Francia, Stati Uniti e ora la Germania: il 6 luglio Berlino ha annunciato il ritiro degli ultimi 38 soldati dal Niger entro il 31 agosto. Dopo il colpo di stato del 26 luglio 2023, nella capitale nigerina Niamey sono stati rimpatriati quasi tutti i militari stranieri inviati nel paese, che un tempo era considerato un alleato dell’occidente nella lotta al terrorismo jihadista nel Sahel.

Abdourahamane Tchiani, il generale al potere, ha scelto un riallineamento strategico e si è rivolto alla Russia, alla Turchia e all’Iran. L’unica presenza occidentale rimasta è quella dell’Italia, che dal 2018 prosegue la sua missione bilaterale di supporto in Niger. L’obiettivo di Roma è chiaro: limitare i flussi migratori dall’Africa subsahariana, contribuendo, in particolare, alle “attività di sorveglianza delle frontiere”.

Il metodo è lo stesso adottato in Tunisia e in Libia, altri due paesi sulle rotte dei migranti. Il 17 luglio si è svolto a Tripoli, in Libia, un forum sul tema, durante il quale la presidente del consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha riproposto il piano Mattei, già presentato al vertice tra Italia e Africa del gennaio scorso, che prevede progetti di sviluppo per affrontare le cause dell’emigrazione verso l’Europa.

Secondo i dati diffusi nell’agosto 2023, in Niger ci sono circa 250 militari italiani per formare e addestrare i soldati del paese africano. “L’addestramento riguarda le forze armate, ma anche la gendarmeria e le dogane, il che riflette la volontà di combattere l’immigrazione illegale”, spiega Francesca Caruso, ricercatrice indipendente che ha lavorato per l’Istituto affari internazionali. Il ministero della difesa italiano dichiara di aver addestrato 9.235 soldati delle forze di sicurezza nigerine.

Dopo il colpo di stato l’Italia ha preso le distanze dagli altri paesi europei e ha mantenuto buone relazioni diplomatiche con le autorità nigerine, anche grazie a una strategia più conciliante verso i golpisti. La retorica anticoloniale adottata da Roma piace a Niamey. In un’intervista rilasciata a marzo al quotidiano la Repubblica, il primo ministro nigerino Ali Lamine Zeine ha ringraziato Meloni per le sue dichiarazioni del 2019 contro il franco cfa, la moneta ereditata dalla colonizzazione francese e usata in 14 paesi africani.

L’intermediario

“C’è stata una presa d’atto dopo i colpi di stato in Mali (agosto 2020) e in Burkina Faso (gennaio 2022)”, spiega Caruso. “L’Italia ha capito che doveva essere pragmatica se voleva mantenere una presenza in Niger”. All’indomani del golpe, “mentre l’Unione decideva di sospendere la cooperazione, l’Italia annunciava di voler riadattare la sua”, ricorda Luca Raineri, ricercatore presso la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Il 9 marzo i ministri nigerini della difesa e degli esteri hanno accolto due alti rappresentanti italiani. Il 28 marzo il generale dell’esercito Giovanni Caravelli, capo dei servizi di intelligence e sicurezza italiani, è stato ricevuto dal generale Tchiani.

L’Italia si trova di fatto nella posizione di intermediario tra la giunta al potere e i paesi occidentali, preoccupati anche della gestione dei flussi migratori dall’Africa subsahariana. All’ultimo vertice della Nato Meloni aveva accolto con favore l’intenzione di nominare un rappresentante speciale del segretario generale dell’alleanza atlantica per il “fianco sud”. Ma le speranze italiane sono state deluse quando il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha nominato per quel ruolo lo spagnolo Javier Colomina. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1573 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati