“Quanti anni hai?”, “che lavoro fai?”, “hai figli?”, mi chiede Nyoman, uno sciamano di Bali. Mi tiene la mano nella sua e sfiorandola delicatamente con l’altra mi scruta negli occhi. Siamo seduti nel suo giardino, gli uccellini cinguettano, il fumo dei bastoncini d’incenso ci danza intorno. No, non sono andata a un appuntamento galante, ma a farmi leggere la mano alla famosa Liyer spirit house, nella cittadina di Ubud. Il padre di Nyoman era il famoso Ketut del film Mangia prega ama, lo sciamano che aiuta Julia Roberts, viaggiatrice in cerca della felicità, dell’amore e di se stessa, a completare il suo percorso. Il suo, però, era un viaggio interiore. Ketut oggi non c’è più, ma a continuare la sua attività c’è il figlio Nyoman. Esposta in bella vista in giardino c’è una foto di gruppo con Julia.

Torno subito in me sentendo le poche domande personali su cui, suppongo, costruirà la storia della mia vita. Quando sentirà che sono una guida turistica, mi dirà che la mia vita dev’essere emozionante, che conoscerò tante persone diverse, che sarò felice, che avrò soldi e, naturalmente, che un giorno mi sposerò: tanto per farmi sperare di non morire da sola con i voucher in mano oppure sgolandomi con un gruppo di turisti su un motoscafo per le isole Gili. Alla fine mi dice pure che dovrò stare attenta ai soldi, anche se lui non dà molta importanza alle cose materiali. “Money come, money go (i soldi vanno e vengono)”, dice ridendo.

Quando i ragni se ne vanno, sta per succedere qualcosa di brutto

Strano, però, che i soldi siano “andati” unicamente dal mio portafoglio: mezz’ora fa mi ha preso 600mila rupie (circa 36 euro) per la lettura della mano e una benedizione di 15 minuti. Un’anziana signora seduta a pochi metri da noi conta tutto d’un fiato i guadagni della mattina, stringendo bene le banconote per non farle volare via spinte dal ventilatore.

Sarei dovuta andare ai combattimenti di galli, mi rammarico tra me e me. Ho tenuto da parte la curiosità sociologica e ho pensato che quest’esperienza potesse smentire il mio pregiudizio, cioè che anche questa fosse una trappola per turisti, ma alla fine l’ha solo confermato. Nyoman ha detto a tutti che siamo belli e intelligenti, di prenderci cura della nostra salute e cose simili a quelle che si leggono sull’oroscopo del televideo. Gli ospiti stranieri prima e dopo di me, però, sembravano prenderlo molto sul serio. Ho la sensazione che il mio sarcasmo potrebbe essere frainteso, che potrebbe portare guai.

Fin dagli albori del turismo, Bali è stata concepita come un’oasi hippy. La sua trasformazione nella meta turistica di oggi è cominciata negli anni sessanta, quando era proprio il suo lato mistico a essere enfatizzato, perché andava a nozze con la popolarità della controcultura negli Stati Uniti dell’epoca. Dopo che un’intera colonia di hippy e pittori aveva reso famosa la cittadina di Ubud, a Bali sono arrivate personalità leggendarie come David Bowie e Iggy Pop, le cui avventure indonesiane avrebbero poi ispirato a Bowie il brano Tumble and twirl. L’artista britannico fu talmente affascinato da questo luogo che dispose per il proprio funerale la cremazione secondo le usanze locali e la dispersione delle ceneri nel mare di Bali.

Gli occidentali arrivavano in cerca di risposte ai rapidi cambiamenti sociali in atto – risposte che né il sistema di valori materialistici né le vecchie religioni (da un lato corrotte dalla collaborazione con movimenti conservatori e fascisti e dall’altro troppo attaccate alle loro stagnanti gerarchie) sapevano offrire. Così l’oasi tropicale di Bali, con i suoi templi “galleggianti” ai piedi del vulcano, diventò lo sfondo delle “Hawaii indù”, l’“isola della pace”, “il mattino del mondo” e, soprattutto, la capitale del movimento new age.

Il new age si presentava come una tendenza giovanile, rivoluzionaria, flessibile, “spirituale, ma non religiosa”. Alla sua base c’era l’idea che tutti facciamo parte della natura divina dell’universo, che siamo tutti una cosa sola e che, allo stesso tempo, la salvezza possiamo trovarla da soli, attraverso vari metodi che portano a un cambiamento di coscienza. Le disgrazie e le persone malvagie sono generate dall’energia negativa che noi stessi emettiamo. Ecco perché la filosofia new age è spesso accusata di assecondare gli sforzi capitalistici di ridurre tutto a una questione di responsabilità individuale, senza considerare il contesto sociopolitico.

Il new age non è “capitalistico” di per sé, ma alcuni suoi aspetti sono serviti a privatizzare la sofferenza e la colpa, concepite esclusivamente come responsabilità dell’individuo e, di conseguenza, a rendere passiva la resistenza. Se Gesù che ha sgomberato le bancarelle degli avidi mercanti è stato “l’oppio dei popoli”, questo allora come dovremmo chiamarlo? E se Gesù avesse visto a cosa sono state ridotte la religiosità e la spiritualità di Bali, non si sarebbe forse indignato allo stesso modo?

Il movimento new age si è presentato come un attraente cocktail di credenze e concetti spirituali diversi, in cui ognuno può trovare qualcosa di adatto a sé, qualcosa da aggiungere al proprio stile di vita. E questo bisogno di rivolgersi all’ultraterreno è particolarmente sentito da persone che si ritengono progressiste e non trovano senso, né soddisfazione nella frenesia dei ritmi imposti dal capitalismo.

Solo per tasche occidentali

Ironia del destino, proprio Bali, un tempo l’isola della santità, è diventata una miniera d’oro per ciarlatani, falsi guru, narcisisti e persone che sfruttano i più vulnerabili per denaro, sesso o per aumentare il proprio ego. Abbondano le testimonianze di molestie sessuali, manipolazione, sfruttamento finanziario e altre amenità legate ai culti new age nascoste dietro una facciata che mostra ciò che le conviene: storie di solidarietà, il fare comunità, la spiritualità e il divino. Per molti anche questo “viaggio interiore” si trasforma in una specie di raccolta punti, in una gara a chi seguirà più corsi, a chi andrà dal guru migliore, a chi parteciperà a più workshop. E queste cose costano.

Sugli opuscoli e negli articoli che invitano a visitare Bali risaltano le liste di “attività spirituali”, di esperienze sacre e meravigliose, la terapia con i cristalli, un centinaio di tipi di yoga, la lettura della mano, l’ayurveda, i tarocchi, la pulizia energetica, la magia nera, l’uso dei sacri mantra, le danze dell’anima, l’apertura dei chakra e attività di ogni genere che riducono la religione più antica del mondo a un ritiro di benessere. Per alcune pratiche che non hanno nulla a che fare con l’induismo balinese vi chiedono i soldi in anticipo. E se lo racconterete a un balinese vi sentirete dire che nessun vero sacerdote o guru farebbe pagare per una cosa del genere. Uno degli eventi più famosi di Bali è il cosiddetto Bali spirit festival, lanciato a Ubud nel 2008 dalla newyorchese Meghan Pappenheim. Meg si descrive come attivista sociale e imprenditrice creativa con una mentalità da “start-up”, e nelle interviste descrive la sua “filosofia del guadagno” come “capitalismo coscienzioso”: le basta poter pagare le bollette e permettersi un telefono cellulare, il resto lo dona alla comunità. Considerando che il biglietto per il festival di quattro giorni costa più di 400 euro, mi chiedo quante bollette debba mai pagare questa Meg.

Allo stesso modo le riviste occidentali pubblicizzano ville e hotel di lusso dove durante il G20 del 2022 hanno soggiornato capi di stato e di governo come Justin Trudeau, Emmanuel Macron, Giorgia Meloni e Joe Biden. Dato che il vertice si è tenuto dopo la pandemia, che aveva devastato economicamente le famiglie balinesi, è stato logico investire l’equivalente di 43 milioni di euro per far sentire i leader mondiali il più possibile a loro agio e quindi ispirare anche le persone povere a pagarsi una vacanza da sogno al St. Regis Bali resort, dove i prezzi per una notte variano da 2.800 a 13.600 euro. È folle, penserete. Ma non lo è. Non sapete che l’aspetto esteriore dell’hotel è ispirato al concetto sacro dell’eterno legame tra la montagna e il mare? Tutto ciò che accade sulla montagna avrà effetti sul mare, e viceversa, e le dimensioni e gli spazi dell’hotel simboleggiano questo percorso di pellegrinaggio dall’una all’altro. I sacerdoti balinesi usavano ritirarsi sulle montagne ed erigere templi in riva al mare, così potevano entrare in connessione con il divino in solitudine. Oggi, invece, si può pagare per saltare tutti questi passaggi e trovare dio direttamente a bordo piscina con un cocktail in mano.

Nyoman mi ha davvero deluso con le sue chiacchiere, ma almeno mi è rimasta la consolazione che quei soldi possano sfamare un’intera famiglia. Il che non è scontato, perché chi guadagna di più dal business spirituale sull’isola sono gli stranieri, che hanno adattato tutto al gusto e alle tasche occidentali. “Le filosofie orientali che il new age afferma di sostenere in realtà sono solo valori occidentali rivestiti con l’estetica di popoli storicamente oppressi. Quando gli occidentali si sono appropriati delle pratiche locali, le hanno epurate dal loro contesto religioso tradizionale per renderle più attraenti e per trasformarle in merce. Di conseguenza gli occidentali traggono profitto rubando le pratiche spirituali e le credenze di chi invece non ottiene nessun vantaggio, e questo non solo porta al degrado della cultura locale, ma la rende anche difficile da praticare. “Quest’appropriazione neoliberista della spiritualità locale, così come molte caratteristiche del new age, ha le sue radici nel colonialismo e nell’orientalismo”, afferma Hugh Bayard Urban, docente di scienza delle religioni e dell’Asia meridionale all’università dell’Ohio. Ma non è colpa di Bali se noi occidentali ci annoiamo, non riusciamo a stare fermi cinque minuti soli con noi stessi e colmiamo alla bell’e meglio il vuoto che abbiamo dentro girando il mondo come mosche narcisiste senza testa in cerca di distrazioni, portando rovina o capitali.

Una turista a Ubud, Bali, Indonesia, 2022 (Agung Parameswara, Getty)

Una mente affilata

Romanticherie a parte, quest’isola è speciale, e chiunque la visiti capisce come mai il “turismo spirituale” si sia sviluppato proprio qui. L’estate scorsa ero a Bali durante una festa dedicata agli attrezzi e agli oggetti appuntiti. Oltre alla falce, ai coltelli e a utensili simili, si prega anche per tutti gli altri strumenti di lavoro, dai macchinari alle auto. Questa giornata ha anche un significato simbolico: si prega per avere una mente affilata, perché è il nostro strumento più sacro. Per le strade ci sono molte statue e materiali da costruzione in vendita nei cortili aperti.

“Non c’è pericolo che qualcuno rubi”, spiegava un abitante di Witana. “Lo stesso vale per gli animali. Corrono di cortile in cortile. Nessuno ruberà niente a nessuno. Ci prendiamo cura gli uni degli altri. Ogni villaggio e ogni insediamento ha il suo edificio dove si svolgono le riunioni di quartiere e dove insieme si prendono le decisioni che riguardano la comunità”. Secondo un detto balinese, l’importante nella vita non è avere di che mangiare ma stare insieme.

In tutto quel che fanno i balinesi sono guidati dal principio del tri hita karana, che significa rispettare il rapporto armonioso tra l’uomo e Dio, tra esseri umani (la comunità) e tra loro e la natura. Grazie a questi princìpi gli abitanti dell’isola hanno imparato a convivere con le minacce delle catastrofi naturali, come le eruzioni vulcaniche e gli tsunami. Dopo un periodo difficile, arriva sempre un periodo di benessere, come il sole dopo la pioggia.

A Bali vive Luh Sukarmi, nota come la “sussurratrice di ragni”, che ha lasciato il suo giardino ai ragni. In due occasioni sono tutti scomparsi. Una volta è successo prima dell’eruzione del vulcano, la seconda prima della pandemia. Il messaggio è chiaro: quando i ragni se ne vanno, sta per succedere qualcosa di brutto. Ma se tornano, vuol dire che accadranno cose belle.

Il problema dei trasporti

◆ Quasi la metà dei visitatori stranieri in Indonesia ogni anno (15 milioni nel 2023) sceglie Bali come destinazione. Il pil dell’isola dipende per il 61 per cento dal turismo, e durante la pandemia l’economia locale ha risentito molto dei lockdown. Dopo la riapertura del paese, i visitatori sono stati invitati a scoprire i villaggi rurali e le zone più povere, con conseguenze pesanti per i residenti: aumento del traffico e dell’inquinamento e guida indisciplinata dei turisti, tanto da spingere nel marzo 2023 le autorità a vietare temporaneamente il noleggio di moto e scooter agli stranieri. Nonostante tutto, molti abitanti di Bali da decenni guadagnano portando in giro i visitatori, per questo i tentativi di decongestionare il traffico con servizi ad hoc incontrano l’opposizione della popolazione. The Conversation


Non dev’essere male venire a Bali e meditare sulla spiaggia, scattare qualche foto da postare su Instagram, sguazzare nell’acqua sacra, bere una birra con un gruppo di estranei dopo l’abluzione, e poi salire su un aereo e tornare a casa mentre i balinesi continuano a doversela vedere con la riduzione dei terreni coltivabili, con la mancanza d’acqua potabile o con i problemi del traffico e dei rifiuti, tutte cose che non si possono risolvere attraverso il manifesting, una forma di meditazione che aiuterebbe a far sì che accada ciò che si desidera. Secondo una ricerca del Transnational institute di Amsterdam, dal 2000 Bali ha perso il 25 per cento delle sue risaie, che oggi giacciono sotto il cemento e gli alberghi. A testimoniare la presenza, in passato, di campi coltivati sono solo i templi dedicati a Dewi sri, la dea della fertilità, e al riso. Gli alberghi hanno sostituito i templi, il mare è pieno di plastica e l’approvvigionamento di acqua potabile è problematico.

Protezione a tempo

Quello che fino a ieri era riservato agli emarginati, agli hippy e ai ribelli, ora è diventato business e merce. Il turismo ha digerito e si è lasciato alle spalle anche questo: lo stereotipo dello straniero. Nell’immaginario comune lo straniero non è più il giovane con lo zaino in spalla e la maglietta tie-dye _(tinta con la tecnica dei nodi, tipica degli hippy) che mangia nei _warung, piccoli alimentari o locali a conduzione familiare, lungo la strada. Al suo posto oggi ci sono famiglie, coppie in luna di miele, turisti appartenenti alla classe media: quelli che si fanno fotografare sulle altalene e preferiscono i ristoranti più raffinati per evitare di farsi venire “il Bali belly”, la diarrea del viaggiatore. La new age ha fatto lo stesso con le pratiche e le usanze locali.

Ma di chi è davvero la colpa? Viviamo in un mondo governato dall’industria dei servizi, il turismo è onnipresente e sarebbe ipocrita combatterlo se non si ha intenzione di lasciare la propria città per il resto della vita. Per molti il turismo è diventato un’inaspettata fonte di reddito. Le persone in crisi, con disagi mentali e sole cercano una spiegazione, un senso, una comunità, un posto nel mondo, e i vari ciarlatani di turno sono pronti ad approfittare di loro. I balinesi sembrano adattarsi, nonostante protestino contro lo sfruttamento della loro isola: “Il problema non sono i turisti, ma gli investitori avidi che si sono insinuati nelle maglie della politica locale. Chi davvero ama Bali investe in modo rispettoso e responsabile”.

Mentre finisco di scrivere, noto che al polso ho ancora il tridatu, un braccialetto tricolore balinese che simboleggia Brahma, Vishnu e Shiva. Me l’ha dato Nyoman durante la cerimonia di benedizione. Ha detto che la protezione dura un anno, dopodiché bisognerà che torni per prenderne uno nuovo. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1592 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati