Tokyo si sta riprendendo dopo la pandemia e lo sta facendo alla velocità dell’indice di borsa Nikkei. I cambiamenti più evidenti, anche se superficiali, sono gli stranieri che tornano a riempire le strade e il fatto che i pagamenti elettronici sono molto più diffusi di quanto si potrebbe immaginare. Anche se si parla ancora dei “decenni perduti” – la crisi economica seguita allo scoppio della bolla speculativa nei primi anni novanta – Tokyo si comporta come se non avesse perso neanche un minuto. Il quartiere Shibuya è quello che oggi rappresenta meglio la città: qui l’ambizione di essere un’utopica capitale del futuro s’intreccia con l’atmosfera posata del Giappone tradizionale.

Lo scorso novembre, per commemorare il centesimo compleanno di Hachiko, un simbolo della fedeltà canina, è stata organizzata una sfilata di esemplari di razza akita di fronte alla sua statua davanti alla stazione di Shibuya. La storia di Hachiko è molto popolare in Giappone. Il professor Ueno, il suo padrone, morì improvvisamente, e per dieci anni il cane continuò ad aspettarlo alla stazione di Shibuya, come aveva sempre fatto. La lealtà e la dedizione di Hachiko furono così commoventi che il distretto Shibuya decise di dedicargli una statua in bronzo. Il modo migliore per essere ricordati è avere una storia che non invecchia.

Non c’è nulla di più affascinante del “perdersi accidentalmente”

Lo stesso si può dire per le città e questo è un altro punto interessante delle passeggiate per Tokyo.

Anche se alcuni edifici sono stati demoliti, spesso rinascono sotto nuove forme, offrendo ai passanti il senso dello scorrere del tempo e la possibilità di osservare il rigenerarsi delle antiche radici. È molto diverso dagli ambiziosi piani di sviluppo urbanistico che ignorano la storia dei luoghi, distruggono e ricostruiscono da zero. Negli anni la città, soprattutto nell’area di Shibuya, ha subìto cambiamenti indescrivibili, ma il suo fascino rimane immutato. Da Hachiko ai bagni pubblici immortalati da Wim Wenders in Perfect days, la Tokyo classica resiste. Ci sono leggende e storie che non invecchiano. La passeggiata più bella non è quella lungo un percorso prestabilito in cui ci si limita a seguire le indicazioni, ma quella che lascia il nostro corpo libero di seguire le voci e le insegne che ci affascinano.

Spazi verticali

Sono passati vent’anni dall’uscita di Lost in translation di Sofia Coppola e un articolo del Japan Times pubblicato per l’occasione si riferisce proprio ai cambiamenti di Shibuya negli ultimi due o tre anni. Oggi sarebbe molto difficile improvvisare un inseguimento, come in una scena del film, in cui si esce da un locale notturno per correre in strada sparando e andar via. L’area intorno alla stazione, infatti, è occupata da enormi centri commerciali collegati tra loro da passerelle sopraelevate circolari. Oltre al Shibuya Sky, già diventato un luogo di attrazione grazie al panorama offerto dalla sua terrazza, c’è il Sakura Stage. Imprese immobiliari del calibro della Tokyu stanno lavorando intensamente per creare il Greater Shibuya.

L’ultima frontiera della tendenza a elevare le attività commerciali dal livello strada è il Miyashita Park, una struttura pubblica che, come l’Highline di New York, nasce dalla riconversione dei binari e della stazione di una vecchia ferrovia. Oltre a essere preso d’assalto dai turisti, è ampiamente sfruttato dalle famiglie di Tokyo per attività all’aperto come arrampicata o skateboard. Rispetto all’annoso problema di come trovare il giusto equilibrio tra le necessità dei turisti e quelle dei residenti, Tokyo può essere considerata la capitale più civile del mondo. Alla base della cultura giapponese, infatti, c’è l’omotenashi, una filosofia dell’ospitalità che si fonda sulla cura della forma quando ci si presenta in pubblico coniugata a una sincerità e un’onestà senza riserve nel ricevere gli ospiti e servirli. Non si fa distinzione tra residenti e turisti, tutti sono ospiti da trattare con riguardo. Questa cura si percepisce in tutti i servizi disponibili e rende la città molto piacevole da visitare.

Il piano di riqualificazione urbana di Shibuya è solo uno dei tanti progetti avviati in occasione delle Olimpiadi 2020. La città è costellata di cantieri e uno dopo l’altro spuntano nuovi centri commerciali. Non lontano da Shibuya, la vecchia stazione in legno di Harajuku nel 2020 è stata sostituita da un edificio nuovo, sollevando molte critiche (ma la East Japan Railway ha annunciato che la struttura originaria sarà prima smantellata e poi ripristinata e inglobata in un nuovo progetto). Diverso è il discorso per l’area di Azabudai Hills progettata dall’architetto britannico Thomas Heatherwick. E non solo perché ospita al suo interno la Mori JP Tower, che con i suoi 330 metri è il grattacielo più alto di Tokyo, e nemmeno perché il collettivo di arte internazionale TeamLab ha spostato qui il suo nuovo progetto artistico immersivo Borderless.

Qui è stato finalmente realizzato il concetto di città giardino: linee ondulate e morbide, corridoi pieni di piante, pergole e colline a formare percorsi pedonali e collegamenti verdi tra uno spazio commerciale e l’altro. La sinuosità e i diversi livelli dei percorsi e delle aree panoramiche, così come l’organizzazione dei giardini e delle aree verdi in cui il Giappone eccelle, “hanno richiesto un lavoro notevole, ma la resa è così naturale che sembra non aver richiesto alcuno sforzo”. Azabudai Hills è ormai il nuovo modello per gli edifici multifunzionali. Confrontandolo con il Tian’an Qianshu di Shanghai, progettato da Heatherwick a partire da un’idea simile, ci si rende subito conto di come esecuzione e prodotto finale possano differire a seconda delle città che li ospitano.

L’impero dei segni

È sempre più diffusa l’opinione che i centri commerciali non debbano rientrare fra le attrazioni principali di una città, e che bisogna restituire le strade alle persone. Non sono d’accordo, per diversi motivi. Le ragioni per criticare i centri commerciali sono varie, per esempio la standardizzazione e la scarsa originalità dei negozi al loro interno. Ma fare spese a Tokyo nei centri commerciali, nelle stazioni o negli aeroporti è molto spesso qualcosa che va oltre il semplice shopping. L’importante è prestare attenzione al design degli ambienti, a come sono stati ricavati gli spazi funzionali e a molti altri dettagli che al primo impatto possono sfuggire. Essendo un cultore della segnaletica urbana, ciò che più m’interessa è il modo in cui sono indicate le direzioni per evitare che il viaggiatore si perda appena sceso dall’aereo. Sono i segnali più semplici quelli che ci guidano verso la nostra destinazione: i colori diversi per ogni linea metropolitana; le indicazioni sulle banchine per capire dove dobbiamo fermarci per entrare nel vagone giusto; o i tombini decorati in maniera differente a seconda delle caratteristiche culturali dell’area in cui si trovano. Nei luoghi legati per qualche motivo a personaggi famosi, le fermate del trasporto pubblico possono esibire esempi illustrati del lavoro di Leiji Matsumoto e Kenji Miyazawa. Nei centri commerciali si vedono segnaletiche diverse per i bagni di uomini e donne, le aree per bambini, le zone fumatori o altro. Sembra di essere nel paradiso del design della segnaletica o, per citare il titolo del libro di Ronald Barthes, nell’Impero dei segni.

Gonzalo Azumendi

Perdersi è in realtà il modo migliore per restare ancorati a quello che sta succedendo, è l’essenza delle passeggiate in città, che così diventano imprevedibili. A quanto pare la guida per girare Tokyo a piedi è così dettagliata che, dopo aver indicato la fermata della metropolitana da cui uscire, aggiunge anche dopo quanti passi si riesce a fotografare “la prospettiva che culmina con la Tokyo tower incorniciata dai ciliegi in fiore”. Ma non c’è niente di peggio di una simile pianificazione del passeggiare, così come non c’è nulla di più affascinante del “perdersi accidentalmente” durante il percorso, come quando sbagliamo o fraintendiamo alcune indicazioni e scopriamo luoghi inaspettati.

Recentemente mi è capitato di sentirmi smarrito in un bagno pubblico a controllo vocale. C’erano le istruzioni su come comportarsi, certo. Ma immaginate che il vostro inglese o giapponese non siano perfetti, che abbiate difetti di pronuncia o addirittura di essere muti. Riuscireste a usare il bagno? Hi Toilet è un bagno pubblico sferico disegnato da Kazoo Sato e dal Distruption Lab Team, completato e messo in funzione nel 2023 come parte del progetto Tokyo Toilet. Il Giappone è un posto così incredibile che affermare che “i bagni pubblici sono il biglietto da visita della sua cultura” non è un’esagerazione. Il progetto Tokyo toilet è stato anche il committente di Perfect days. Se oggi 17 bagni pubblici di Shibuya sono dei punti di riferimento per i turisti, lo dobbiamo al potere creativo del city branding giapponese.

Il Tokyo toilet era inizialmente un progetto di riqualificazione urbana promosso dall’organizzazione non profit Nippon Foundation e dalla municipalità di Shibuya in vista delle Olimpiadi. Faceva parte dei piani per Tokyo 2020, posticipati di un anno a causa della pandemia. L’intenzione originaria era ristrutturare 17 vecchi gabinetti pubblici di Shibuya. Il loro completamento ha coinciso con il boom di turisti registrato dopo la pandemia. Lo sponsor principale è stato Tadashi Yanai, il fondatore dell’azienda di abbigliamento Uniqlo. Ha invitato 16 personalità tra architetti, designer e influencer (tra gli altri Toyo Ito, Tadao Ando, Shigeru Ban, Kengo Kuma, Masamichi Katayama, Sou Fujimoto, Fumihiko Maki, Marc Newson) a scegliere un bagno pubblico e a proporre un’idea di ristrutturazione. Una volta realizzati i progetti, sono stati investiti parecchi soldi per migliorarne il servizio di pulizia (passato da una a tre volte al giorno) e per le divise degli addetti, firmate dall’influencer Nigo, espressione del soft power giapponese.

Tania Reinicke, Laif/Contrasto

A partire dal cubo bianco disegnato da Kashiwa Sato vicino alla stazione Ebisu, la collocazione di ogni bagno pubblico rinnovato riflette la diversità di Shibuya. Il cubo è vicino a un’area fumatori e, dal numero di pacchetti di sigarette che vi si trovano, si può dedurre la frequenza delle pause degli impiegati. Quando sono entrato nel gabinetto a forma di fungo disegnato da Tadao Ando nel parco di Jingu-Dori, invece, ho capito che lo usano principalmente i bambini. Il più discusso è sicuramente quello disegnato da Shigeru Ban e costruito nel parco comunitario Haru-no-Ogawa. Le pareti sono trasparenti e da fuori si vede tutto. Il vetro colorato si opacizza solo quando la porta è chiusa a chiave. L’intenzione originale era rispondere a una preoccupazione espressa, soprattutto dalle donne, in un sondaggio sui gabinetti pubblici: la paura di trovarci qualcuno dentro. Tutto questo potrebbe creare un po’ di confusione in chi usa questo bagno per la prima volta, un senso di straniamento, di curiosità verso qualcosa di nuovo e inaspettato. Ma di sicuro è un’esperienza che incarna esattamente il divertimento del “perdersi” di cui si parlava prima.

A completamento del progetto Tokyo toilet è stato chiesto al regista tedesco Wim Wenders di promuoverlo. Quelli che dovevano essere diversi cortometraggi sono diventati Perfect days, film che è valso a Koji Yakusho il premio come migliore attore a Cannes. Oggi il film del regista tedesco sembra la migliore campagna pubblicitaria per il ritorno del turismo a Tokyo dopo la pandemia. Il messaggio è talmente forte che chi l’ha visto vuole ricalcare i tragitti del signor Hirayama, il protagonista del film. I gabinetti di design che l’uomo pulisce durante il suo lavoro, il parco dove si siede durante la pausa pranzo per fotografare la komorebi (la luce del sole che filtra dai rami degli alberi), il negozio di musicassette che frequenta a Shimokitazawa e i sentō (i bagni pubblici con docce e vasche) nei vecchi quartieri dove va a lavarsi sono diventati riferimenti insoliti per i turisti che visitano la capitale giapponese.

Tania Reinicke, Laif/Contrasto

Per Hirayama lavarsi nei sentō della città è una sorta di rituale battesimale che lo “trasforma” da anonimo e scrupoloso addetto alle pulizie nella persona che realmente è. Nel tempo libero, infatti, è un uomo d’altri tempi, appassionato di musica rock, foto analogiche e romanzi di William Faulkner. Questa nostalgia per oggetti che sembravano ormai caduti in disuso – oggi molto diffusa – è largamente esplorata dal film e, prima ancora di aver avuto il tempo di elaborala, mi sono accorto che c’è un’altra vecchia abitudine che sta tornando di moda a Tokyo e ha dato vita a una sorta di movimento per la ristrutturazione dei vecchi sentō. Man mano che le esplorazioni a piedi della città diventano più popolari, la visita a luoghi con un’atmosfera particolare sostituisce sempre più spesso quella delle più note attrazioni turistiche. Negli ultimi anni, per esempio, nel distretto alla moda di Nakameguro molte guide consigliano di farsi un bagno al Kohmeisen, vicino alla stazione. Era un piccolo e autentico sentō a cui, dopo i lavori di ristrutturazione, hanno aggiunto una raffigurazione, per la verità neanche troppo bella, in stile terme romane sul muro d’ingresso, e con un’atmosfera più cupa che fatiscente al suo interno.

Una volta entrati bisogna togliersi le scarpe e riporle in una scarpiera, acquistare il biglietto d’ingresso a una macchinetta e ricordarsi di noleggiare un asciugamano. Chiunque può accedere ai bagni in ogni momento. La cosa più importante è rimanere in silenzio dopo essere entrati nella vasca comune. Un ingresso costa in genere meno di 600 yen (circa 3,7 euro). Pensavo che ci avrei trovato solo anziani, invece questo sentō oggi è pieno di giovani che a volte si permettono anche di infrangere la regola del silenzio. Molti ci vanno dopo il lavoro, prima o dopo cena, e comincia anche a essere scelto come luogo di ritrovo tra amici e vicini di casa. Non serve stare a mollo a lungo, una mezz’oretta è sufficiente. Dopo il bagno, quando il corpo è ancora caldo, bevete una bottiglia di Megmilk Snow o uno yogurt.

Giù dalla collina verso Shibuya

Il quartiere Daikanyama non è lontano dalla stazione Nakameguro. Si attraversa la Forestgate, un complesso per lo shopping disegnato da Kengo Kuma, si entra nel distretto di Sarugakucho e si passeggia fino alla libreria Tsutaya, il negozio principale del complesso chiamato T-site Daikanyama. Lungo la strada ci sono i negozi e i locali tipici del quartiere, e per confondersi con i residenti bisognerebbe girare con un cane in un passeggino. Anche il negozio per la toilettatura degli animali vicino al T-site, infatti, è diventato un luogo di ritrovo.

Un bagno pubblico nel quartiere di Shibuya disegnato dall’architetto Sou Fujimoto (Stefan Boness, Panos/Parallelozero)

Il nome di una zona della città è forse il modo più immediato per comprenderne la storia. Daikanyama (letteralmente monte Daikan) è davvero una collina. Scendendo dal versante sud si passa accanto all’antica residenza della famiglia Asakura e si segue la vecchia strada Mekirizaka fino al fiume Meguro, dove di tanto in tanto ci si imbatte in persone famose che fanno jogging. Se invece da Daikanyama si prosegue verso nord, si può scendere fino a Shibuya. Questa passeggiata rende l’idea della variegata conformazione di Tokyo. L’aspetto più interessante dell’andare da Daikanyama a Shibuya a piedi è proprio la possibilità di poter scegliere percorsi diversi che portano tutti alla statua di Hachiko. Si può attraversare il piccolo parco Saigoyama, nota destinazione per i picnic sotto i ciliegi in fiore, oppure la Yamate-dori. Quando ancora non c’erano molti grattacieli, si passava di qui per ammirare il monte Fuji. Oppure, si può attraversare la Meiji-dori e percorrere la Komachi-dori. Qui mi sono imbattuto in un altro sentō, chiamato Kairyōyu. Inizialmente ad attirarmi sono stati la grande balena azzurra e il paesaggio marino dipinti sulla sua facciata. Poi, quando sono entrato, ho notato che la vasca era stretta e forse troppo illuminata da una luce rossa. Dal logo e dall’edificio si capisce che è un esempio del movimento per la ristrutturazione dei sentō.

I sentō Koganeyu e Komaeyu, ristrutturati dallo studio di architettura Schemata, sono forse i lavori di questo movimento che meglio hanno riproposto la connessione con la comunità locale mantenendo lo stile e gli spazi dei vecchi bagni e donandogli nuova luce. Lo stile industriale della facciata in cemento grigio mette subito in evidenza lo spazio per l’attesa, prima di entrare e dopo essere usciti dai bagni. Il negozio di fronte vende birre locali e ha anche un birrificio poco distante dove si può andare per rilassarsi e socializzare. Questo evidenzia anche la scelta del proprietario del locale che, come molti giovani che hanno ereditato l’attività di famiglia, l’ha adattata ai tempi.

Un bagno pubblico nel quartiere di Shibuya disegnato da Nao Tamura (Stefan Boness, Panos/Parallelozero)

Quando ci s’immerge nelle vasche dei sentō di Tokyo, è facile trovarsi di fronte un’immagine del monte Fuji. Al di là della qualità delle opere (alcuni dipinti sono davvero brutti), è una tradizione che gli abitanti di Tokyo non hanno dimenticato. L’abitudine a “lavarsi ammirando il Fuji” si è diffusa solo nell’ultimo secolo. Il primo dipinto del monte Fuji è stato quello del sentō Kikaiyu, aperto nel 1912. Ma solo dopo il grande terremoto del 1923 ha acquistato un significato simbolico. La città era stata quasi completamente distrutta, e la prima cosa a essere ricostruita furono i bagni pubblici. Così, dopo una dura giornata di lavoro a tirare su le proprie case, gli abitanti dimenticavano per un attimo le difficoltà per godersi un bagno e la vista del Fuji, diventato simbolo di eterna speranza. Passeggiando per la ricca Tokyo, viene da pensare che i famosi “trent’anni perduti” (la crisi seguita allo scoppio della bolla finanziaria), di cui si sente tanto parlare, siano una menzogna.

Mi sembra che qui non si sia perso né tempo né opportunità, anzi. Le nuove costruzioni a Shibuya dimostrano che si continuano a esplorare soluzioni più sofisticate, avanzate e ricche. Ma nelle altre città ho notato che perfino le strade dello shopping sono quasi vuote. I giovani si sono trasferiti nei grandi centri urbani e quando i proprietari di negozi vogliono smettere di lavorare, non hanno altra scelta che chiudere l’attività. I giovani con i loro capitali, le loro motivazioni e le loro speranze sembrano interessati solo a Tokyo, dove si accumulano pressione e frenesia che rendono indispensabile organizzarsi la vita per riposarsi e coltivare i propri interessi nel tempo libero. Vivendo a Tokyo, è necessario trovare il proprio ritmo e non lasciarsi trascinare dalla calca del famoso incrocio di Shibuya.

Ma cosa significa vivere una vita più rilassata? Ignorare le pressioni esterne e ricercare il proprio ritmo coltivando i propri interessi, per esempio. Anche se quasi tutti vanno nei centri commerciali per fare acquisti, c’è chi ci va per concentrarsi su nuovi simboli e su nuove segnaletiche. Anche se la maggior parte dei turisti si affolla a Ginza, c’è qualcuno che preferisce andare a Shibuya per visitare i bagni pubblici. E se la gran parte prenota una ryokan (hotel tradizionale) con spa di lusso, qualcuno ancora sceglie di andare nella Shitamachi, la città vecchia, per un bicchiere di birra artigianale dopo il sentō.

Nei corridoi della stazione Shibuya ci sono gigantografie di idol (personaggi dello spettacolo, in genere cantanti pop) che ruotano in continuazione. Ogni giorno arrivano qui carovane di fan per scattarsi un selfie davanti ai loro ritratti. È questo a rendere Shibuya interessante. Accanto a migliaia di fan di idol ci sono persone ancora legate a Lou Reed e alle musicassette. Ognuna di loro vive la sua vita in santa pace e, forse, si incontreranno tutte in un sentō della Shitamachi. ◆ cag

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Questo articolo è uscito sul numero 1577 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati