Il matrimonio di Vega Gupta, organizzato nel maggio 2013 in un albergo di Sun City, in Sudafrica, è stato un evento sensazionale durato quattro giorni e costato tre milioni di dollari. Da Nuova Delhi sono arrivati duecento ospiti, a bordo di voli charter della Airbus, a cui è stato permesso di atterrare in una vicina base dell’aeronautica militare. Gli invitati, accolti da Atul Gupta, zio di Vega, sono stati ospitati in un resort senza che gli fosse chiesto di mostrare un visto o il passaporto. Centotrenta cuochi sono stati fatti arrivare dall’India per preparare pietanze “rigorosamente vegetariane” della cucina cinese, greca, italiana, indiana, messicana, sudafricana e tailandese. Agli ospiti più importanti sono stati assegnati assistenti personali.
Tra i sudafricani presenti c’erano i figli dell’allora presidente Jacob Zuma, Duduzile e Duduzane (accompagnato da miss Sudafrica, Tatum Keshwar), e il miliardario e sostenitore di Zuma Vivian Reddy. Oltre a diversi ministri sudafricani, c’erano anche i capi della South African Airways, del South african revenue service (l’agenzia delle entrate), dell’azienda elettrica nazionale Eskom e della Transnet (azienda che gestisce porti, ferrovie e oleodotti), insieme a celebrità dello sport e di Bollywood, rettori universitari e dirigenti delle filiali sudafricane delle società di consulenza McKinsey & Company, Kpmg e Deloitte. In un’email privata, l’amministratore della Kpmg Africa si è complimentato con gli zii di Vega: “Non ho mai partecipato a un ricevimento simile e probabilmente non mi succederà mai più. È stata la festa del millennio”.
Atul, secondogenito dei tre fratelli Gupta, è stato il primo componente della famiglia a emigrare a Johannesburg, dove nel 1994 ha fondato un’azienda informatica. I suoi fratelli, Ajay e Rajesh ‘Tony’ Gupta, lo hanno raggiunto presto, incoraggiati dalle politiche favorevoli del nuovo governo guidato dall’African national congress (Anc).
I Gupta hanno coltivato intensamente i rapporti con i politici dell’Anc e hanno investito abbondantemente nei mezzi di comunicazione, nelle infrastrutture, nella tv via cavo e nelle miniere di carbone e uranio. Rajesh, il fratello minore, è stato socio d’affari di Duduzane, che a sua volta ha occupato una poltrona nel consiglio d’amministrazione di diverse aziende della famiglia Gupta. Anche Duduzile Zuma e una delle mogli dell’ex presidente sono state coinvolte negli affari dei Gupta.Dopo la caduta di Zuma, nel 2018, una commissione d’inchiesta guidata dal giudice Ray Zondo ha stabilito che i Gupta, aiutati dall’ex presidente, avevano fatto pressione su diversi politici e funzionari della pubblica amministrazione per favorire i propri interessi economici, usando corruzione e minacce. Il rapporto della commissione ha descritto il modo in cui gli “Zupta” avevano sostituito a loro piacimento i capi di varie organizzazioni governative, riuscendo a far assegnare appalti miliardari ad aziende che erano apertamente o segretamente controllate dalle due famiglie. In un caso specifico, l’appalto per la gestione di un’impresa di prodotti caseari che avrebbe dovuto creare posti di lavoro e sfamare le comunità più povere è stato assegnato a una società di comodo controllata dai Gupta, e i pagamenti sono stati deviati verso dei conti segreti negli Emirati Arabi Uniti. Mentre nell’azienda gli animali morivano di fame, il denaro degli appalti era usato per saldare il conto del matrimonio di Vega.
L’episodio costituisce probabilmente il più sfacciato furto della famiglia ai danni dello stato, ma sicuramente non è il più importante. Le macchinazioni dei Gupta hanno compromesso la capacità dell’agenzia delle entrate sudafricana di riscuotere le imposte e hanno provocato il fallimento di diverse aziende statali, tra cui la Eskom, la South African Airways e la Denel, che produceva armi. Secondo l’attuale presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, i Gupta hanno rubato allo stato 32 miliardi di dollari, circa il 10 per cento del pil nazionale.
Fondata a Chicago nel 1926, aprì la prima sede a Londra nel 1959
Emancipazione economica
Ma i Gupta non hanno agito da soli. Secondo la commissione d’inchiesta, infatti, una rete di società di servizi internazionali avrebbe fatto parte della macchina da soldi messa in moto dagli Zupta. La Bell Pottinger, un’azienda di pubbliche relazioni (fallita nel 2017) che ha lavorato con personaggi e stati tutt’altro che encomiabili – da Augusto Pinochet ad Asma al Assad, da Aleksandr Lukašenko ai governi di Bahrein ed Egitto –, ha organizzato una campagna di “emancipazione economica” per conto dei Gupta e di Duduzane Zuma, attaccando “il capitale monopolistico bianco”, come se fosse peggiore del capitale monopolistico non bianco dei Gupta. La più grande azienda informatica europea, la tedesca Sap, ha versato tangenti a una società di facciata dei Gupta affinché il suo software per l’assistenza ai clienti fosse comprato dal dipartimento per l’acqua e la raccolta di rifiuti. Su richiesta di Zuma, che incontrava regolarmente il rappresentante dell’azienda in Sudafrica, la società di consulenza Bain & Company ha riorganizzato l’agenzia delle entrate sudafricana, neutralizzando il contributo di funzionari esperti e le capacità d’indagine dell’ente.
La Kpmg, che per quindici anni ha revisionato i bilanci della famiglia Gupta, ha classificato il costo del matrimonio come una spesa aziendale. La PwC, revisore dei conti della South African Airways, aveva stabilito che la compagnia aerea era in regola, mentre veniva intenzionalmente sabotata e saccheggiata dagli Zupta, prima di fallire nel 2019.
Anche i consulenti della McKinsey sono stati coinvolti nella distruzione della South African Airways. Tra le accuse contenute nel rapporto Zondo c’è “il ricorso a servizi esterni anche se esistevano già dipendenti qualificati all’interno dell’amministrazione pubblica. Questo uso di servizi superflui è stato spesso uno strumento per favorire la diffusione della corruzione”. La McKinsey South Africa ha operato insieme a due società fittizie dei Gupta, la Regiments Capital e la Trillian Capital Partners, per ottenere appalti dalla Transnet e dalla Eskom. In ognuno di questi episodi i funzionari al soldo degli Zupta nelle istituzioni hanno agevolato le società di comodo manipolando le condizioni delle gare d’appalto, informandole delle offerte presentate dalla concorrenza e usando meccanismi insoliti per pagarle più del dovuto. I progetti infrastrutturali, soprattutto quelli finanziati dallo stato, sono sempre molto redditizi per i consulenti, i pianificatori, i progettisti e gli ingegneri. Anche se i dirigenti sostengono il contrario, è innegabile che queste opere facciano la fortuna delle società di consulenza.
Sciopero totale
La McKinsey, fondata a Chicago nel 1926, aprì la prima sede a Londra nel 1959. Presto cominciò ad assistere aziende pubbliche britanniche come la Bbc, le ferrovie nazionali, le poste, il servizio sanitario e la Banca d’Inghilterra, con il compito di riorganizzarne la struttura, migliorarne l’efficienza e risparmiare denaro. Partecipò anche alla nazionalizzazione della British Steel, per poi contribuire a privatizzarla di nuovo. Nel 1967 l’agenzia dei trasporti portuali del Regno Unito chiese alla società di consulenza di realizzare un’analisi sull’introduzione del sistema dei container.
All’epoca i portuali di Londra e Liverpool avevano scioperato per tutto l’anno chiedendo contratti a tempo indeterminato, e il ministro del lavoro Ray Gunter aveva riferito al parlamento che dal 18 settembre era in corso uno sciopero praticamente totale dei portuali di Liverpool e Birkenhead. A Londra erano state rallentate le attività dei moli Royal Group, West India e Millwall, e in misura minore quelle del St Katharine. Gli scioperi, non ufficiali, avevano coinvolto sedicimila lavoratori e causato danni gravi al commercio, in particolare alle esportazioni.
Nel suo rapporto la McKinsey suggerì che il passaggio ai container potesse contrastare in modo efficace una forza lavoro le cui richieste di condizioni lavorative e salari migliori danneggiavano i profitti del settore delle spedizioni e della gestione dei porti. La società di consulenza sostenne che il passaggio ai container avrebbe permesso di usare meglio “le risorse materiali, attraverso un più efficiente meccanismo di controllo”. Soprattutto sarebbe stato possibile sostituire “forza lavoro piuttosto costosa” con “macchinari più economici”. Ridurre il ricorso ai portuali non era solo vantaggioso dal punto di vista economico, ma contribuiva a eliminare l’imprevedibile fattore umano.
Nel 1991 fui assunta nella sede di Houston della società di consulenza Andersen Consulting. Mi ero appena laureata in ingegneria. Ogni anno, in primavera, le società di consulenza si presentavano nei campus universitari alla ricerca di laureandi con una buona media. Assumevano tutti, dagli ingegneri ai laureati in lettere. Chi possedeva una formazione tecnica otteneva un salario di partenza di 27mila dollari all’anno, mentre chi ne aveva una umanistica guadagnava qualche migliaio di dollari in meno. Negli anni ottanta e novanta le grandi aziende del mondo della contabilità e dei servizi professionali – all’epoca erano sei, in precedenza otto e successivamente sono diventate quattro – svolgevano tutte attività di consulenza. Questo permetteva di fornire ai clienti consigli strategici, oltre a svolgere le funzioni originarie di revisione dei bilanci e consulenza fiscale. La Andersen Consulting era l’unica a essersi separata dalla casa madre, la Arthur Andersen, adottando un nome leggermente diverso.
I neoassunti della Andersen Consulting erano immediatamente coinvolti in un corso di programmazione intensivo a St. Charles, alla periferia di Chicago. Nessuno di noi aveva un’auto, quindi trascorremmo tre settimane interamente all’interno del campus, lavorando oltre gli orari previsti, ubriacandoci e baciandoci in segreto nella tromba delle scale. Il corso non si limitava a insegnarci un linguaggio di programmazione (in ogni caso il Cobol, che sarebbe presto diventato obsoleto). Al centro di tutto c’era un processo d’indottrinamento per convincerci ad accettare orari di lavoro massacranti e spingerci a presentarci come professionisti competenti e sicuri. Alla fine del corso tornammo nelle nostre rispettive sedi e poi negli uffici dei clienti. Molti di noi speravano di poter lavorare a Chicago o a New York, ma quegli incarichi sembravano riservati ai laureati delle università statunitensi più prestigiose. Gli uffici regionali si occupavano delle aziende attive nei rispettivi stati, come succede ancora oggi.
Il mio primo cliente fu la Usaa, una compagnia assicurativa di San Antonio che lavorava con l’esercito e anche con i veterani e le famiglie. Mi sembra di ricordare che il nostro compito fosse quello d’installare un software per il servizio clienti. La squadra della Andersen presso la Usaa comprendeva una ventina di nuovi consulenti come me. Non guadagnavamo molto, ma il nostro impegno costava al cliente centinaia di dollari all’ora a persona. Avevamo orari sfiancanti. Settanta o ottanta ore di lavoro alla settimana non erano un’eccezione. Imparammo a programmare durante quell’esperienza e non abbiamo mai saputo molto del funzionamento dell’azienda. Molto meno degli esperti dipendenti della Usaa, gli stessi di cui stavamo automatizzando le mansioni.
All’interno della Andersen si parlava continuamente di ricambi in massa del personale. Dicevano che se non ottenevi il titolo di senior entro due anni ti avrebbero gentilmente accompagnato alla porta. E così quando cominciai a frequentare un altro consulente che lavorava ad Atlanta, decisi di trasferirmi lì e trovai un impiego simile alla Price Waterhouse (che in seguito si sarebbe fusa con la Coopers & Lybrand, dando vita alla PricewaterhouseCoopers, o PwC). Mi assegnarono alla programmazione di software di assistenza ai clienti per conto della compagnia telefonica locale, ai sistemi di diffusione e pubblicità per quotidiani di media grandezza controllati dalla Thomson Reuters in tutto il Nordamerica e infine all’incarico migliore: un software per appuntamenti da installare in alcuni chioschi (eravamo ancora nell’era pre-internet) a beneficio dei cuori solitari. Pochi anni dopo la mia uscita dalla Andersen, l’azienda cambiò nome in Accenture. Nel frattempo era esplosa una disputa tra la Andersen Consulting e la controparte dedicata alla revisione dei conti e alle questioni fiscali della Arthur Andersen, perché quest’ultima aveva creato un gruppo interno che si occupava di consulenza. Dopo tre anni un arbitrato commerciale decise di separare le due aziende, e nel gennaio 2001 il reparto consulenza fu costretto a rinunciare al nome Andersen. Pochi mesi dopo, quando la condanna per la revisione negligente dei bilanci della Enron provocò il crollo di entrambe le aziende, l’operazione di cambio del marchio fatta dalla Accenture e costata cento milioni di dollari sembrò una benedizione.
Installare software
Quando fui assunta, la Andersen Consulting aveva ventunomila dipendenti. Oggi l’Accenture può contare su 721mila consulenti in tutto il mondo, ha diecimila alti dirigenti ed è quotata in borsa a New York. La stragrande maggioranza del personale si occupa d’installare software – spesso progettati da società specializzate come la Oracle o la Sap – e gestire l’archiviazione dei dati e le infrastrutture di accesso per conto di governi e grandi aziende. Negli Stati Uniti e all’estero, le quattro grandi società di consulenza e la Accenture lavorano insieme alla Booz Allen Hamilton, che fornisce consulenza tecnica soprattutto ai governi, compresi i servizi segreti e l’esercito. Edward Snowden, che nel 2013 ha reso pubblica un’enorme quantità di dati raccolti dai servizi d’intelligence e ha rivelato la vastità dei programmi di spionaggio negli Stati Uniti e all’estero, era un consulente della Booz Allen assegnato alla National security agency (in precedenza era stato un tecnico della Cia).
Il principale prodotto offerto dalle società di consulenza è la teologia del capitale
La Booz Allen ha aiutato gli Emirati Arabi Uniti a creare un’agenzia d’intelligence con la benedizione degli Stati Uniti, condividendo tecniche per “l’estrazione dei dati, la sorveglianza online e ogni tipo di raccolta d’informazioni digitali”, come ha rivelato il New York Times, in modo che il piccolo stato arabo potesse, per esempio, sorvegliare in modo più efficace le attività dell’Iran.
La consulenza gestionale, nelle sue varie forme, è figlia dell’unione tra la “gestione scientifica” della produzione di Frederick Taylor e la pianificazione ferroviaria iper-ingegneristica dell’epoca della colonizzazione degli Stati Uniti continentali. Dalla prima discendono gli strateghi di alto livello, dalla seconda gli sviluppatori di software negli avamposti regionali. Agli albori del settore l’attività aziendale strategica comprendeva la consulenza sulla retribuzione dei dirigenti, sulle indagini di mercato, sulla ristrutturazione organizzativa e sui controlli operativi e di bilancio. Per quanto riguarda il versante ingegneristico e tecnico, invece, i sistemi complessi su larga scala come le aziende fornitrici di energia, le ferrovie e le aziende per il trasporto marittimo prestavano il fianco a banali consulenze pseudo-scientifiche che fornivano (a prezzi vertiginosi) guide sull’efficienza, la crescita strategica e l’efficacia operativa, naturalmente protette da diritti d’autore. L’obiettivo era massimizzare i profitti, arricchire i vertici e gli azionisti e limitare l’attivismo dei dipendenti.
Fuori dagli Stati Uniti, nel contesto segnato dalla guerra fredda, i consulenti gestionali erano soldati semplici nella battaglia globale per il capitalismo. Un articolo pubblicato nel 1960 dal New York Times esaltava le società statunitensi che stavano promuovendo “aggressivamente” le loro consulenze in “una serie di campi specialistici, dalle dighe all’industria tessile, ma anche nella gestione generale”. Il quotidiano sottolineava che i consulenti, “oltre ad aiutare le aziende statunitensi a trovare nuovi mercati all’estero”, erano anche “molto richiesti dagli stranieri decisi a resistere agli invasori”.
Le prime società di consulenza ad aprire una sede in Europa – la McKinsey, la Booz Allen Hamilton e la Arthur D. Little – inizialmente si rivolgevano alle grandi aziende, ma nel frattempo collaboravano con i governi in Asia, Africa e America Latina. Richard Bolin, un dipendente della Arthur D. Little, lavorava a Puerto Rico come consulente dell’amministrazione coloniale statunitense. Nel 1947 fu coinvolto nella creazione di un’enclave industriale soggetta a regolamentazioni minime, che Bolin chiamò operazione bootstrap (espressione che allude al farsi da sé). In seguito l’enclave portoricana è diventata un modello globale per le export processing zones (zone industriali d’esportazione, in cui le multinazionali operano in condizioni privilegiate).
Bolin ha anche sviluppato il sistema delle maquiladoras (fabbriche che assemblano componenti importati temporaneamente in regime di esenzione fiscale ed esportano i prodotti finali all’estero) a Ciudad Juárez, al confine tra Stati Uniti e Messico. Il numero di questi stabilimenti è aumentato sensibilmente dopo la firma del North american free trade agreement (Nafta, l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico) del 1994. Oggi le maquiladoras sono famose per lo sfruttamento del lavoro e gli omicidi ricorrenti dei dipendenti e degli attivisti locali, una piaga raccontata nel monumentale romanzo 2666 di Roberto Bolaño.
Colpi di stato
Negli anni cinquanta la mappa dei clienti della Booz Allen Hamilton era praticamente sovrapponibile a quella degli interessi degli Stati Uniti nella guerra fredda. L’ex agente della Cia Miles Copeland, padre del batterista dei Police Stewart Copeland, fu assunto dall’azienda subito dopo aver pianificato i colpi di stato in Siria e Iran. Nel 1953 fu inviato in Egitto al servizio sia della Booz Allen Hamilton sia della Cia. Il suo lavoro per la società di consulenza comprendeva l’analisi delle complesse proprietà della banca nazionale egiziana, la banca Misr, mentre la Cia voleva che aiutasse il presidente Gamal Abdel Nasser a creare un nuovo servizio di sicurezza, il Mukhabarat. Sempre nel 1953 la Booz Allen ricevette l’incarico di creare un registro delle proprietà terriere nelle Filippine, dove l’agente della Cia Edward Lansdale stava dirigendo una serie di operazioni segrete contro la rivolta dei contadini senza terra guidata dal movimento di guerriglieri dell’Hukbalahap. Davanti alle rivendicazioni dei comunisti e degli anticolonialisti, che volevano requisire le terre dei grandi proprietari, gli esperti delle società di consulenza sottolinearono i meriti di una riforma graduale che comprendesse la concessione di piccoli lotti di terreno per allentare la pressione rivoluzionaria.
Nel 1957 la McKinsey fu ingaggiata dalla Royal Dutch Shell, all’epoca prima compagnia petrolifera del mondo, con il compito di decentrare il processo gestionale nelle due sedi di Londra e dell’Aia. Il modello di decentramento fu adottato in modo così entusiasta (negli Stati Uniti era applicato perfino alle università) che negli anni settanta, come ha sottolineato lo storico della consulenza gestionale Christopher McKenna, erano state “ decentrate quasi tutte le grandi aziende in Europa”. A quel punto, per mantenere il flusso di profitti, le società di consulenza misero nel mirino le istituzioni statali, offrendosi di riorganizzare i dipartimenti governativi, preparare studi industriali e analizzare i mercati internazionali. Anche quando i loro progetti sono falliti – Walt Bogdanich e Michael Forsythe nel loro libro When McKinsey comes to town (The Bodley Head 2022) scrivono che la riorganizzazione del servizio sanitario britannico del 1974, gestita dalla McKinsey, ha prodotto unicamente una proliferazione di documenti e un caos burocratico – le società di consulenza sono state ingaggiate nuovamente dal governo britannico per ridurre il numero di dipendenti pubblici e imporre riorganizzazioni impopolari, che tra l’altro sembravano solo incrementare i ranghi dei quadri intermedi. La presenza di queste società offriva una giustificazione plausibile agli ideologi al potere. Per esempio l’abbondanza di progetti di privatizzazioni avviati durante l’epoca della premier conservatrice britannica Margaret Thatcher era presentata come una semplice conseguenza della necessità di garantire una buona gestione.
Il mondo nuovo del lavoro è già arrivato, sull’onda delle misure per ridurre le spese
L’attività della McKinsey è proseguita (intensificandosi) anche nel periodo del New labour, tra la metà degli anni novanta e il 2010. Penny Dash, consulente politica di Tony Blair per il servizio sanitario nazionale, è stata successivamente assunta dalla McKinsey, mentre il socio dell’azienda David Bennett è diventato il principale consulente politico di Blair e poi l’amministratore delegato di Monitor, l’autorità di controllo del servizio sanitario nazionale. La girandola di incarichi tra la McKinsey, le autorità di controllo, i rappresentanti politici e le aziende private è un elemento ricorrente nel mondo delle società di consulenza.
Taglio dei costi
Il libro di Bogdanich e Forsythe è un atto d’accusa nei confronti delle pratiche con cui la McKinsey ha reso i luoghi di lavoro meno sicuri, eliminato le norme di tutela dei consumatori, neutralizzato le autorità di controllo, devastato gli enti per l’assistenza sociale e sanitaria, saccheggiato le istituzioni pubbliche, ridotto drasticamente il personale e favorito lo sfruttamento dei lavoratori. Il libro comincia con un resoconto del taglio dei costi gestito dalla McKinsey all’interno dell’acciaieria Us Steel, che ha portato alla morte di due metalmeccanici. Allo stesso modo, i provvedimenti introdotti per conto della Disney hanno causato la morte di un ragazzo sulle montagne russe. La McKinsey ha continuato a lavorare per i grandi produttori di tabacco anche quando era dimostrato da decenni che il fumo fa male alla salute, e nel contesto dell’epidemia di oppioidi negli Stati Uniti ha consigliato alla Purdue Pharma di trovare “sacche di crescita” in cui l’oppioide OxyContin fosse prescrivibile più facilmente, facendo pressione nel frattempo sulle autorità di controllo affinché allentassero le regole sulle prescrizioni. Le attività immorali della McKinsey riempiono le pagine del libro, mentre l’irrefrenabile ricorso a termini elevati come “valori” e “servizi” rivela tutta la sua artificiosità.
Il principale prodotto offerto da tutte le società di consulenza gestionale – sia da quelle che si occupano di software sia da quelle specializzate nell’organizzazione strategica – è la teologia del capitale, il cui principio di base è la sacrificabilità dei lavoratori. Secondo questa “religione” è possibile sostituire i dipendenti con le macchine o con persone che lavoreranno più intensamente perché sono felici di non aver perso il posto nell’ultima tornata di licenziamenti. I dirigenti sono necessari per il funzionamento delle multinazionali, ma anche delle università e delle organizzazioni senza scopo di lucro, quindi più ce ne sono e meglio è. Gli orari di lavoro prolungati e il farsi da sé danno un senso alla vita. La meritocrazia è presa sul serio, il commercio libero, il capitalismo sfrenato e la lotta contro la regolamentazione sono pietre miliari nel percorso verso l’utopia del libero mercato. Per non parlare della fede nella tesi secondo cui questo genere di processo contribuirebbe a “creare cambiamenti positivi e duraturi nel mondo”, come si legge nella dichiarazione d’intenti della McKinsey.
Molti dei contratti più redditizi ottenuti dalle società di consulenza sono stati assegnati da governi in crisi. I servizi sanitari durante la pandemia, in questo senso, sono stati una colossale fonte di guadagni. Un’indagine condotta dal sito statunitense ProPublica nel luglio 2020 ha rivelato che la McKinsey aveva guadagnato “cento milioni di dollari fornendo consulenze per la disordinata risposta del governo statunitense alla pandemia”, ma non era chiaro cosa il governo avesse ottenuto in cambio di quel denaro. Più o meno nello stesso periodo, il governo britannico ha versato alla società 560mila sterline per un progetto di sette settimane il cui obiettivo era creare “una missione e una visione d’insieme” per il programma di tracciamento gestito dalla parlamentare conservatrice Dido Harding, tra l’altro ex consulente della McKinsey. Il marito di Harding, John Penrose, altro ex consulente della McKinsey e parlamentare conservatore, era il “paladino dell’anticorruzione” al ministero dell’interno. Durante la pandemia Penrose ha conquistato le prime pagine dei giornali per aver difeso Owen Paterson, collega che aveva portato avanti una discutibile attività di pressione per conto di un produttore di test per il covid-19.
A maggio del 2021 il governo di Londra aveva versato alle società di consulenza più di seicento milioni di sterline per progetti legati al covid-19. Il contratto più sostanzioso era quello da 279 milioni di sterline firmato con la Deloitte per la creazione di un sistema di tracciamento. La Accenture e la McKinsey avevano ottenuto in totale 32 appalti. I dettagli di molti contratti sono ancora riservati. L’Nhs Digital, il principale fornitore di servizi informatici del sistema sanitario nazionale, ha speso il 15 per cento del bilancio per il 2018-2019 per i progetti informatici della Accenture. Il presidente e un altro dirigente dell’Nhs Digital erano ex dipendenti della società di consulenza. A settembre del 2021 la Accenture ha ottenuto 2,6 miliardi di sterline di contratti con il governo britannico per la fornitura di hardware, software e consulenza informatica.
Secondo un sito del governo statunitense che registra il numero di contratti federali assegnati ai diversi enti extragovernativi, le entrate di alcune società di consulenza sono aumentate costantemente dal 2009. I dati sui contratti della McKinsey, del Boston Consulting Group e della Booz Allen Hamilton mostrano un’impennata negli anni dell’amministrazione di Donald Trump. Il dipartimento per la sicurezza nazionale e il Pentagono hanno pagato molto bene le tre società per “progetti di coinvolgimento incentrati sulle risorse umane”, che avrebbero creato “un continuo miglioramento”. Queste sono solo alcune delle frasi senza senso che di solito sono raggruppate in acronimi oscuri. In molti casi i contratti riportano la dicitura “valutata un’unica fonte”: vuol dire che nel processo di assegnazione dell’appalto non sono state prese in considerazione altre candidature. Due contratti stipulati con l’agenzia statunitense che gestisce gli appalti pubblici, la General services administration, hanno portato nelle casse della McKinsey un miliardo di dollari tra il 2006 e il 2019. Entrambi sono stati cancellati perché la società si è rifiutata di sottoporsi a un controllo dei conti.
L’appalto più discutibile ottenuto di recente dalla McKinsey negli Stati Uniti è stato quello assegnato dall’Immigration and customs enforcement (Ice), un’agenzia governativa che si occupa di immigrazione irregolare e crimini commessi alle frontiere. Il bando era stato pubblicato ai tempi dell’amministrazione di Barack Obama e in origine riguardava la riorganizzazione dell’agenzia. Dopo l’insediamento di Trump, però, il progetto è cambiato radicalmente e l’obiettivo è diventato quello di contribuire a fermare “l’immigrazione irregolare”. Il rapporto della McKinsey per l’Ice suggeriva diverse misure per ottenere un taglio dei costi, per esempio attraverso la riduzione dei fondi per i pasti e le medicine nelle strutture d’accoglienza o l’accelerazione delle procedure di deportazione.
La McKinsey ha ottenuto anche alcuni contratti dalla Customs and border protection, l’agenzia per la difesa della frontiera, per progetti incentrati sulla “capacità di negare l’accesso” e per “programmi di dissuasione degli ingressi illegali”. L’oggetto di uno dei contratti era espresso con un’unica parola: muro. Quando i consulenti più giovani e di orientamento progressista della McKinsey hanno manifestato il loro disagio per il fatto che la società era disposta a svolgere il lavoro sporco e xenofobo per conto di Trump, il responsabile del settore ha inviato un’email a tutti i dipendenti ricordandogli per chi lavoravano.
Il principe ereditario
All’estero la McKinsey, il Boston Consulting Group e la Booz Allen Hamilton hanno collaborato strettamente con Mohammed bin Salman, il principe ereditario che ha monopolizzato gli ingranaggi del potere in Arabia Saudita dopo l’ascesa al trono del padre, nel 2015. Ma il lavoro della Booz Allen nel paese mediorientale è cominciato ancora prima dell’ascesa di Bin Salman. Nel 2012 il governo degli Stati Uniti ha affidato alla società di consulenza il compito di addestrare la marina saudita. La Booz Allen ha ottenuto anche l’incarico di formare il personale informatico del paese, soprattutto nel campo delle “operazioni per la raccolta d’informazioni”.
La McKinsey e il Boston Consulting Group hanno insegnato al principe ereditario il gergo dell’efficienza capitalista. La McKinsey, in particolare, è così invischiata nelle attività del governo saudita che il ministro della pianificazione è soprannominato “il ministro della McKinsey”. La società ha stilato un rapporto sulla percezione pubblica negativa delle politiche di Bin Salman, inserendovi i profili di diversi oppositori, corredati da fotografie. Khalid al Alkami, il cui nome faceva parte della lista, è stato arrestato prima ancora che il documento fosse reso pubblico, nel 2018. Un altro oppositore, Omar Abdulaziz, residente in Canada, è stato accusato di aver scritto “molti tweet negativi su argomenti come l’austerità e i decreti reali”. I due fratelli di Abdulaziz sono stati arrestati in Arabia Saudita. Inoltre sul telefono dell’uomo è stato installato il software di spionaggio Pegasus, venduto dall’azienda israeliana Nso Group ai regimi arabi più repressivi e decisi a stroncare il dissenso. Jamal Khashoggi, il giornalista assassinato brutalmente all’interno del consolato saudita di Istanbul nel 2018, parlava regolarmente con Abdulaziz.
Nel 2016 gli uomini del Boston Consulting Group e della McKinsey hanno accompagnato cinque collaboratori del principe in un giro degli Stati Uniti, dove hanno incontrato gli imprenditori della Silicon valley, i ricercatori dei centri studio e i grandi editori, illustrando i piani di Bin Salman per il futuro del regno. Poco tempo dopo, il giornalista Thomas Friedman, del New York Times, ha firmato un ritratto adulatorio del principe, intitolato: “Lo ammetto, tifo per lui”. La McKinsey ha ideato la struttura del progetto Vision 2030 dell’Arabia Saudita, una serie di privatizzazioni, innovazioni tecnologiche, progetti commerciali aggressivi e altri luoghi comuni. Il rapporto finale è stato prodotto dal Boston Consulting Group. Il gioiello del programma di Bin Salman è Neom, una città futuristica che dovrebbe essere costruita vicino al confine con la Giordania, nel nordest dell’Arabia Saudita. Nel mondo reale Neom è una fonte pressoché inesauribile di contratti per le agenzie di consulenza straniere. Nel mondo della fantasia, invece, i piani per Neon messi a punto dalla McKinsey, dal Boston Consulting Group e dalla Oliver Wyman comprendono macchine volanti, domestici-robot, insegnanti-ologrammi, una gigantesca luna artificiale, spiagge di sabbia luminescente e un centro medico il cui obiettivo sarà quello di “modificare il genoma umano per rendere più forti gli individui”. Per non parlare di The Line, una coppia di edifici che si estendono su 168 chilometri e dovrebbero ospitare nove milioni di persone. Il materiale pubblicitario la definisce “una rivoluzione nella civilizzazione”.
Molte delle innovazioni promesse dalle società di consulenza prevedono l’eliminazione degli esseri umani dall’equazione sociale. I domestici-robot e i taxi con pilota automatico non possono riunirsi in un sindacato, mentre un insegnante-ologramma non instillerà certo idee rivoluzionarie nella mente dei suoi studenti. Il meraviglioso nuovo mondo della disciplina lavorativa è già arrivato, sull’onda delle misure per ridurre le spese e delle nuove tecniche per aggirare qualsiasi regolamentazione.
Leggendo il libro di Bogdanich e Forsythe si ha l’impressione che considerino le società di consulenza mele marce in un sistema tutto sommato solido. Tuttavia il materiale raccolto evidenzia che tutti i servizi presentati come strumenti per migliorare l’attività commerciale e governativa (consulenza gestionale, revisione dei conti, sviluppo di software) siano in realtà progettati per consentire ai capitalisti di arricchirsi sempre di più, senza doversi preoccupare della fastidiosa interferenza dei lavoratori, dei contribuenti e delle regole. Il modello inventato dalla McKinsey e dagli altri grandi nomi del settore consente non solo alle società di consulenza di fare e disfare aziende e governi, plasmandoli secondo le loro fantasie senza regole, ma rende l’homo oeconomicus il punto d’arrivo dell’individualismo moderno. ◆ as
Laleh Khalili è una politologa statunitense di origini iraniane. Insegna politica internazionale alla Queen Mary university of London, nel Regno Unito.
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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati