Il piano di Tarra Carlson per la sua vecchiaia è semplice: morire prima del marito. Non si sono separati quasi mai da quando si sono conosciuti su un sito di incontri, tredici anni fa. Dopo essersi scambiati messaggi e aver fatto qualche videochiamata, hanno scoperto di vivere a pochi isolati di distanza. Carlson si è subito trasferita da lui. Si sono sposati pochi anni dopo. Il marito è senza dubbio la cosa più bella e importante per lei, dice la donna. Ed è anche, in un certo senso, la sua garanzia di vita.
Carlson, che ha 48 anni, soffre di autismo e di deficit di attenzione e iperattività. La diagnosi ufficiale è arrivata solo nove anni fa. “Ai miei tempi solo i bambini avevano questo disturbo”, dice, ma tutta la sua vita è stata segnata dall’esclusione sociale. Quando andava a scuola gli insegnanti e i dirigenti scolastici percepivano qualcosa di diverso in lei, ma non sapevano esattamente cosa fosse. Qualcuno la definiva “ritardata”. Carlson ha frequentato classi separate per studenti disabili durante tutte le elementari e una parte delle superiori. All’università faceva fatica perché non erano previste sistemazioni per persone disabili. Ricorda che da bambina un medico aveva consigliato ai genitori di metterla in un istituto psichiatrico. I medici li avevano anche avvertiti che non sarebbe mai stata autonoma.
Si sbagliavano: a 23 anni Carlson si è trasferita dalla Columbia Britannica alla provincia dell’Alberta. Oggi si guadagna da vivere facendo la badante di persone con disabilità. Per molti anni ha ricevuto il sussidio del governo provinciale per gli adulti con disabilità grave. Ma non erano molti soldi e l’assegno diminuiva quando lei lavorava, quindi era difficile essere indipendente e pianificare il futuro. A metà del 2017 ha perso completamente il sussidio a causa del reddito del marito.
“Sono spaventata all’idea d’invecchiare con una disabilità”, dice. Se il marito morisse prima di lei, potrebbe ritrovarsi senza un sostegno economico. Potrebbe anche perdere l’appartamento. Ha lavorato nelle case di riposo e non vorrebbe mai viverci. Fare domanda per programmi di sostegno alla disabilità, come l’assistenza domiciliare, è difficile. Gli uffici sono sparsi tra varie agenzie governative. Le liste d’attesa sono lunghe. Carlson è convinta che non riuscirebbe a completare la pratica senza l’aiuto del marito. Ma se morisse prima lei il problema sarebbe risolto.
Rispetto al sostegno alla disabilità, il suicidio medicalmente assistito (Maid) sembra relativamente facile da chiedere. I moduli cambiano da una provincia all’altra, ma sono abbastanza semplici e formati da poche pagine. In alcuni casi la persona che fa richiesta deve solo presentare delle dichiarazioni in cui dice di soffrire di una malattia grave e inguaribile che è in uno stato di declino avanzato. Se alla sua disabilità dovessero aggiungersi altri problemi e dovesse perdere completamente la sua indipendenza, dice Carlson, avrebbe diritto al suicidio assistito: “È un biglietto di sola andata che compri perché non hai altra scelta”.
Andarsene serenamente
In Canada fino al 2015 il suicidio assistito era un reato. Quell’anno la corte suprema ha dichiarato incostituzionali le norme del codice penale in materia perché non permettevano ai medici di accompagnare verso la morte gli adulti consenzienti. L’anno dopo è entrata in vigore la legge che legalizza il Maid, consentendo ai medici di somministrare farmaci letali a pazienti affetti da una malattia o una disabilità “gravi e incurabili” e la cui “morte naturale” è “ragionevolmente prevedibile” (con questo termine generalmente si intende un arco temporale di vari anni). L’idea era consentire ai malati terminali di mettere fine alla propria vita alle loro condizioni.
Fino a poco tempo fa la maggior parte dei mezzi d’informazione parlava del Maid in modo molto positivo. Secondo i sostenitori, permette alle persone che soffrono di scegliere una fine indolore. Qualcuno sostiene di sentirsi sollevato sapendo che la sua morte sarà pianificata e potrà andarsene serenamente. Un’alternativa alla sofferenza prolungata o a un suicidio violento o magari a un tentativo di suicidio fallito e traumatico.
Questa visione ottimistica ha cominciato a vacillare nel 2021, quando la legge è stata ampliata per includere persone che non vanno verso una morte “ragionevolmente prevedibile”. Quest’opzione, chiamata track two (percorso due), ha fatto indignare molti canadesi con disabilità. Consente a chi ne ha una di accedere al programma anche se non è allo stato terminale di una malattia. Secondo alcuni articoli di giornale, nell’ultimo anno molte persone hanno preso in considerazione l’idea di fare domanda o hanno avuto accesso al Maid per ragioni diverse da quelle inizialmente immaginate, come la difficoltà a trovare un alloggio o la povertà cronica causata dal mancato accesso al welfare. Carlson dice di conoscere persone con disabilità che hanno chiesto l’accesso al Maid perché non riuscivano ad arrivare alla fine del mese: “Lo stato ha fatto in modo che sia diventata l’unica risorsa per le persone povere o emarginate”. Nel 2024 il Canada prevede di espandere ulteriormente il programma, includendo chi soffre di disturbi mentali. Molti si chiedono se non si stia superando il limite.
I timori su questa legge non sono una novità. Nel 2019 Catalina Devandas Aguilar, all’epoca relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità, scriveva di essere “estremamente preoccupata per l’applicazione della legge sul suicidio assistito a chi ha una disabilità”. In un rapporto scriveva di aver saputo di persone rinchiuse in istituti a cui era stata offerta la possibilità del suicidio assistito; chiedeva al governo di indagare su quelle notizie e di “introdurre garanzie adeguate per evitare che chi ha delle disabilità scelga il suicidio assistito semplicemente perché non ci sono alternative sociali o cure palliative”. Due anni dopo tre esperti delle Nazioni Unite sui diritti degli anziani e delle persone con disabilità hanno scritto una lettera al governo di Ottawa, chiedendo di fermare il percorso due: “Temiamo che, se il programma sarà esteso a tutte le persone con malattie e disabilità, indipendentemente dal fatto che siano vicine alla morte, si rischia d’incoraggiare l’idea che nelle loro condizioni è meglio morire che vivere”.
Il governo canadese non ha cambiato idea. Ci sono restrizioni pensate per evitare gli abusi. Per l’accesso al percorso due, per esempio, c’è un periodo di novanta giorni tra la valutazione e il momento in cui il paziente può ricevere il trattamento (per gli altri invece non ci sono periodi di riflessione: in teoria si può approvare la richiesta la mattina e somministrare i farmaci letali nel pomeriggio).
Secondo Virginia Duff, una psichiatra di Toronto, novanta giorni non sono abbastanza per permettere a chi presenta la domanda di fare una riflessione seria. Nella maggior parte dei casi la decisione non sarebbe messa in discussione in così poco tempo. Soprattutto, aggiunge Duff, quando la disabilità è recente, e quindi si stanno ancora facendo i conti con le conseguenze della nuova condizione. “All’inizio si entra in crisi”, dice Duff. “Spesso si guarda al futuro con pessimismo. Ma a quel punto non si è ancora consapevoli che la vita in quelle condizioni può essere molto diversa da come la si immagina”.
La commissione parlamentare sulla morte medicalmente assistita (Amad), creata dal parlamento nel 2021 per rivedere la legge e le proposte per estenderla, ha ricevuto 358 comunicazioni scritte da organizzazioni e singoli pazienti. Una donna anziana ha raccontato della condizione degenerativa dei suoi occhi, dicendo che è necessario che il Maid sia ampliato per includere persone che non soffrono né a livello fisico né psicologico. Vorrebbe fare domanda per il programma quando sarà totalmente cieca. La società, ha scritto, non è fatta per i non vedenti, e lei non ha nessuna voglia di studiare il braille né d’imparare a usare le tecnologie adattive. Per Duff, che è ipovedente, il modo in cui parliamo delle estensioni del programma non tiene conto della complessità dei problemi e degli anni che possono essere necessari per trattare problemi come le malattie mentali.
Parte integrante della società
Secondo Health Canada, nei cinque anni dopo l’approvazione della legge le persone morte con il suicidio assistito sono state 31.664. Nel 2021 sono state diecimila, venti volte di più che in California, negli Stati Uniti, dove il suicidio assistito è consentito e la popolazione è numericamente simile a quella canadese (lì viene concesso solo ai malati terminali). In Canada il percorso due è stato introdotto a marzo del 2021 e in meno di un anno ne hanno beneficiato 219 persone, che presumibilmente non stavano per morire. “Il Canada è diventato la prova di quanto possa diventare distorto il suicidio assistito”, afferma Heidi Janz, un’attivista per i diritti delle persone con disabilità e drammaturga. Professoressa associata all’università dell’Alberta, studia e insegna etica delle cure di fine vita e della disabilità. Insieme a Catherine Frazee, docente emerita di studi sulla disabilità dell’università di Toronto, nel 2022 ha avviato un progetto, chiamato Grim, per raccogliere le storie di persone con disabilità che hanno preso in considerazione la morte assistita. Frazee dice che ha parlato con molte di loro che si rivolgono al Maid per disperazione. Le dicono che non vogliono uccidersi, ma che il governo sembra spingerle a farlo.
A giugno del 2023 il parlamento ha approvato una legge che introduce un nuovo sussidio per gli adulti con disabilità in età lavorativa. Ma le pressioni per modificare la legge sul suicidio assistito stanno crescendo. “Penso che la disabilità non avrebbe mai dovuto essere inserita nella legge sul suicidio assistito”, dice André Schutten, responsabile per le politiche pubbliche e legali dell’Association for reformed political action (Arpa) Canada, un’organizzazione legale cristiana. Anche la formula “morte ragionevolmente prevedibile” è troppo vaga, dice Schutten. L’Arpa ha scritto alla commissione congiunta di camera e senato, chiedendo che la morte “ragionevolmente prevedibile” sia accompagnata da una prognosi che certifichi la possibilità di morte entro sei mesi. L’organizzazione chiede anche che sia eliminato il percorso due, in modo che possa chiedere il suicidio assistito solo chi va verso una morte naturale ragionevolmente prevedibile. Anche Inclusion Canada, un’organizzazione laica che rappresenta le persone con disabilità intellettive o dello sviluppo, ha chiesto al governo di eliminare il percorso due. L’Arch disability law centre, un’altra associazione laica, ha espresso preoccupazioni simili.
Gary Hertgers ha passato mesi a cercare di ricostruire gli ultimi giorni di vita di sua sorella Wilma, morta nel 2022 a 63 anni
In ogni caso gli attivisti ed esperti di vari orientamenti concordano nel riconoscere che il Maid è ormai parte integrante della società canadese e quindi difficilmente sarà cancellato. Anzi, si continua a parlare di ulteriori ampliamenti della legge. A febbraio del 2023 la commissione parlamentare si è espressa in modo favorevole sulla possibilità di chiedere in anticipo il Maid. Questo consentirebbe alle persone di stabilire in quali circostanze vogliono usufruirne nel caso in cui dovessero servirsene. La commissione ha anche suggerito che il programma sia reso disponibile in determinate circostanze a “minori maturi”, anche se ha avvertito che servono ulteriori consultazioni (oggi Belgio e Paesi Bassi sono gli unici stati ad avere una norma simile per i minori di diciotto anni). Le domande dovrebbero essere accettate se i richiedenti sono considerati in grado di decidere, anche se non si specifica cosa s’intende per essere “in grado”. La commissione raccomanda che i genitori o i tutori siano consultati nel processo di valutazione, ma alla fine dovrebbe prevalere “la volontà del minore che ha la capacità decisionale necessaria”, afferma il rapporto.
Pareri difficili
Secondo un sondaggio recente di Cardus, un gruppo di pressione cristiano che si oppone al Maid, tre canadesi su cinque sono soddisfatti della legge in vigore. Il sostegno dell’opinione pubblica non sorprende i medici che hanno sostenuto il programma dall’inizio. Konia Trouton, medica della Columbia Britannica, racconta che dopo la sentenza della corte suprema del 2015 molti pazienti hanno cominciato a telefonarle per chiedere informazioni sul suicidio assistito. “La legge non è stata approvata perché i medici sono andati in tribunale a dire che ne avevamo bisogno”, dice, “ma perché i pazienti sono andati in tribunale a dire: ‘Morire è un mio diritto’”. Trouton ha deciso di applicare il Maid a luglio del 2016. “L’autonomia e le scelte dei malati sono importanti”, dice. Da allora ha contribuito a fondare la Canadian association of Maid assessors and providers ed è entrata nel consiglio consultivo dei medici di Dying with dignity Canada, un gruppo di pressione a favore del Maid.
Trouton, che ora vive in Ontario, dice di essere consapevole del fatto che alcuni canadesi hanno avuto accesso al Maid anche quando la causa principale della loro sofferenza era un fattore socioeconomico non collegato allo stato di salute. Ma dice che tecnicamente questi casi sono ammissibili. “La sofferenza e la malattia inguaribile non sono la stessa cosa”, dice Trouton, osservando che la legge non afferma esplicitamente la necessità che la sofferenza sia causata da una malattia.
Esistono altre garanzie pensate per assicurare che le richieste siano esaminate in modo appropriato. Devono passare attraverso almeno due fasi di controllo. Due medici devono valutarle separatamente per stabilire se il richiedente soddisfa i criteri sanitari indicati dalla legge.
Le domande per il percorso due prevedono invece il parere di qualcuno che conosca le condizioni di salute del richiedente e che può anche essere uno dei due medici incaricati di valutare il caso. La commissione deve anche stabilire se un paziente ha preso in considerazione tutti i trattamenti, le terapie o sostegni che potrebbero alleviare la sua sofferenza. “Non deve dimostrare di averli provati”, dice Trouton, “ma di averli presi in considerazione”. Per alcuni pazienti si fanno valutazioni multiple. Per il caso più complesso su cui si è imbattuta fino a oggi, Trouton ha chiesto cinque pareri prima di dare il suo assenso. Vorrebbe che i medici fossero formati meglio sulle valutazioni, in modo che, indipendentemente dal campo in cui operano, si sentano a proprio agio nell’affrontare l’argomento con i pazienti.
Trouton parla con loro il giorno prima di eseguire il trattamento, per assicurarsi che non abbiano cambiato idea. Il giorno stesso li incontra di nuovo per accertarsi che sappiano cosa succederà, e gli chiede di dirle chi sono e perché sono lì.
È convinta che, anche se il governo non estenderà il Maid alle persone con malattie mentali o ai minori maturi, il numero di canadesi che muoiono in questo modo continuerà a crescere. “È aumentato negli ultimi sette anni in tutto il paese e non sembra che la traiettoria stia cambiando”.
Altri medici hanno posizioni diverse sulla possibile espansione del programma. Madeline Li, psichiatra del Princess Margaret cancer centre, che fa parte dell’University health network (Uhn) di Toronto, dice di essere “sempre più preoccupata” per come si fa ricorso al Maid in Canada. “Non sono mai stata a favore dell’estensione del programma ai casi di malattia non terminale”, dice. Sostiene che la legge non dà garanzie sufficienti, un aspetto diventato più evidente man mano che le maglie sono state allargate. Secondo Li serve soprattutto una maggiore precisione clinica. Termini come “ragionevolmente prevedibile” e “incurabile” devono essere definiti dal punto di vista medico, con tempi previsti per il primo e ulteriori spiegazioni per il secondo. Un paziente non può essere considerato un malato incurabile, per esempio, se ha rifiutato i trattamenti. E chi lo pratica ha bisogno di un’interpretazione più chiara di ciò che costituisce sofferenza nel contesto del Maid. “Serve un chiarimento sul fatto che la sofferenza dev’essere direttamente collegata alle condizioni di salute”, dice.
L’inclusione nel programma di persone con disturbi mentali ha messo in allarme molti psichiatri: dargli la scelta di morire potrebbe privarli della possibilità di trovare trattamenti per avere una vita migliore. Duff intravede una violazione del principio della prevenzione dei suicidi. “Uno degli strumenti che usiamo per evitarli è eliminarne i possibili mezzi”, dice. Se chi valuta rispetta semplicemente i requisiti minimi per l’estensione del Maid, “stiamo solo consegnando ai pazienti questi mezzi, senza chiederci perché vogliono uccidersi”.
La compagna di una vita
Mitchell Tremblay dice che farà richiesta appena sarà disponibile il Maid per le persone con malattie mentali. Vive a Guelph, nell’Ontario, ha una disabilità e su internet parla delle sue difficoltà economiche. Ha idee suicide da quando aveva undici anni, ha vissuto per strada, non parla con la sua famiglia. Dice di avere pochi amici e non vuole provare ad averne di più. Sta registrando accuratamente le sue diagnosi: disturbi d’ansia sociale, ansia generalizzata e disturbo da stress post-traumatico, tra gli altri. Non vuole che la sua richiesta sia respinta, quindi vuole dimostrare che è stato malato per tutta la vita, che non sta attraversando una depressione temporanea. Al contrario, teme che altri facciano ricorso al suicidio assistito anche se non hanno una malattia mentale grave, diagnosticata e cronica. Persone che sono cadute in depressione dopo una separazione o aver perso il lavoro o la casa, e la cui salute mentale potrebbe migliorare con il giusto trattamento. “Potrebbe diventare una piaga nazionale”, dice Tremblay a proposito dell’estensione del Maid, perché tanti canadesi non hanno un sostegno adeguato. “Bisogna esplorare tutte le possibilità prima di stabilire che il suicidio assistito è l’unica alternativa”.
Anche John Maher, psichiatra di Barrie, in Ontario, ha seri dubbi sul Maid per le persone con malattie mentali. Non capisce come i medici potranno stabilire chi deve ricevere cure psichiatriche e chi può essere ammesso al Maid.
A volte le persone in difficoltà decidono di fare ricorso al Maid di nascosto da chi potrebbe aiutarle. Gary Hertgers ha passato mesi a cercare di ricostruire gli ultimi giorni di vita di sua sorella Wilma, morta a gennaio 2022 a 63 anni. Hertgers ha cominciato a capire che qualcosa non andava quando ha ricevuto uno strano messaggio vocale da un medico che non conosceva. In seguito ha scoperto che si trattava della persona che avrebbe accompagnato Wilma verso la morte. Aveva richiamato il medico e gli aveva lasciato un messaggio. Poco dopo l’amministratore del condominio di Wilma aveva chiamato Hertgers per informarlo che il medico legale era appena uscito. È così che ha saputo che la sorella era morta.
La vita di Wilma era cambiata nel 2008, quando la sua gemella e compagna di una vita, Jenny, era morta di cancro. Wilma aveva smesso di lavorare a tempo pieno e diceva spesso di provare dolore. Hertgers ricorda che la sorella andava spesso dagli specialisti: oncologi, cardiologi, reumatologi. Voleva aiutarla, ma a volte era difficile relazionarsi con lei. Hertgers fa molta fatica a riprendersi dalla morte della sorella. Ha scritto alla commissione governativa che si occupa del Maid chiedendo di rendere più difficile l’accesso al programma.
Un nuovo corpo
Alcune questioni sollevate dalla legge sul suicidio assistito non possono essere affrontate aumentando il sostegno a chi ha una malattia mentale, riducendo la povertà, ridimensionando il Maid o cancellandolo del tutto. Secondo Thomas De Koninck, professore emerito della facoltà di filosofia dell’università Laval di Québec, il Maid costringe le persone a pensare alla morte e a ciò che verrà dopo. Le costringe anche a considerare il significato della sofferenza nella vita e a chiedersi se sofferenza e speranza possono coesistere. Sono domande a cui le leggi non possono rispondere. “Ciò che le persone desiderano di più è essere amate”, specialmente quando stanno morendo o soffrendo, dice De Koninck. “E tante sono lasciate sole negli ospedali o nella loro grande casa, dove nessuno va a trovarle. Quindi sono solo depressi. Hanno bisogno di amicizia. Hanno bisogno di attenzione. Hanno bisogno di cure palliative”. Secondo De Koninc dovremmo interrogarci su ciò che sta spingendo le persone a decidere che la morte è meglio della vita. L’ampio consenso per la legge nella società canadese, dice, è la prova che molte hanno perso la speranza e che sono sole.
Tarra Carlson è determinata a godersi la vita con il marito. Trascorre gran parte del tempo libero a leggere gli ultimi studi sulla disabilità e la psicologia. Ha cominciato a credere in una sorta di reincarnazione. Le piace l’idea che l’anima trovi un nuovo corpo dopo la morte, che ogni vita sia un’opportunità per imparare come essere una persona migliore. Pensare che la vita continui. Non ha fretta di morire. “Voglio vivere una vita lunga e piena”, dice.
Quando morirà, vuole che le sue ceneri siano sparse nella baia di San Josef, sulla punta settentrionale dell’isola di Vancouver. Fino ad allora, invece di pensare alle sue difficoltà in un mondo che non capisce o non accetta la sua disabilità, preferisce raccontare barzellette, ridere e occuparsi del suo lavoro, della sua casa e soprattutto di suo marito. Per lei “non tutto è una tragedia”, dice. Poi aggiunge: “Ma quello che sta succedendo alle persone con disabilità è una tragedia”. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1529 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati