All’indomani dell’arresto in Francia di Pavel Durov, fondatore e amministratore delegato di Telegram, è interessante notare quanto sia vario il campo di chi si è schierato in sua difesa. Come prevedibile, gli assolutisti del libero mercato e della libertà d’espressione sono stati i primi a sostenerlo, conquistati dall’assenza di regole su Telegram e dalla riluttanza – o meglio dal rifiuto – dei suoi amministratori a rispettare leggi e regolamenti. La stessa posizione è stata assunta da diverse figure pubbliche ed esponenti dell’opposizione russi, che usano Telegram per diffondere i loro messaggi. Più singolare è la presenza, nello schieramento a suo favore, dei blogger militari russi, preoccupati dall’idea che l’occidente possa avere accesso ai segreti custoditi da Telegram. Infine, nonostante in passato il presidente Vladimir Putin abbia sostanzialmente costretto il fondatore di Telegram a lasciare il paese, oggi tra i suoi sostenitori ci sono anche i funzionari e i propagandisti di Mosca.

Da giovane genio della tecnologia, nel 2006 ha fondato il social network VKontakte (VK), che rispetto ai concorrenti aveva un grande vantaggio competitivo: non vigilava sul rispetto della proprietà intellettuale. Per anni VK è stato soprattutto uno strumento per scaricare gratuitamente film, videogiochi e altri prodotti, una strategia favorita dal lassismo delle forze dell’ordine nella Russia di Putin. Naturalmente un approccio imprenditoriale che approfittava dell’inefficienza del sistema giudiziario aveva diversi limiti. La fine del sodalizio tra Durov e VK, in questo senso, è un classico esempio di come funziona la Russia: a un certo punto due oligarchi vicini a Putin decidono che vogliono comprare il social network e usano i servizi segreti per far calare il prezzo e minacciare Durov, il quale alla fine vende le sue azioni e lascia la Russia.

Al sicuro grazie ai milioni incassati dalla vendita e lontano da Mosca, Durov ha lanciato il servizio di messaggeria Telegram. Come VK, anche Telegram aveva un vantaggio sulla concorrenza: la scarsa attenzione alla protezione del diritto d’autore. Il fascino dell’app, più che nella sua fedeltà ai valori della libertà, risiede nella mancanza di ogni tipo di moderazione e di regole di funzionamento. Oggi quest’aspetto è indicato come il principale motivo dell’arresto dell’imprenditore. Le autorità francesi stanno infatti indagando sulla mancata cooperazione di Telegram con le forze dell’ordine in inchieste su traffico di droga, pedopornografia e truffe online.

Attivisti e propagandisti

In Russia Telegram ha spopolato tra diverse categorie di utenti. Per cominciare, lo usa chi non vuole che le autorità leggano la sua corrispondenza. È innegabile che le forze dell’ordine e i servizi di sicurezza abbiano l’abitudine di abusare del loro accesso ai messaggi privati. A causa della severa censura introdotta da Putin negli ultimi anni, Telegram è diventato la principale piattaforma per la pubblicazione di messaggi pubblici, rubriche e articoli. Per gli oppositori di Putin e della guerra in Ucraina, è l’unico strumento di comunicazione disponibile. Per questo molti esponenti dell’opposizione sono rimasti turbati dall’arresto dell’imprenditore.

Come prevedibile, agli attivisti schierati con Durov si sono presto affiancati i loro nemici giurati: i propagandisti di Putin. Nel corso degli anni il regime di Mosca ha speso cifre enormi per i propri canali di propaganda sull’app. Il governo ha letteralmente pagato le “condivisioni” per rafforzare i canali controllati dallo stato. La frustrazione dei fedelissimi del Cremlino è quindi comprensibile, perché un attacco alla propaganda di stato su Telegram potrebbe compromettere le loro redditizie attività economiche.

Un altro gruppo molto preoccupato è quello dei militari. A quanto sembra, Telegram è il principale mezzo di comunicazione all’interno dell’esercito russo: il Cremlino non è riuscito a creare altri strumenti efficienti per lo scambio di informazioni. Con Durov dietro le sbarre, i militari temono che i loro segreti possano finire nelle mani dei servizi segreti francesi.

Oggi nessuno sa quali dati siano condivisi da Telegram, con chi e a quali condizioni. Non c’è dubbio che i servizi segreti di Putin abbiano provato a strappare il controllo di Telegram a Durov, esattamente come avevano fatto con VKontakte. Tuttavia non è chiaro fino a che punto ci siano riusciti. Si dice che durante le proteste in Baschiria di qualche anno fa l’Fsb abbia usato dei dati di Telegram. E di recente è stato censurato un canale ucraino che aiutava i russi a disertare.

Alcuni specialisti informatici ritengono che fino a pochi anni fa il governo russo non fosse in grado di censurare selettivamente i canali di Telegram né potesse costringere Durov a condividere i dati sulle attività dell’opposizione. Perfino bloccare del tutto il servizio era complicato. Oggi la situazione è diversa, perché il governo possiede strumenti di censura più efficaci. Considerato l’impegno con cui i diplomatici russi – solitamente indifferenti alla sorte dei loro concittadini all’estero – stanno cercando di contattare Durov, è probabile che la posta in gioco sia molto alta.

La storia di quest’uomo è difficile da inquadrare. Quello che alcuni considerano un paladino del libero mercato, per altri è un infernale capitalista. Durov ha dato nuovi strumenti di comunicazione a milioni di russi e cittadini di altri paesi. Eppure, per molti, le sue piattaforme servono soprattutto ad accedere gratuitamente a beni e servizi a pagamento. Durov ha certamente approfittato delle occasioni create dal regime corrotto e militarista di Putin. Ma ne è anche stato vittima. Il suo è un caso molto complicato. ◆ fdl

The Moscow Times è un giornale indipendente russo in esilio nel Paesi Bassi.

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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati