La Cina contro il resto del mondo. Dopo l’Unione europea e gli Stati Uniti, che hanno imposto delle barriere doganali per limitare l’importazione di veicoli elettrici cinesi, ora sono i paesi emergenti a temere il dilagare di prodotti provenienti dalla seconda potenza economica mondiale. Le loro preoccupazioni riguardano un settore in particolare, quello siderurgico.
In Cina i cantieri sono fermi. Il paese, che copriva da solo quasi un quarto della domanda mondiale di acciaio, sta quindi cercando di smaltire le sue scorte all’estero. Nel 2023 i prezzi sono crollati e le esportazioni cinesi di acciaio sono aumentate del 33 per cento. Questo ha spinto Cile, Brasile e Messico ad alzare i dazi. Altre nazioni come l’India, le Filippine, il Vietnam o la Turchia hanno avviato indagini per concorrenza sleale.
Anche la soia, un altro prodotto in eccesso in Cina sta avanzando perché gli allevamenti di maiali ne usano meno da quando il consumo di carne suina è diminuito. Nei primi quattro mesi del 2024 le esportazioni hanno raggiunto le 600mila tonnellate, con un incremento del 500 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023.
Bilancia commerciale
“I settori in sovrapproduzione sono molti”, osserva Camille Boullenois, direttrice associata del centro studi Rhodium group, “e questa non è necessariamente una buona notizia per i paesi in via di sviluppo che esportano meno verso la Cina e subiscono gli effetti dell’abbassamento dei prezzi a livello mondiale”.
Con un consumo interno in calo, a maggio le esportazioni cinesi, misurate in dollari, hanno registrato un balzo del 7,6 per cento rispetto allo stesso mese del 2023, mentre le importazioni sono cresciute solo dell’1,8 per cento. “Dopo la pandemia di covid-19, la Cina ha rimesso il turbo allo sviluppo della sua industria manifatturiera per compensare lo stallo nel settore edilizio”, spiega Sébastien Jean, che insegna economia industriale al Conservatorio nazionale delle arti e dei mestieri (Cnam) di Parigi.
In una nota pubblicata a maggio la banca d’investimenti giapponese Nomura osservava che le relazioni commerciali tra la Cina e il resto dell’Asia “stanno cambiando in modo strutturale”, con l’aumento delle esportazioni cinesi e il calo delle importazioni. La bilancia commerciale (cioè la differenza di valore tra merci esportate e importate) dei paesi della regione con Pechino continua a peggiorare. Il deficit ha raggiunto i 192,6 miliardi di dollari nel 2023 (180,44 miliardi di euro), mentre dieci anni fa era di appena 24,5 miliardi di dollari. Di recente l’ex viceministro del commercio della Malaysia, Ong Kian Ming, ha espresso il timore che le sovracapacità industriali della Cina possano trasformare il resto del mondo in una “enorme discarica dei suoi prodotti”.
Secondo gli analisti della Nomura questo cambiamento ha tre ragioni principali: la sovrapproduzione industriale cinese, una domanda asiatica dinamica e la riconfigurazione dei cicli produttivi. Con l’intensificarsi delle tensioni tra Pechino e Washington, le imprese cinesi stanno ricollocando le loro fabbriche in altri paesi, per esempio nel sudest asiatico, per aggirare le barriere doganali statunitensi.
Con la chiusura dei mercati occidentali, “dovremo indirizzarci verso i paesi in via di sviluppo”, dichiarava a metà giugno Huang Yinping, economista della banca centrale cinese, suggerendo addirittura di proporre un “piano di sviluppo verde per il sud globale”.
Anche in Africa le esportazioni cinesi non si fermano. Quasi inesistenti trent’anni fa, hanno raggiunto il valore di 164 miliardi di dollari (153 miliardi di euro) nel 2022, avvicinandosi ai 187 miliardi di euro di esportazioni fatte dall’Europa nel continente. Tuttavia l’Africa, a differenza dell’Unione europea, ha un deficit commerciale con la Cina di 40 miliardi di dollari.
“Questo deficit potrebbe in futuro generare delle tensioni, soprattutto se il divario aumenta allo stesso ritmo della produzione industriale cinese”, osserva Alicia García-Herrero, economista capo della banca d’investimento Natixis nell’Asia e Pacifico, che aggiunge: “I progressi della Cina nell’esportazione di prodotti ad alto valore tecnologico minacciano le posizioni europee nel continente”.
Posizione dominante
“Per molto tempo abbiamo creduto al modello che si rifà al volo delle oche selvatiche, secondo cui un paese in via di sviluppo sale di livello lasciando il posto a un altro”, spiega Sébastien Jean del Cnam. “La potenza dell’industria manifatturiera cinese, però, sembra non lasciare posto agli altri stati”.
Questa posizione dominante rischia di suscitare tensioni nei paesi del sud globale, dei quali Pechino vorrebbe essere portavoce. A sua difesa, la Cina nega qualsiasi sovrapproduzione industriale, definita un’invenzione dell’occidente. In un editoriale pubblicato il 16 gennaio 2024, il quotidiano nazionalista Global Times sottolineava la quota rilevante di merci semilavorate che la Cina esportava verso i dieci stati dell’Associazione dei paesi del sudest asiatico (Asean), che “permettono all’industria di svilupparsi anziché sostituire prodotti fabbricati localmente”. In effetti nei paesi dell’Asean i prodotti semilavorati importati sono il triplo di quelli finiti. Il quotidiano ricorda poi che “una parte delle esportazioni cinesi verso l’Asia sudorientale è in realtà diretta verso gli Stati Uniti”.
A sentire Pechino, l’espansione commerciale della Cina non sta avvenendo a scapito dei paesi emergenti. Tra il 2019 e il 2022, in effetti, lo spazio di queste economie nelle esportazioni mondiali è passato dal 19,8 al 20,4 per cento. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati