Il 15 settembre il presidente angolano João Lourenço ha giurato per un secondo mandato in una storica piazza della capitale Luanda. A prima vista la vittoria alle elezioni del 22 agosto del Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (Mpla) può sembrare l’ennesima affermazione del partito al potere dal 1975. Ma uno sguardo più approfondito rivela una formazione in crisi, che ha ottenuto il peggior risultato dai tempi dell’introduzione del multipartitismo nel 1992.
A queste elezioni l’Mpla ha ottenuto poco più del 51 per cento delle preferenze, assicurando a Lourenço un secondo mandato quinquennale. Il principale avversario, l’Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola (Unita), ha ottenuto il 44 per cento dei voti. L’Mpla è stato superato dall’Unita in una delle sue roccaforti, la capitale Luanda, e ha perso la maggioranza dei due terzi in parlamento. Per la prima volta dovrà fare i conti con l’opposizione.
“L’Mpla non potrà più legiferare senza contestazioni. Questo indebolirà il suo controllo sulle istituzioni”, spiega Marisa Lourenço, un’analista politica che vive a Johannesburg. Questo cambiamento riflette una più vasta trasformazione socioeconomica, in un paese dove i giovani fanno sentire di più la loro voce.
Grandi disuguaglianze
Dopo l’indipendenza, l’Mpla e l’Unita, nati come movimenti in lotta per la liberazione del paese, si fecero la guerra. Il conflitto durò 27 anni, e solo nel 2002 si arrivò a una tregua. L’assetto politico del paese fu profondamente condizionato dalla guerra. José Eduardo dos Santos, presidente dell’Angola e dell’Mpla dal 1979 al 2017, ha governato con il pugno di ferro, portando il paese da un sistema socialista a uno capitalista clientelare, mentre l’élite legata al partito si assicurava il controllo assoluto sulle risorse naturali, le istituzioni finanziarie e i mezzi d’informazione. Sulla costa vicino a Luanda sorgevano grattacieli, simbolo del boom delle esportazioni di petrolio e diamanti, ma intorno alla città crescevano le baraccopoli, in una delle società più disuguali al mondo. Oggi la maggioranza degli abitanti è povera, anche se il paese è il primo produttore di petrolio in Africa. Nel 2017, dopo che Dos Santos ha accettato di fare un passo indietro, Lourenço ha promesso di voltare pagina lanciando un’ambiziosa campagna di lotta alla corruzione. Ma, agli occhi dei cittadini, non ha mantenuto la promessa.
Da allora Lourenço ha gestito a fatica la crisi innescata dal crollo del prezzo del petrolio. L’economia è stata colpita duramente e le condizioni di vita delle persone, soprattutto dei più giovani, sono peggiorate. Più del 60 per cento degli angolani ha meno di 24 anni. Negli ultimi anni questa parte della popolazione ha denunciato il fatto che il boom postbellico ha portato benefici solo a pochi.
Il tasso ufficiale di disoccupazione è intorno al 30 per cento, ma se si contano solo i giovani la percentuale raddoppia: secondo l’istituto nazionale di statistica, più della metà degli angolani con meno di 25 anni è disoccupata. Nel suo discorso del 15 settembre Lourenço ha teso loro una mano. Ma, secondo l’analista politico Claudio Silva, i giovani non si sono lasciati impressionare: “Hanno visto miliardi di dollari andare in fumo in una serie di scandali di corruzione mentre i politici accumulavano ricchezze favolose”.
Molti dei nati dopo la fine della guerra civile sono andati a votare quest’anno per la prima volta, mostrandosi meno sensibili alla retorica patriottica dell’Mpla. “Non ne possiamo più”, dice Cristóvão Semedo, che vive a Luanda. “Non lavoriamo. Non abbiamo niente. Neanche da mangiare. È straziante”.
Così i giovani si sono indirizzati verso l’Unita, che ha fatto leva sulla loro frustrazione per la corruzione, l’inflazione, l’aumento del debito e la disoccupazione. Per Âurea Mouzinho della Global alliance for tax justice, in campagna elettorale si avvertiva la sensazione che questa fascia d’età avrebbe votato per il cambiamento, “e questo significava votare l’Unita”.
“I giovani sono diventati una forza con cui dover fare i conti”, conclude Mouzinho. “E potranno determinare i risultati delle elezioni future”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1479 di Internazionale, a pagina 23. Compra questo numero | Abbonati