Per quanto siano spaventosi, i mostri ci hanno sempre affascinato. Chimere, idre, bunyip e golem sono tutte creature nate dalla nostra immaginazione nel corso della storia e in diverse culture. Oggi le ritroviamo sugli schermi cinematografici. Considerando quanto possono essere terrificanti, sembra paradossale che continuiamo a crearle. In realtà svolgono un ruolo molto importante, poiché sono profondamente radicate nella storia evolutiva umana e nella nostra psicologia.

I mostri sono i discendenti fantastici della nostra coevoluzione con i predatori animali: sono stampati nei nostri circuiti neuronali. I serpenti, per esempio, sono stati tra i primi predatori dei nostri antenati. Quella minaccia squamosa ha spinto i primati degli albori a sviluppare nella corteccia visiva dei neuroni specializzati nel rilevarne la presenza, oltre a cervelli di grandi dimensioni dominati dalla vista. Si potrebbe dire che i serpenti sono i mostri che hanno contribuito a farci diventare quello che siamo oggi. Basta un piccolo lembo di pelle squamosa per suggerire la presenza di un rettile a una scimmia o a un umano. Reagiscono anche i bambini che non ne hanno mai visto uno.

Questa attitudine innata, insieme alla capacità di rappresentazione simbolica, ha prodotto i mostri rettiliani che abbondano in quasi tutte le tradizioni: draghi, idre e quant’altro. È per questo che proviamo un brivido osservando i serpenti in Snakes on a plane o il basilisco in Harry Potter e la camera dei segreti.

Allo stesso modo, la mente degli ominidi più recenti è stata plasmata dalla necessità di avvistare orsi, felini e altri mammiferi predatori nella tundra europea durante l’ultima era glaciale. In quanto scimmie nude e vulnerabili in un contesto dominato dalla megafauna, ci siamo evoluti sviluppando la capacità di vedere i predatori in lontananza, nell’oscurità in mezzo ai tronchi degli alberi o nella penombra della boscaglia. Con le loro zanne e artigli, questi mammiferi hanno infestato la nostra immaginazione, apparendo nelle pitture rupestri nel corso dei millenni. E poi sono diventati i mostri della mitologia.

Cattivi presentimenti

L’essere spaventati dai mostri porta dei vantaggi psicologici. Quando da bambini ascoltiamo storie o guardiamo film popolati da esseri terrificanti, abbiamo paura. I cattivi presentimenti, lo spavento improvviso e l’esplosione di una grossa crisi sono tutti meccanismi che attivano l’amigdala, la parte del cervello che provoca la sensazione di paura e innesca una risposta di attacco o fuga, immettendo l’adrenalina nel sangue.

In un contesto sicuro, la fine della storia è seguita da un calo dell’adrenalina e da un rilassamento alimentato dalle endorfine. Questi picchi controllati di paura possono aiutarci a gestire lo stress cronico e ad aumentare la nostra tolleranza al dolore. È per questo che alcune persone ansiose amano guardare i film thriller o horror prima di dormire. Altri si dedicano al paracadutismo o al bungee jumping.

I mostri creati oggi per i film, i videogiochi e i libri rappresentano le grandi paure della nostra epoca: Godzilla e la sua minaccia nei confronti della civiltà; i funghi che trasformano gli esseri umani in zombie; gli esperimenti genetici catastrofici o gli alieni che crescono nelle nostre viscere. Questi esseri ci regalano intense esperienze di catarsi culturale.

Un esempio: durante i primi giorni della pandemia di covid-19 i fan dei film horror hanno riferito livelli di stress e paura più bassi, forse perché avevano già affrontato mostri invisibili guardando film come 28 giorni dopo o World war Z. Non è un caso se la serie The last of us ha avuto tanto successo al culmine della pandemia.

I mostri ci permettono di allontanare ansie insormontabili, manifestandole attraverso la creazione di esseri brutali e sovrannaturali, o di zombie nati da agenti patogeni. Questo fa sembrare più sicura la normalità e ci aiuta a esorcizzare le paure più profonde. Comprendendo i nostri mostri e perché li creiamo, possiamo imparare molto su quello che succede sotto la superficie della nostra mente e della nostra cultura. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati