“Un piano per venire a lavorare qui legalmente? Sarebbe una bella cosa”. Michael Jonathan Evans ride e chiede se ha capito bene: “Cioè, gli viene dato il permesso nel loro paese in modo che possano venire qui legalmente? Certo, sarebbe molto meglio. Ora tutti quelli che arrivano qui sono irregolari”.

Evans, nato e cresciuto in Nigeria, sa bene come funziona il ciclo di migrazione in Spagna. Ci ha vissuto quindici anni, poi è tornato in Nigeria e ha perso il suo permesso di lavoro temporaneo – gliel’ha sottratto un poliziotto nigeriano, secondo Evans per rivenderlo. Così Evans è dovuto tornare in Spagna illegalmente, in barca: ha pagato qualche migliaio di euro a un trafficante, è stato per giorni in balìa delle onde sulla rotta di migrazione più pericolosa del mondo e finalmente, a ottobre, è arrivato alle isole Canarie. Da lì, è stato portato in un centro di accoglienza ad Almería, nel sud del paese. “Io voglio lavorare. Qui si guadagna bene lavorando nell’agricoltura: 30 euro al giorno se sei senza documenti, tra 40 e 45 se li hai. A me va benissimo”.

Domanda e offerta

La zona è un susseguirsi di campi pieni di serre, dove si coltivano pomodori e altre verdure. Le zone desertiche della provincia di Almería sono diventate una distesa di teli di plastica: il cosiddetto “orto d’Europa”, che è visibile anche dallo spazio e genera un fatturato di svariati miliardi. Questa è la prima tappa per molti migranti africani: qui tutti cercano braccianti, a pochi interessa che siano in regola.

Più di metà delle aziende spagnole ha carenza di manodopera e il governo vuole combinare questa enorme domanda con l’offerta di manodopera dai paesi africani, dove in molti partono alla ricerca di lavoro in Europa. Così il primo ministro socialista Pedro Sánchez è andato in Gambia, Senegal e Mauritania per concludere un accordo: controlli più severi sull’immigrazione irregolare e un programma per i lavoratori migranti che gli permetterebbe di presentare domanda direttamente nel proprio paese per lavorare stagionalmente, per esempio nelle serre. Inoltre vuole snellire i processi per ottenere i permessi di lavoro per gli immigrati già presenti. In breve: la Spagna vuole velocizzare il processo della richiesta di documenti, portandolo rapidamente verso la legalità. “Senza lavoratori migranti la nostra economia crolla”, ha detto Sánchez recentemente.

La riforma

◆ Il 19 novembre 2024 il governo spagnolo ha approvato una riforma delle norme sull’immigrazione che entrerà in vigore nel maggio 2025. Viene ridotto da tre a due anni il periodo di tempo che un migrante privo di documenti deve aver passato in Spagna per poter chiedere un permesso di soggiorno per “radici sociolavorative”; si prevede un percorso di regolarizzazione per le persone che nei due anni precedenti alla riforma avevano avuto un permesso di soggiorno, poi scaduto; si regolarizzano in via eccezionale i richiedenti asilo la cui richiesta di protezione internazionale è stata negata; viene semplificato l’iter di ricongiungimento familiare. La misura potrebbe riguardare trecentomila persone in tre anni, secondo il ministero per l’inclusione, la previdenza sociale e la migrazione.–El Diario


Maria Ruiz Clavijo, del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, dice al telefono che secondo lei gli sviluppi sono positivi. “Qualsiasi cosa possa aiutarli ad avere i documenti, è fantastica”. Anche se, dice seria, “io aspetterei a festeggiare. Simili piani devono essere accompagnati da un supporto sociale”. Oggi molti migranti vivono in baraccopoli intorno ai campi. Clavijo sostiene che bisogna anche trovare delle case e al momento c’è già una carenza di migliaia di abitazioni. “Comunque, è pur sempre un passo avanti”.

I migranti che s’incontrano ad Almería non hanno la più pallida idea dei piani del governo. Al negozio Mama Afrika, la ganeana Cynthia Adjei dice che quasi tutti gli africani che conosce – e sono tanti, sottolinea – lavorano qui senza documenti. “Non vuol dire per forza che se la passino male”, dice. “Qui gli africani hanno una vita decente. Il problema in Africa è la povertà, ecco perché la gente parte”. ◆ oa

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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati