Ha sparso i boccoli ramati sul bracciolo del divano e si è coperta gli occhi con l’avambraccio. Con quella camicia da notte di raso giallo canarino che sembra più un abito da sera e quel rossetto magenta pallido vorrebbe dare l’impressione che non le importa. Eppure le importa. Come ogni sera si è fatta la doccia alle otto, ha preso il sonnifero e si è stesa sul divano in attesa del suo appuntamento. E intanto tu, seduto, guardi fisso davanti a te.
Tra qualche istante, quando si addormenterà, troverà l’uomo dalla pelle scura che la aspetta nel suo palazzo, steso proprio su uno di quei tappeti di seta, il fianco appoggiato a un cuscino di broccato. Di sicuro si metterà comoda davanti a lui, prenderà una coppa di vino dalle sue mani, farà scivolare le sue belle cosce tra le pieghe di raso della camicia da notte e… Non dovevi accettare. Forse è stata anche colpa sua. Se non avesse insistito così tanto perché vendessi la vecchia casa vicino all’incrocio di Zarrabkhaneh per comprare un appartamento di lusso ai piedi della montagna, se non avesse scelto queste piastrelle grigie per il pavimento, se non avesse messo proprio davanti alla finestra quel divano turchese, se le pareti di questa casa non fossero state così bianche, non avresti mai fatto quel sogno.
Cammini per i vicoli di una vecchia città senza sapere dove stai andando. Passeggi sicuro tra i negozi, come un turista che è sbarcato in una piccola città costiera e sa che avrà settimane per esplorare ogni angolo. Ammiri le volte arcuate delle muqarnas con le loro nicchie ad alveare. Sembra una di quelle città che hai visto nelle illustrazioni di un vecchio libro, non ricordi quale di preciso. Uomini magri, con i baffetti a manubrio e zucchetti ricamati siedono tra i negozi e parlano in una strana lingua, qualcosa tra arabo ed ebraico. Sono di passaggio, proprio come te, però è come se non ti vedessero. Procedi tra i negozi senza farci caso, valuti la merce, le stoffe preziose ti scorrono davanti agli occhi tra il profumo di legno di oud e spezie, quando all’improvviso ti assale la sensazione che qualcosa di strano, lì nei paraggi, ti stia chiamando. È un elefantino di legno di sandalo con una gemma d’agata incastonata sulla fronte, che ti guarda malinconico. Il negoziante te lo vende in cambio di una moneta su cui è raffigurato un varano. È l’unica moneta che trovi nella tasca dei pantaloni e non hai la più pallida idea di dove l’hai presa. Porti la statuetta nella tua camera d’albergo e l’appoggi sul comodino di fianco al letto. Non appena ti stendi, ti svegli.
Lei è stesa sul materasso di fianco a te, avviluppata nelle lenzuola. Sei ancora stordito da quel sogno bizzarro. Prendi una sigaretta dal pavimento, l’accendi e ti metti a fissare il quadro astrattista davanti al letto. Non gliel’avresti dovuto dire. Ma l’hai fatto. Non ti sei nemmeno preoccupato di svegliarla, sapevi che ti stava ascoltando. Le hai raccontato tutto nei minimi dettagli.
Si rigira nel letto e si porta il gomito sotto il mento. Ti sfila la sigaretta di mano e ti chiede dell’elefantino. Ti domanda se è di vero sandalo, vuole sapere la caratura dell’agata. Rispondi che non ne hai idea. Ne è rimasta affascinata. Esce dal letto, si sfila la camicia da notte con una sola mossa e va a farsi la doccia. Si muove sinuosa e leggera, sprizza gioia da tutti i pori. Fai colazione e vai al lavoro. La sera ti dice che la statuetta vale almeno centomila toman. Ha passato la giornata tra gli antiquari di via Manuchehri per scoprire il prezzo dell’elefantino. Ti fa i complimenti per essere stato capace d’impossessarti di un oggetto simile offrendo in cambio solo una moneta con l’effigie di un varano. Ti propone di andare a cena al ristorante cinese per celebrare l’evento.
Cenate al lume delle lanterne rosse. I suoi occhi, incorniciati dal foulard blu di Persia, brillano più del solito. Si porta alla bocca i gamberetti facendo molta attenzione a non rovinare il rossetto, mentre continua a parlare degli oggetti d’antiquariato che ha visto al bazar. T’incanti a osservare quel volto lunare, le labbra che si aprono e si chiudono, e intanto pensi alla casa di Zarrabkhaneh, ai lastroni ambrati del pavimento e ai divani di legno intagliato che avevi ereditato da tuo zio.
Di nuovo quel vecchio bazar. Gli stessi odori, gli stessi strani rumori e i negozianti dai baffetti a manubrio. Di nuovo quella voce che ti chiama. Questa volta proviene da una lampada di ottone. Sembra quasi quella di Aladino, è incastonata di gemme verdi e rosse. Anche questa volta la ottieni in cambio di una moneta con il varano.
La mattina lei ti si siede accanto prima che ti svegli. Ha in mano un bicchiere di succo d’arancia. Ti chiede che sogno hai fatto, tu le racconti della lampada di ottone e lei ti dà un bacio sulla fronte. Tutta contenta si veste e se ne va.
La sera è raggiante, ti butta le braccia al collo e ti mostra una foto della lampada magica in un libro che ha comprato quel giorno. Ti dice che ha girato tutti gli antiquari della città ed è riuscita a trovare una foto di una lampada che somigliasse alla tua solo nei cataloghi di due famosi musei. Ha un valore inestimabile. Per celebrare l’evento cenate sul balcone tra il profumo dei crisantemi e delle candele di canfora, e i bagliori dei boccoli che le cadono sulle spalle scoperte. E allora smetti di pensare alla casa di Zarrabkhaneh con i suoi vecchi stucchi e le porte di legno dai vetri colorati.
Lo stesso bazar, gli stessi odori, gli stessi strani rumori, di nuovo quella voce che ti chiama e la moneta con il varano. Questa volta la scambi con un’antica rivoltella dall’impugnatura d’argento cesellato. Porti la rivoltella nella tua camera d’albergo, l’appoggi sulla testiera del letto e quasi subito ti addormenti.
La mattina ti svegli più tardi del solito. Lei si è già vestita ed è pronta per uscire. Ti porge una tazza di caffè, ti chiede in tutta fretta le caratteristiche della rivoltella, se le segna su un taccuino, ti dà un bacio sulla guancia e se ne va. La sera, dopo aver chiesto più nel dettaglio come sono fatti i disegni dell’impugnatura d’argento, ti butta le braccia al collo. Con un entusiasmo infantile ti dice che adesso è sicura: quella rivoltella è appartenuta allo scià Abbas I e da quando è stata rubata da un museo in India ottant’anni fa tutti la cercano. Ti fa i complimenti per essere riuscito a prenderla solo in cambio di una banale moneta. Le afferri le guance tra le mani e le fissi gli occhi che brillano più del solito.
La sera dopo ti dice che vuole venire con te a guardare gli oggetti da vicino e toccarli. Prendete entrambi un sonnifero, appoggiate la testa su un cuscino e vi addormentate nello stesso istante.
Cenate al lume delle lanterne rosse. I suoi occhi, incorniciati dal foulard blu di Persia, brillano più del solito, mentre continua a parlare degli oggetti d’antiquariato che ha visto al bazar
Sei ancora nello stesso bazar, ma lei non c’è. Cammini per ore tra i negozi, rovisti tra stoffe ricamate e vecchie carabattole, ma non la trovi. Nemmeno la voce ti chiama più. Torni nella tua camera in albergo che adesso è invasa dagli oggetti d’antiquariato che hai comprato in questi mesi. Tiri fuori dalla tasca la moneta con il varano, l’appoggi sul comodino, tra una statua in bronzo di Budda e un vaso smaltato in minakari, e ti addormenti.
La mattina lei si sveglia di fianco a te tutta imbronciata e va a farsi una doccia senza dire niente. A colazione si lamenta che l’hai abbandonata, dice che ti ha aspettato per ore in mezzo al bazar. Rispondi che forse non era lo stesso del tuo sogno, ma lei è sicura di essere venuta in quello giusto. Secondo lei eri così preso a guardare gli oggetti che l’hai dimenticata. La sera la abbracci dolcemente, le baci i capelli ramati e le sussurri all’orecchio. Vi addormentate insieme, tutti e due nello stesso istante.
Lo stesso vecchio bazar, gli stessi odori inebrianti. Passeggi per ore tra i negozi, controlli dappertutto, ma non la trovi. Cominci a pensare che sia davvero in un altro sogno, in un altro bazar, quando all’improvviso la intravedi in lontananza, questione di un attimo. Indossa la stessa camicia da notte giallo canarino e va a braccetto con un uomo dalla pelle scura.
La mattina ti svegli prima di lei. Le braccia sopra la testa le circondano i capelli scompigliati, ha uno strano sorriso sulle labbra. Si sveglia e va a fare la doccia senza dire niente. Tu stai fumando una sigaretta steso a letto, quando viene a sedersi di fianco a te avvolta in un asciugamano e dice che l’idea di entrare nei tuoi sogni era proprio stupida, si capiva fin dall’inizio. Dice che secondo lei entrare nei sogni di qualcun altro è impossibile. Poi si veste senza aspettare una risposta e se ne va. La sera ti stendi di fianco a lei senza abbracciarla o accarezzarle i capelli e vi addormentate.
Riecco il vecchio bazar, questa volta però ti sei nascosto dietro a un muro. È di nuovo a braccetto con l’uomo dalla pelle scura, camminano ridendo tra i negozi. Lei porta la stessa camicia da notte giallo canarino e ha anche messo un filo di trucco. L’uomo dalla pelle scura l’accompagna tronfio tra le vie del bazar e a volte le indica qualcosa e glielo mostra. Lei annuisce, allora degli uomini smilzi che li seguono prendono l’oggetto e lo mettono in una portantina, dopo di che si rimettono in marcia. Torni in albergo, ti stendi sul letto e ti addormenti circondato dagli oggetti di antiquariato.
La mattina fai come se niente fosse. Lei va a farsi la doccia senza dire niente, si veste ed esce senza aver fatto colazione. Hai deciso di non andare al lavoro. Sai che non tornerà fino a sera. Prendi il contenitore dei sonniferi e mandi giù cinque pillole insieme alla colazione. Mezz’ora dopo senti che le palpebre si appesantiscono. Ti stendi sul divano e ti addormenti.
È sera e la maggior parte dei negozi sono chiusi. Chiedi ai passanti se hanno visto il tizio dalla pelle scura. Un uomo che sembra un maestro di yoga indiano ti indica un punto con sicurezza.
La sua casa sembra il palazzo di un principe delle Mille e una notte, con i vetri colorati, i tappeti di seta e i soffitti arcuati tempestati di specchi. Le nicchie delle pareti contengono statue di marmo e bronzo, piatti smaltati in minakari e ceramiche. Si sente una musica che arriva dal piano di sopra. Sali le scale a chiocciola e lo vedi. È in fondo alla stanza, sdraiato su un tappeto di seta col fianco appoggiato a un cuscino di broccato. Una donna siede alla sua destra e suona l’oud, un’altra pizzica un’arpa un po’ più lontano. Fissi i suoi grandi occhi a braccia conserte. Sono spaventosamente bianchi. Per un attimo il suo sguardo incontra il tuo. Congeda le musiciste con un cenno del capo e t’invita a sederti. Ti accomodi di fronte a lui e accetti la coppa di vino dalle sue mani. Il sorriso gli va da un orecchio all’altro. Mentre porta lentamente la coppa alle labbra dice che conosce il motivo per cui sei andato da lui. Ti dice che tua moglie è una donna molto dolce e che ha una vasta conoscenza degli oggetti d’antiquariato. Da quando l’ha conosciuta si diverte a passare le giornate a passeggiare per i vicoli della città e a comprare antichità. È un uomo educato e dai modi amichevoli. T’invita a visitare con lui le altre stanze del palazzo. Passate attraverso un labirinto di corridoi. Ogni tanto si ferma davanti a un oggetto e ti spiega cos’è. Precisa a che epoca appartiene e come ha fatto a entrarne in possesso. Aggiunge di essere il proprietario di una fabbrica in Sudafrica, ma sono anni che quando dorme ha l’abitudine di visitare questa vecchia città e comprare cose antiche. A quel punto ti dice che è disposto a non far più entrare tua moglie nei suoi sogni a patto che tu gli dia tutti gli oggetti che hai comprato in questi mesi. Ti spiega che sono anni che cerca quella statuetta a forma di elefante o quella lampada di bronzo. La sua collezione, senza quegli oggetti, è terribilmente incompleta. Rispondi che ci devi pensare. Lo ringrazi per l’ospitalità e torni in albergo. Ti stendi sul letto in camera tua e ti accendi una sigaretta. Lo spazio tutt’intorno è occupato da piatti smaltati e statue di marmo e di bronzo. L’elefantino di legno ti guarda malinconico e l’impugnatura di argento cesellato della rivoltella dello scià Abbas ti brilla sopra la testa. Ripensi ai capelli ramati di tua moglie e al bagliore dei suoi occhi circondati da quel foulard blu di Persia. Ripensi alle piastrelle grigie e alle pareti bianche di casa vostra, ti torna in mente la casa sull’incrocio di Zarrabkhaneh. Ricordi le vetrate variopinte, i lastroni ambrati del pavimento e i ricami di tua madre. Prendi la tua decisione e ti addormenti.
È da tempo, ormai, che non cenate più insieme. Quando torni a casa dal lavoro, lei ha già buttato giù i sonniferi insieme alla cena. La trovi stesa sul divano, che dorme con le braccia sotto la testa. Ha sempre quello strano sorriso sulle labbra. Ceni da solo fissando i quadri astratti davanti al tavolo da pranzo e poi vai a dormire.
La ritrovi ogni notte in quel vecchio bazar, mentre passeggia tra i negozi a braccetto di quell’uomo dalla pelle scura che possiede una fabbrica in Sudafrica, mentre compra antichità. Cerchi di evitare il suo sguardo. E lei fa lo stesso con te. ◆ gl
Mahsa Mohebali
è una scrittrice iraniana nata nel 1972. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Tehran girl (Bompiani 2020). Questo racconto è uscito sulla rivista iraniana Karnameh con il titolo Atiqeha.
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Questo articolo è uscito sul numero 1453 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati