Quello che è successo a Pylos, in Grecia, dove il 14 giugno un peschereccio è affondato con centinaia di persone a bordo anche se era monitorato da satelliti, telecamere e gps, risponde a un’unica regola: la disumanità. Lasciate perdere le immagini trasmesse dalle tv e immaginate quello che non è stato ripreso dalle telecamere. Decine di operatori portuali e della marina sono seduti davanti ai monitor. Gli schermi mostrano tutto: la nave, la posizione e i pericoli. Prevedono anche l’esito di quello che sta succedendo.
Il crimine è registrato minuto per minuto. E cosa fanno queste persone? Mettono in atto un piano “politico”: non ci saranno operazioni di salvataggio; non saranno soccorsi né gli adulti né i bambini, nascosti nella stiva “per sicurezza”. L’imbarcazione è abbandonata a se stessa mentre naviga verso la morte, l’unica cosa importante è che la morte non avvenga nelle acque territoriali greche.
Le persone sedute davanti agli schermi si comportano come se fossero degli imperatori romani: di fronte alla possibilità di avviare un’operazione di salvataggio, puntano il pollice verso il basso invece che verso l’alto. Ordinano l’uccisione nell’arena del mare, dove l’oscurità nasconde il crimine. E poi, come se niente fosse, tornano a casa dai figli, in silenzio, tranquille. Sono soddisfatte, perché hanno agito in modo patriottico.
Bandiera nazionale
Il peschereccio non è affondato a causa delle circostanze, ma per una scelta precisa: qualcuno ha deciso di lasciarlo andare a picco per scoraggiare il flusso di migranti e richiedenti asilo. Queste macchinazioni, che prevedono l’uccisione di esseri umani come misura politica, sono state teorizzate in passato dal politico di estrema destra Thanos Plevris e sono messe in pratica dall’attuale comandante della guardia costiera Theodoros Kliaris.
Quando Kliaris era a capo dei porti (nominato dall’attuale primo ministro conservatore Kyriakos Mitsotakis), le operazioni illegali di rimpatrio erano una pratica diffusa.
Dopo il primo crimine che ha provocato il naufragio ne è stato commesso un secondo: la manipolazione dell’opinione pubblica
In passato vari giornali, tra cui il quotidiano statunitense The New York Times e naturalmente Documento, hanno denunciato le operazioni di respingimento. Il governo ha negato ma è stato smentito dalle immagini, tanto che in una recente intervista rilasciata alla giornalista britannica Christiane Amanpour, Mitsotakis ha dovuto dichiarare che oggi le azioni illegali sono al vaglio della magistratura greca.
Come ha rivelato il 16 giugno Documento, quando il peschereccio navigava nella zona di responsabilità della Grecia – sessanta miglia nautiche dalla costa greca e 260 da quella italiana – le autorità italiane hanno informato i colleghi della rotta e delle condizioni della nave. Hanno fornito anche il numero di un telefono satellitare a bordo della nave, mentre le autorità portuali di Atene hanno avvertito le navi mercantili vicine nel caso fosse stato necessario intervenire.
Inoltre, nel porto di Gytheio era ormeggiata la modernissima nave di salvataggio Aigaion Pelagos, pronta a entrare in azione. Ma né la nave speciale né altre imbarcazioni hanno ricevuto l’ordine di assistere il peschereccio. Semplicemente perché non c’era la volontà di organizzare un soccorso.
Nel tardo pomeriggio del 16 giugno l’autorità portuale è stata costretta a confermare quello che i superstiti avevano riferito ad Alexis Tsipras, leader del partito di sinistra Syriza, cioè che c’era stato un tentativo di rimorchiare il peschereccio, non per salvarlo ma per portarlo in acque italiane. L’autorità portuale, attraverso il suo portavoce, aveva negato le accuse e Akis Skertsos, portavoce del governo, aveva attaccato il leader di Syriza. È probabile che la dinamica del naufragio sia stata simile a quella dell’altrettanto tragico disastro al largo dell’isola di Farmaco, nel 2014. Questo significa che a causarlo potrebbe essere stato il tentativo di rimorchiare l’imbarcazione fuori dall’area di responsabilità greca. In altre parole, è stato commesso un massacro per soddisfare una scelta politica, una scelta fatta dal primo ministro Mitsotakis nell’ottica dei respingimenti.
Dopo il primo crimine che ha provocato il naufragio, ne è stato commesso un secondo: la manipolazione dell’opinione pubblica. Decine di giornalisti hanno instillato nella popolazione l’idea che chiunque indaghi sulle circostanze del naufragio e ne attribuisca la responsabilità alle autorità greche agisca contro gli interessi della nazione. In altre parole, chi cerca la verità va considerato un nemico del paese.
Non è la prima volta che un crimine viene nascosto avvolgendolo nella bandiera nazionale. In questo momento, tra l’altro, Mitsotakis sta anche sfruttando l’atto criminale per fini politici. Mentre bambini e persone innocenti sono trascinati in fondo al mare, gli estremisti di destra li dipingono come un pericolo per la nazione e per i confini greci. Così i colpevoli sono perdonati. Inoltre, chiunque sostenga il diritto internazionale è definito un nemico della Grecia, quindi i patrioti sono i criminali.
Nemici
La ricetta non è nuova, viene dagli archivi storici della destra greca. Dalla seconda guerra mondiale fino all’epoca dei colonnelli, tutti i crimini della destra furono giustificati dallo spettro del nemico interno. Chi collaborava con i nazisti diventava un fiero nazionalista e chi combatteva per la democrazia era etichettato come nemico della Grecia. Allo stesso modo, oggi le idee razziste e naziste che portano alla morte di persone indifese sono presentate come un dovere patriottico. Chi sostiene che vanno protetti gli esseri umani e la legge è additato come un agente di invisibili e insidiosi nemici stranieri.
La Grecia fa parte dell’Unione europea, ha firmato trattati internazionali che è tenuta a rispettare e ha accettato le sue aree di responsabilità per le operazioni di ricerca e salvataggio (Sar). Nel crimine al largo di Pylos non c’è spazio per l’interpretazione. Il regolamento Ue 656 del 2014 stabilisce con precisione cosa va fatto quando una nave di identità e nazionalità sconosciute naviga nello spazio marittimo europeo con a bordo migranti, merci o carichi sospetti: l’imbarcazione dev’essere intercettata e fermata.
La notte fra il 13 e il 14 giugno non solo questo non è successo, ma il peschereccio carico di persone è anche stato trascinato verso una morte organizzata dall’alto. Oggi il partito Nuova democrazia e tutti i giornalisti amici del premier Mitsotakis non stanno tentando di legittimare il crimine appena commesso. Stanno già preparando il prossimo. Quando finiranno i nemici con la pelle scura, ne cercheranno altri tra i greci. ◆ as
Kostas Vaxevanis il direttore del settimanale progressista greco Documento. In precedenza ha lavorato per vari quotidiani, tra cui Eleftherotypia, Kathimerinie To Vima.
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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 21. Compra questo numero | Abbonati