La clamorosa caduta del regime di Bashar al Assad in Siria è il 1989 del Medio Oriente. Come la caduta del muro di Berlino, la fine dei 54 anni di regno della famiglia Assad, avvenuta l’8 dicembre, è il segnale di un terremoto nell’ordine regionale, con scosse che saranno avvertite per decenni. Il 1989 ebbe un effetto domino in Polonia, Ungheria, Germania dell’Est e altrove. Allo stesso modo il collasso del regime siriano fa parte di una catena di eventi, tra cui Israele che decima Hezbollah, l’Iran che perde i suoi alleati più potenti e la Russia che s’indebolisce a causa della guerra in Ucraina.
E come il 1989 segnò la fine del comunismo in Europa, la fuga di Assad a Mosca segna la sconfitta dell’ideologia della resistenza anti-occidentale e anti-israeliana in Medio Oriente. Per più di mezzo secolo la famiglia Assad è stata il pilastro di un ordine politico in cui un blocco di stati mediorientali aveva proclamato la resistenza a ciò che definivano imperialismo occidentale e sionismo. Appropriarsi del conflitto israelo-palestinese serviva a mobilitare le masse popolari della regione che volevano giustizia per i palestinesi. Il regime siriano e i suoi alleati hanno strumentalizzato questi sentimenti per distrarre l’attenzione dai loro fallimenti, opprimere la popolazione ed estendere la propria influenza regionale. In realtà, questi regimi si interessavano poco dei palestinesi.
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Linea di difesa
All’interno di questo blocco la Siria e l’Iran credevano di aver stretto un’alleanza reciprocamente vantaggiosa e duratura, in cui ciascuno era convinto di avere un ruolo dominante. La Siria era fondamentale per Teheran perché costituiva il cuore del ponte terrestre tra l’Iran e il suo alleato più prezioso, Hezbollah in Libano; mentre la Siria considerava l’allineamento con l’Iran un modo per rafforzare la sua posizione nei confronti di Israele e la sua influenza sul Libano.
Per l’Iran l’ideologia della resistenza è stata uno strumento indispensabile per raccogliere il sostegno degli arabi e dei sunniti, mentre cercava di ottenere la superiorità in Medio Oriente. Come leader del sedicente asse della resistenza, i religiosi di Teheran sono riusciti a soppiantare la vecchia ideologia del nazionalismo panarabo, adottata dal partito Baath siriano e altri, e infine a dominare vari paesi arabi attraverso alleati ben armati. Il regime di Assad ha ignorato questa sfida, anche quando l’Iran manipolava il partito Baath per raggiungere un’egemonia regionale, per esempio presentando Hezbollah alla Siria come un alleato, mentre l’obiettivo principale della milizia libanese era sostenere l’esportazione della rivoluzione islamica. La rivolta siriana del 2011 e la guerra che ne è seguita hanno spostato l’equilibrio di potere verso l’Iran, che è intervenuto per difendere il regime di Assad. Cosa ancora più importante, Teheran ha chiamato Hezbollah a sostenere il regime di Assad contro i ribelli siriani.
Nel corso della guerra siriana, Damasco è passata da partner a cliente dell’Iran. Il regime di Assad, molto ridimensionato, per sopravvivere dipendeva ormai da Teheran e dai suoi alleati, tra cui Hezbollah e altre milizie controllate dagli iraniani e provenienti da vari paesi. In altri stati mediorientali, come Iraq, Libano e Yemen, i gruppi vicini a Teheran hanno consolidato il loro status di protagonisti politici e militari. L’Iran ha intensificato il suo investimento in questi gruppi considerati una linea di difesa e uno strumento di influenza geopolitica. L’ascesa di Teheran a potenza regionale è arrivata a definire un’intera epoca della politica mediorientale. In tutta la regione la maggior parte dei paesi era sotto l’influenza diretta dell’Iran, attraverso gruppi suoi alleati, o è stata costretta a configurare la sua politica estera in funzione delle minacce poste da Teheran. I paesi del golfo Persico, per esempio, hanno cercato di allentare le tensioni con la Repubblica islamica per scongiurare l’instabilità causata dalle sue attività.
Agli Stati Uniti, ad altri paesi occidentali e a Israele non piaceva questo ordine dominato dall’Iran, ma lo tolleravano. Lo consideravano un rischio minore rispetto alle forze ignote che un improvviso cambiamento politico a Teheran o a Damasco avrebbe potuto scatenare. Questo compromesso in stile guerra fredda ha permesso alla Siria e all’Iran di sentirsi sicuri del loro potere nei confronti dell’occidente e dei suoi alleati. Il disimpegno statunitense dal Medio Oriente sotto l’amministrazione di Barack Obama ha spianato la strada all’inserimento della Russia nell’ordine regionale. Quando l’Iran e i suoi alleati hanno dimostrato di non saper tenere in piedi da soli il regime di Assad, Mosca ha visto la guerra siriana come un’opportunità a basso costo per reclamare il ruolo di potenza globale e arbitro della regione. Le importanti basi navali e aeree russe in Siria sono servite anche da centri logistici fondamentali per l’espansione delle operazioni militari di Mosca in Africa.
Per quasi un decennio la Russia è diventata così una protagonista nella guerra fredda mediorientale. Con l’Iran e il resto dell’asse della resistenza sembravano formare un unico blocco, mentre gli alleati dell’occidente come Israele e i paesi del Golfo ne formavano un altro. Ma il sostegno russo ad Assad era poco più che una collaborazione di convenienza, e i rapporti tra Russia e Iran non sono mai stati senza attriti. Fin dall’inizio dell’intervento militare russo in Siria, Mosca ha cercato di indebolire l’influenza di Teheran nel paese per mantenere un ruolo dominante.
Il regime iraniano era preoccupato dalla sfida che la Russia poneva alla sua influenza in Siria. Ma non aveva altra scelta che rimanere nell’orbita di Mosca, considerando l’influenza russa in Siria un piccolo prezzo da pagare per guadagnare un potente sostenitore all’asse della resistenza.
Teheran ha presentato al popolo iraniano Hezbollah e il regime di Assad come un investimento utile: una linea del fronte nella resistenza a Israele e un fiore all’occhiello del prestigio regionale del paese. Aveva bisogno di rassicurare gli iraniani che i sacrifici economici e l’isolamento politico generati dal sostegno a Hezbollah e ad Assad non erano vani. Altrimenti, affermava Teheran, l’Iran avrebbe rischiato di essere annientato da Israele e dagli Stati Uniti.
Andati in fumo
Il collasso del regime di Assad ha sconvolto questa dinamica, bloccandola all’improvviso. Il fatto che la Russia ha abbandonato Assad – e, per estensione, il progetto iraniano in Siria – crea ulteriori fratture nella rete di alleanze di Teheran, che già si stava restringendo. La leadership iraniana faticherà a giustificare i decenni di investimenti in Siria, andati in fumo in pochi giorni.
Agli iraniani sarà chiaro che il regime – rimasto solo, senza la Siria e la Russia, di fronte a un blocco ancora solido sostenuto dall’occidente – gli ha imposto un sacrificio inutile, che non potrà essere riscattato neppure dal programma nucleare. Questo mette seriamente a rischio la sopravvivenza della Repubblica islamica, potenzialmente la conseguenza più importante degli eventi delle ultime settimane.
Le ripercussioni della caduta di Assad toccheranno anche il Libano, l’Iraq e lo Yemen, perché i gruppi alleati dell’Iran si ritroveranno senza un’importante ancora di salvezza. In Libano in particolare le dinamiche politiche innescate dalla decimazione di Hezbollah fatta da Israele probabilmente saranno accelerate dalla perdita del cruciale ponte terrestre per le forniture di armi da Teheran. L’improvvisa vulnerabilità di un Iran già indebolito significa inoltre che gli altri gruppi suoi alleati potrebbero cominciare a dubitare dell’affidabilità del loro protettore.
Il ruolo di Israele
L’effetto domino del collasso del regime di Assad inevitabilmente significherà la fine dell’ordine regionale dominato dall’Iran. A sostituirlo ce ne sarà uno regionale dominato da Israele e dai suoi alleati. Tel Aviv ha cambiato prospettiva, da una tolleranza preoccupata dell’influenza iraniana in Medio Oriente al tentativo di cancellarla, ed è riuscito a neutralizzare quasi del tutto la più grande minaccia alla sua sicurezza.
Israele passerà da essere uno stato circondato da avversari alla ricerca di una legittimità regionale a uno che detta le priorità del Medio Oriente. Anche il fatto di avere buoni rapporti sia con gli Stati Uniti sia con la Russia lo mette in una posizione chiave per mettere fine all’ordine in vigore finora in Medio Oriente.
Per i paesi del golfo Persico, il venir meno dell’Iran come fattore di destabilizzazione rafforzerà anche la realizzazione delle loro ambizioni economiche. La sconfitta del progetto rivoluzionario dell’Iran spianerà la strada a un ampliamento della normalizzazione tra i paesi arabi e Israele sulla base di comuni interessi commerciali, politici e di sicurezza. Questa ricalibratura spingerà probabilmente la Turchia ad agire in modo più pragmatico verso la regione.
L’ideologia anti-occidentale promossa dal partito siriano Baath per 54 anni e fatta propria con successo dall’Iran è fiorita per decenni, ma sta rapidamente appassendo. Proprio come la guerra fredda finì con la sconfitta del comunismo, decenni di conflitto in Medio Oriente termineranno con la sconfitta dell’ideologia della resistenza. ◆ fdl
Lina Khatib è esperta di politica, sicurezza e cultura in Medio Oriente. Dirige ilSoas Middle East institute e insegna politica e studi internazionali alla Soas university of London, nel Regno Unito.
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Questo articolo è uscito sul numero 1594 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati