Viviamo in un mondo in cui le crisi assumono dimensioni sempre più globali, a cominciare dalle due grandi sfide del presente: la pandemia di covid-19 e l’emergenza climatica. Nessuna delle due si ferma ai confini nazionali e ognuna può essere affrontata solo con un impegno condiviso. Nel caso della pandemia questo ha funzionato almeno in parte, anche se soprattutto a beneficio dei paesi più ricchi. Sul clima invece non funziona affatto. Per questo sembrava un segnale incoraggiante che prima della 26ª conferenza delle Nazioni Unite sul clima, cominciata il 31 ottobre a Glasgow, i leader del G20 si incontrassero a Roma per parlare, tra le altre cose, di nuove misure in questo ambito. Stiamo parlando dei venti paesi industrializzati responsabili di quattro quinti delle emissioni mondiali di anidride carbonica, tra cui Stati Uniti, Cina, India e Russia.

Ma le dichiarazioni finali del vertice contengono ben poco su una maggiore tutela del clima. Piuttosto sembrano confermare che in questi incontri si cerca soprattutto di negoziare i propri interessi particolari, e molto meno di cooperare per il bene comune.

Un ottimo esempio è il messaggio che il 31 ottobre ha fatto il giro del mondo: i paesi del G20 vogliono limitare l’aumento della temperatura media globale a meno di 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale. Quest’affermazione è più o meno vera, ma la sua importanza è molto più limitata di quanto può sembrare, perché non ci sono indicazioni concrete su come raggiungere l’obiettivo. Per prima cosa la data prevista per l’azzeramento delle emissioni nette globali: “entro o intorno alla metà del secolo” non si potrà produrre più anidride carbonica di quanta ne viene assorbita, ma non c’è niente di preciso. Secondo, non è stata indicata nessuna data per l’abbandono del carbone come fonte di energia, anche se si era parlato dell’inizio del prossimo decennio.

Così il G20 si limita a ribadire quello che l’accordo di Parigi sul clima aveva già affermato sei anni fa: bisogna limitare il riscaldamento della Terra a 1,5 gradi. Appariva chiaro già allora che questo era solo un punto di partenza. Includere nella dichiarazione del vertice del G20 l’obiettivo di 1,5 gradi può essere considerato un buon segno da una prospettiva diplomatica. Ma senza indicazioni precise su come tradurlo in pratica non ha molto valore, specialmente perché appare chiaro che gli sforzi attuali degli stati sono insufficienti per raggiungere l’obiettivo di Parigi.

Per questo è ancora più urgente trovare subito delle soluzioni per avvicinarsi almeno al traguardo stabilito allora, cioè per somministrare all’accordo di Parigi una specie di dose di richiamo. Il contesto più adatto non era il vertice del G20 ma la conferenza di Glasgow, dove per due settimane migliaia di negoziatori elaboreranno proposte dettagliate. Molti però si aspettavano che i leader del G20 dessero almeno un impulso in questo senso.

Emissioni di CO2
Pesi massimi
Emissioni di anidride carbonica nel 2019, miliardi di tonnellate. (Fonte: Our world in data)

Prima noi

Invece il G20 potrebbe perfino rendere le cose più difficili per i negoziatori di Glas­gow. Le ambizioni iniziali del vertice, come quella di azzerare le emissioni globali entro il 2050, sono state sempre più indebolite durante i negoziati finché non è rimasto quasi niente. Evidentemente l’hanno avuta vinta quegli stati che non cercavano soluzioni costruttive, ma che dalle trattative volevano trarre più vantaggi e, soprattutto, meno svantaggi possibile. Come la pandemia, però, anche l’emergenza climatica è una questione di solidarietà. È necessario aiutare i paesi poveri che sono già penalizzati dagli effetti del cambiamento climatico ma non hanno le risorse per costruire un’economia più sostenibile. Non serve solo un sostegno finanziario, su cui del resto è d’accordo anche il G20, ma bisogna anche che i paesi industrializzati facciano tutto quello che possono per ridurre le loro emissioni.

Da sapere
Le conclusioni

◆ Il 30 e il 31 ottobre 2021 si è svolto a Roma il 16° vertice del G20, il gruppo informale che riunisce l’Unione europea e 19 delle maggiori economie del mondo. È stato il primo incontro dal vivo dall’inizio della pandemia di covid-19.

◆Il principale tema all’ordine del giorno era la lotta al cambiamento climatico. I leader presenti hanno sottoscritto l’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature globali a meno di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali ed azzerare le emissioni nette di gas serra “entro o intorno alla metà del secolo”. Inoltre si sono impegnati a non finanziare la costruzione di centrali a carbone all’estero e a portare a cento miliardi di dollari all’anno i finanziamenti per aiutare la transizione energetica nei paesi poveri.

◆Il vertice ha approvato l’introduzione di una tassa globale minima del 15 per cento sui profitti delle multinazionali, proposta a maggio dagli Stati Uniti, che dovrebbe entrare in vigore nel 2023.

◆I leader del G20 hanno inoltre dichiarato di voler favorire il raggiungimento dell’obiettivo fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità di vaccinare contro il covid-19 il 40 per cento della popolazione globale entro il 2021 e il 70 per cento entro la metà del 2022.

◆A margine del vertice, Stati Uniti e Unione europea hanno raggiunto un accordo per mettere fine alla disputa commerciale provocata dalle tariffe imposte nel 2018 dall’amministrazione di Donald Trump sull’acciaio e sull’alluminio importati dall’Europa.

◆Il 31 ottobre a Glasgow, in Scozia, è cominciata la 26ª conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop26), che si concluderà il 12 novembre. Le delegazioni di 197 paesi dovranno presentare i loro piani aggiornati per la riduzione delle emissioni di gas serra e perfezionare alcuni aspetti cruciali dell’accordo di Parigi del 2015. Il 2 ottobre più di ottanta paesi hanno sottoscritto l’accordo proposto da Stati Uniti e Unione europea per ridurre le emissioni di metano del 30 per cento entro il 2030. The Guardian


Tuttavia i paesi più legati ai combustibili fossili come la Russia e la Cina, in particolare, seguono la logica del “prima noi”. La Cina è il paese che emette più gas serra al mondo, ma insiste che gli Stati Uniti hanno emissioni pro capite molto più alte, e quindi dovrebbero cominciare loro a dare il buon esempio. Anche la Russia è stata di poche parole: la sua scadenza per azzerare le emissioni nette resta il 2060, ha detto il ministro degli esteri Sergei Lavrov.

Gli stati che vorrebbero misure più ambiziose hanno pochi argomenti da contrapporre. Gli Stati Uniti hanno smesso da tempo di dettare il ritmo e i contenuti dei negoziati internazionali, ma rimangono comunque protagonisti. Tuttavia il presidente Joe Biden appare indebolito in patria, e proprio a causa di un progetto che riguarda soprattutto la salvaguardia del clima: il suo pacchetto sulle infrastrutture, che contiene anche misure per la riduzione delle emissioni, è bloccato al congresso. Biden ha già ridimensionato i suoi obiettivi, ma non è bastato. Quindi gli Stati Uniti non sono quell’esempio sfolgorante di politica climatica che all’inizio del mandato di Biden sembravano dover diventare. Questo rende più facile alla Cina puntare il dito contro gli altri, e probabilmente ha contribuito al fatto che il vertice G20 non abbia prodotto l’effetto trainante che avrebbe potuto avere.

E l’Unione europea? Ufficialmente si è presentata alla conferenza di Glasgow con una posizione comune. Ma nelle scorse settimane il tema del clima ha suscitato duri conflitti anche all’interno dell’Europa. La Polonia e l’Ungheria, già in contrasto con la Commissione, lo usano come strumento di pressione e sono state recentemente affiancate dalla Repubblica Ceca, che di fronte all’impennata dei prezzi dell’energia ha cercato di riportare indietro gli obiettivi europei. La Francia si è alleata con la Polonia per sostenere il ruolo dell’energia nucleare. E l’intesa vacilla anche su altri temi. Ma l’Europa ha bisogno di coesione se vuole svolgere un ruolo di mediatrice fra i suoi rivali, gli Stati Uniti e la Cina.

Il fardello di aspettative ricade quindi ancora di più sulle spalle dei negoziatori di Glasgow. Spetterà a loro cucire le divisioni geopolitiche del G20 in un sistema d’impegni vincolanti sulle politiche climatiche, che secondo il presidente della Cop26 Alok Sharma è l’ultima possibilità per raggiungere l’obiettivo degli 1,5 gradi. Ma alla fine dei conti neanche questo servirà a molto se non c’è comunità d’intenti tra i grandi paesi industrializzati. La conferenza sul clima non può sostituire la volontà politica di agire insieme. ◆mp

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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati