Il messaggio non poteva essere più chiaro. La notte tra il 2 e il 3 aprile l’esercito israeliano ha lanciato diversi attacchi in Siria, prendendo di mira in particolare l’area intorno alla base di Tiyas, nota come T4, vicino a Homs, che la Turchia vorrebbe portare sotto il suo controllo. “Se permettete a forze ostili a Israele di entrare in Siria e di mettere in pericolo la sicurezza di Israele , pagherete un prezzo pesante”, ha avvertito il ministro della difesa Israel Katz il giorno dopo i raid, rivolgendosi al presidente siriano ad interim, Ahmed al Sharaa. Il capo della diplomazia israeliana, Gideon Saar, è stato ancora più esplicito, dicendo di essere “preoccupato per il ruolo negativo svolto dalla Turchia in Siria, Libano e altrove”. Dopo aver definito Israele “la più importante minaccia alla sicurezza regionale” e averlo invitato ad “abbandonare le politiche espansionistiche”, sembra improbabile che Ankara rinunci alle sue ambizioni in Siria, di cui ora è la principale sostenitrice, nonostante le minacce di Tel Aviv. Le due potenze regionali sono destinate a uno scontro in casa del loro vicino?

In un Medio Oriente riconfigurato, dove l’“asse della resistenza” è stato ampiamente indebolito e lo stato ebraico ha praticamente carta bianca dall’amministrazione statunitense di Donald Trump, anche per occupare di nuovo e perfino annettere i territori palestinesi, Israele sembra considerare la Turchia come la nuova minaccia da contrastare. Soprattutto perché l’industria della difesa turca si è costruita una solida reputazione nel corso degli anni e dei conflitti regionali. Anche se Ankara ha portato a termine la normalizzazione delle sue relazioni con Israele nel 2022 con la nomina di un ambasciatore, i rapporti si sono inaspriti dopo la guerra nella Striscia di Gaza. Ponendosi come difensore dei palestinesi, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha regolarmente condannato il “genocidio” nell’enclave, perfino paragonando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad Adolf Hitler durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite dello scorso settembre. Da tempo rifugio dei leader politici di Hamas, la Turchia ha inizialmente cercato di prenderne le distanze, prima di tentare nuovamente di assumere il ruolo di leader del mondo musulmano in chiave neo-ottomana. “Israele teme che il governo di Al Sharaa rifletta le sue vere origini – jihadiste – e che Erdoğan eserciti una grande influenza incoraggiando il trasferimento di Hamas in Siria, proprio come altri gruppi terroristici”, afferma Henri J. Barkey, ricercatore del Council on foreign relations.

Inviare un messaggio

Il giorno prima degli attacchi i mezzi d’informazione israeliani hanno riferito che il presidente siriano aveva liberato alcuni affiliati di Hamas e della Jihad islamica che erano stati imprigionati dal regime di Bashar al Assad. Queste accuse non sono state confermate. “Fin dall’inizio abbiamo annunciato che la Siria non avrebbe rappresentato una minaccia per nessun paese della regione o del mondo”, ha dichiarato Al Sharaa all’agenzia Reuters a marzo. In ogni caso, dopo gli attentati di Hamas sul suo territorio del 7 ottobre 2023, Israele ha l’ambizione di creare delle zone cuscinetto ai suoi confini, in particolare con il Libano e la Siria, con cui non ha ancora normalizzato le relazioni.

A questo scopo, dopo la caduta di Assad, Israele ha intensificato i suoi attacchi a quelle che considera basi ed equipaggiamenti dell’ex esercito siriano e dei suoi alleati iraniani e libanesi, così come le incursioni nel sud della Siria, al confine con le alture del Golan occupate. Inoltre ha installato varie postazioni militari nella zona tra i due paesi che sarebbe dovuta essere demilitarizzata. Le centinaia di attacchi realizzati dall’8 dicembre stanno a loro volta costringendo il governo di Damasco a cercare una protezione esterna, mentre le nuove autorità non sono al momento in grado di ricostituire un esercito nazionale.

Ankara sta discutendo con Damasco da quando i ribelli guidati da Hayat tahrir al Sham (Hts) hanno preso il potere, con l’obiettivo di concludere un patto di difesa bilaterale. Sistemi di difesa antiaerea, attrezzature di sorveglianza e droni armati potrebbero essere dispiegati nella base T4 e in quella di Menagh ad Aleppo, dove i lavori di ristrutturazione erano già cominciati prima degli attacchi israeliani del 2 aprile. Lo scorso marzo, proprio quando il rafforzamento della presenza militare turca nel nord della Siria cominciava a farsi sentire, Israele ha preso di mira per due volte la base vicino a Homs e quella di Tadmor vicino a Palmira.

Anche se l’iniziativa non è ancora stata approvata – Mosca deve dare il suo consenso preventivo – la Turchia starebbe considerando anche di trasferire temporaneamente in Siria i suoi sistemi russi di difesa antiaerea S-400. Questo complicherebbe le operazioni israeliane nel paese, che avevano campo libero sotto il regime di Assad in coordinamento con la Russia, alleata della Siria, che ne controllava lo spazio aereo. Secondo quanto riferito da un funzionario israeliano al Jerusalem Post, gli ultimi raid vicino a Damasco, Hama e Homs avevano lo scopo di inviare un messaggio alla Turchia: “Non stabilite una base militare in Siria e non interferite con le attività aeree israeliane”.

“Un confronto militare diretto è possibile ma poco probabile”, sostiene Henri J. Barkey. “Sarebbe troppo costoso per entrambi i paesi ma, soprattutto, farebbe certamente arrabbiare Washington, proprio ora che Erdoğan sta cercando di migliorare le sue relazioni con il presidente Donald Trump”. A Washington la Turchia fa valere la sua volontà di combattere il gruppo Stato islamico, che potrebbe consentire alle forze statunitensi di ritirarsi dalla Siria, permettendo ad Ankara di controllare il nord del paese e il confine turco-siriano.

A quanto pare i turchi starebbero coordinando un’alleanza di sicurezza regionale con Giordania, Iraq e Siria con il sostegno, o almeno la conoscenza, di Washington, sottolinea il ricercatore Charles Lister sul social media X. Il possibile trasferimento di batterie russe S-400 in Siria servirebbe anche a spingere Trump a riaprire la strada per l’adesione di Ankara al programma degli aerei caccia F-35. Una prospettiva a cui si oppone fermamente Tel Aviv, che vuole mantenere il suo “vantaggio militare qualitativo” nella regione. Se pressati dall’interno, Erdoğan e Netanyahu potrebbero alzare il tiro della loro retorica, ma nessuno dei due ha interesse a inimicarsi il presidente statunitense.

Profezia che si autoavvera

Con il via libera di Washington alle sue operazioni in Siria, Israele potrebbe comunque continuare a mettere in difficoltà Damasco, rendendo la Siria la prima vittima di questo scontro per procura. Tanto più che Tel Aviv gioca sulle paure delle minoranze per indebolire lo stato centrale siriano, proprio come aveva spinto Wash­ington ad accettare il mantenimento delle basi russe in Siria. Mentre è ancora in vigore la maggior parte delle sanzioni occidentali contro Damasco, il governo siriano ha fatto finora slittare l’accordo che sta discutendo con Ankara da dicembre, nel tentativo di bilanciare le sue relazioni regionali e internazionali.

Damasco avrà altre opzioni per proteggersi? Il 3 aprile, il giorno dopo gli attacchi israeliani, le autorità siriane hanno condannato “un’escalation ingiustificata che costituisce un tentativo premeditato di destabilizzare la Siria”. Anche se il canale tv israeliano i24 ha citato una fonte siriana secondo cui il presidente Al Sharaa dovrebbe incontrare Trump durante il suo viaggio in Arabia Saudita a maggio, su richiesta del principe ereditario Mohammed bin Salman – una notizia che non è stata ancora confermata e che arriva dopo le voci di colloqui sulla normalizzazione tra Siria e Israele – il regno saudita non sembra voler essere coinvolto sul terreno come la Turchia. “Israele ha creato una profezia che si autoavvera. Damasco ha cercato di evitare le basi turche sul suo territorio. Israele ha forzato le cose”, sottolinea il ricercatore Aaron Zelin su X. ◆ adg

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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati