Un nuovo naufragio di un’imbarcazione con 47 migranti a bordo, diretta in Italia dalla Libia, ha causato molte vittime. È affondata il 12 marzo in acque internazionali a nordovest di Bengasi. Sono state salvate diciassette persone, trenta i dispersi.
Il centro di coordinamento italiano, quello libico e quello maltese erano a conoscenza dell’emergenza ma non sono intervenuti. Poco dopo le due di notte dell’11 marzo sono stati avvertiti dalla rete di attivisti Alarm phone che aveva ricevuto una richiesta di soccorso dai migranti. Alarm phone ha dato le coordinate esatte e segnalato al centro di coordinamento di Roma la presenza di una nave da carico nelle vicinanze. Il centro di coordinamento italiano si è limitato a informare la guardia costiera libica, che non si è mossa. La ong Sea watch ha diffuso le immagini fornite da un aereo di ricognizione, arrivate poi anche ai mezzi d’informazione. Mostrano in tutta la loro drammaticità l’imbarcazione nel mare mosso. Solo a quel punto l’Italia si è attivata, senza inviare la guardia costiera, ma dando indicazioni ad alcune navi commerciali affinché andassero sul posto. Sono arrivate quattro navi e sono rimaste a osservare la situazione per ore. Quando la nave Froland si è avvicinata per i soccorsi, l’imbarcazione con i migranti si è ribaltata.
Sono arrivate quattro navi e sono rimaste a osservare la situazione per ore
Alarm phone accusa l’Italia di aver causato la morte di trenta persone con il suo immobilismo. “Le autorità italiane” avrebbero “volutamente ritardato le operazioni di soccorso” con le condizioni meteo che peggioravano di ora in ora. Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, ha definito la vicenda una “vergogna per l’Italia”. Il ministro degli esteri Antonio Tajani ha chiesto di non strumentalizzare le morti, sostenendo, contro l’evidenza dei fatti, che la guardia costiera italiana non lascia mai i naufraghi senza soccorso.
Porti lontani
Il 12 marzo cinquemila persone hanno manifestato a Steccato di Cutro, in Calabria, contro la politica sui migranti del governo di destra guidato da Giorgia Meloni. La cittadina calabrese è il luogo del naufragio in cui il 26 febbraio sono morte almeno 86 persone (bilancio aggiornato al 15 marzo). Il governo ha inasprito le pene per gli scafisti, ma finora si è fatto notare soprattutto per aver messo sistematicamente fuori gioco le navi delle ong impegnate nei soccorsi in mare. Dopo i salvataggi, spesso il governo ha assegnato a queste imbarcazioni dei porti lontani in cui far sbarcare i naufraghi.
Dietro queste scelte c’è l’idea che l’intervento delle ong incentivi i migranti ad affrontare il pericoloso viaggio via mare. Ma anche se ora l’attività delle ong è limitata, quest’anno i numeri degli arrivi sono sensibilmente aumentati: dal 1 gennaio al 10 marzo sono arrivate in Italia via mare circa diciottomila persone, contro le seimila dello stesso periodo dello scorso anno. Solo il 10 e l’11 marzo quasi tremila persone sono approdate a Lampedusa, soprattutto dalla Tunisia. Le ong non hanno avuto alcun ruolo in queste traversate, ma avrebbero potuto averne uno fondamentale nell’evitare la tragedia del 12 marzo, avvenuta esattamente dove si svolgevano le attività di salvataggio prima che le pressioni del governo italiano allontanassero le loro navi da quella zona.◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati