occhi e quali si aggiudicano gli “scaffali a gondola”, cioè il lato corto, dove si può contare su un fatturato da quattro a dodici volte più alto che altrove. Secondo Stephan Rüschen, “gli altri produttori del settore non sono certo entusiasti dell’attivismo del gruppo Schwarz”. Rüschen insegna a Heilbronn, all’università del Baden-Württemberg, il più importante ateneo tedesco specializzato in discipline economiche. Quasi tutti i rivenditori di prodotti alimentari formano lì il proprio personale.

In passato Rüschen è stato amministratore delegato dell’azienda della grande distribuzione Metro Cash & Carry, ma oggi dicendo di parlare da funzionario statale indipendente sostiene che quella in atto è una lotta senza quartiere per spartirsi il mercato.

Necessità economiche

Dal canto loro, ovviamente, i discount la vedono diversamente. “Non vogliamo spaventare nessuno e non abbiamo sete di potere”, sostiene l’amministratore delegato della Schwarz Produktion, Jörg Aldenkott. Per lui quello che sta succedendo a Übach-Palenberg è riconducibile a necessità economiche e logiche commerciali tipiche di un’azienda in rapida crescita: “Negli ultimi anni, con la Lidl e la Kaufland il gruppo Schwarz è cresciuto parecchio, nell’ordine di miliardi ogni anno”. Perciò, continua Aldenkott, per rifornire le tante filiali servono scorte alimentari in quantità inimmaginabili, che per essere prodotti richiedono investimenti insostenibili per le aziende di medie dimensioni. “A un certo punto, quindi, abbiamo capito che tante cose dobbiamo produrcele da soli”.

Prima di aprire nuovi stabilimenti industriali, la dirigenza si chiede quali caratteristiche deve avere un prodotto perché funzioni. “In questo senso, siamo ovviamente avvantaggiati rispetto alla concorrenza”, dice Aldenkott. “Abbiamo progettato tutto ex novo, investendo negli impianti più moderni”. I produttori consolidati, invece, spesso hanno macchinari vecchi di decenni, e quindi sono meno efficienti.

Prima che si affermasse la tendenza alla verticalizzazione, i discount e i supermercati facevano confezionare i prodotti con il loro marchio dagli stessi produttori degli articoli di marca, magari fornendo proprie ricette e indicazioni, ma usando i loro impianti. Poi le linee di prodotti dei supermercati e dei discount sono cresciute a tal punto nelle vendite che, oltre a trattare sul prezzo degli articoli di marca con i vecchi fornitori, si poteva anche minacciare di non comprarli più.

Nessuno, sostiene conciliante Aldenkott, deve temere che la concorrenza lo estrometta dal mercato. Anni prima di progettare una nuova fabbrica, la Lidl si siede a un tavolo con i fornitori abituali per considerare l’eventualità di espanderne la capacità produttiva. “Per la Lidl e la Kaufland la cosa fondamentale è evitare i colli di bottiglia”. Gli scaffali di tutte le filiali devono essere sempre pieni. Insomma, è solo una questione di rifornimenti.

Eppure suona come una minaccia e, dal punto di vista di molti fornitori, lo è. Inoltre, le manovre del gruppo Schwarz e di altri discount influiscono anche su dinamiche che non è facile identificare immediatamente come manifestazioni negative del capitalismo. Lo vediamo soprattutto quando si parla del benessere degli animali. Di recente la Lidl ha ricevuto forti critiche per le condizioni degli allevamenti di pollame dei suoi fornitori. Secondo la fondazione Albert Schweitzer, nelle stalle sovraffollate vegetano animali feriti costretti a vivere nei loro stessi escrementi. La Lidl ha respinto le accuse, ma mezzo milione di persone ha aderito alla raccolta firme.

Allevamenti di livello tre

A metà aprile l’azienda ha pubblicato su molti giornali, tra cui Die Zeit, enormi annunci che recitavano: “Ci impegniamo per un maggior benessere degli animali”. Lo slogan compariva sull’immagine di una mucca al pascolo, così tranquilla da sembrare più che soddisfatta di andarsene al macello per la Lidl. Ma il vero elemento di novità era scritto accanto: l’obiettivo della Lidl è vendere esclusivamente carne proveniente da allevamenti di livello tre o quattro entro il 2030. Si tratta dei livelli più severi su quattro totali che vanno dall’allevamento intensivo a quello che corrisponde ai requisiti richiesti per la certificazione bio. Sono state proprio le catene di supermercati a introdurre questo sistema di classificazione degli allevamenti.

La Aldi ha promesso la stessa cosa già tre anni fa e, secondo quanto dichiara, sta facendo progressi su tutti i tipi di carne. L’azienda prevede di raggiungere alcuni obiettivi intermedi nei prossimi anni e di concludere la transizione nel 2030.

È ovvio che per la grande distribuzione al centro di tutto questo c’è l’immagine, soprattutto ora che in Europa, secondo l’associazione per la tutela dei consumatori, nove clienti su dieci vogliono che un animale viva bene prima di finire nei loro piatti. Ma, al contrario dei discount, la politica per anni non è riuscita a intervenire in modo sostanziale.

Incassi miliardari
Fatturato delle principali catene di discount in Germania, miliardi di euro, 2022 (Fonte: EhI/Die Zeit)

L’ultimo tentativo risale al 2019, quando la ministra dell’agricoltura dell’epoca, la cristianodemocratica Julia Klöckner, diede vita alla commissione Borchert, che prendeva il nome da un suo predecessore. Nel 2023, sotto un nuovo ministro dell’agricoltura, il verde Cem Özdemir, la commissione, ormai stremata, ha terminato il suo lavoro dichiarando che il supporto e il sostegno economico della politica all’aumento del benessere animale “non lasciano intravedere all’orizzonte la svolta necessaria”.

Nel frattempo anche Öz­demir ha proposto un sistema di classificazione degli allevamenti, in questo caso a cinque livelli. Ma la politica sembra sempre il fanalino di coda: i dis­count hanno deciso da un pezzo come e quando deve migliorare la condizione degli animali. La Lidl e la Aldi parlano con i fatti: costringono gli agricoltori ad adattarsi alle loro richieste anche se non c’è nessuna certezza di riuscire a compensare i costi generati dai vincoli più stringenti o dalla riduzione forzata dei prezzi.

Il conflitto nel settore alimentare cova sotto la cenere, nutrito da accuse che cambiano negli anni: gli agricoltori contro i ministri dell’agricoltura, contro i dis­count, contro i consumatori. C’è sempre qualcuno con cui prendersela quando agli agricoltori tocca investire, come succede ora per la questione del benessere degli animali. Eppure la situazione dipende anche dai consumatori tedeschi, sempre in cerca di offerte speciali e prodotti alimentari a basso costo. Nell’Unione europea solo in Irlanda, Lussemburgo e Austria la percentuale del budget familiare per la spesa alimentare è inferiore a quella della Germania.

Anche se negli ultimi tempi i prezzi degli articoli dei discount sono cresciuti di più rispetto a quelli dei prodotti di marca (in media del 40 per cento dal 2022 al 2023), da questo punto di vista ai consumatori la politica commerciale dei dis­count conviene: visti i margini ridotti, i discount devono sì scaricare più velocemente i costi sui clienti rispetto alle aziende di marca, ma nonostante tutto i loro prodotti continuano a essere i più economici.

L’esperimento

Solo che la questione dei costi non si esaurisce così. Le conseguenze per l’ambiente e i produttori non sono infatti registrate dalla cifra riportata sullo scontrino. Nell’estate 2023 il discount Penny ha perfino tentato un esperimento, organizzando una settimana promozionale “A costi veri”, durante la quale numerosi articoli erano venduti al prezzo ritenuto necessario per includere anche l’impatto ambientale della produzione alimentare. Il calcolo era stato fatto dai ricercatori dell’università di Greifswald e del politecnico di Norimberga sommando i costi indiretti della produzione alimentare, per esempio il trattamento dell’acqua potabile inquinata dai fertilizzanti. La carne e i latticini avevano subìto un rincaro fino al 94 per cento, mentre per i prodotti bio e per i sostituti della carne la differenza era decisamente inferiore. Maasdamer a fette, 300 grammi: 4,84 euro invece di 2,49; Wurstel, 400 grammi: 6,01 euro invece di 3,19; cotoletta vegana, 500 grammi: 2,83 euro invece di 2,69.

I ricercatori di Greifswald hanno intervistato i consumatori. Tra quelli che compravano il Maasdamer più costoso o i Wurstel da sei euro c’era chi riteneva accettabile fare una donazione a favore di progetti a tutela del clima e di aziende agricole a conduzione familiare.

La maggior parte dei consumatori, però, la pensava diversamente: il numero dei clienti che non hanno preso in considerazione l’acquisto era più del doppio. E non perché a loro l’ambiente non stesse a cuore, ma perché quella merce risultava semplicemente troppo cara. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati