“ La guerra in Ucraina ha fatto emergere con chiarezza la forte dipendenza dell’agricoltura brasiliana dall’importazione di fertilizzanti dalla Russia”, scrive la Folha de S.Paulo. Il Brasile consuma l’8,3 per cento della produzione mondiale di fertilizzanti. In testa ci sono la Cina (24 per cento), l’India (14,6 per cento) e gli Stati Uniti (10,3 per cento). Ma rispetto a questi paesi, “il Brasile ha una produzione interna irrilevante”. Già nel 2021 il prezzo dei fertilizzanti era in crescita a causa dell’aumento di quello del gas, fondamentale per la loro produzione. Il Brasile ha riserve per tre mesi e sta cercando alternative alla Russia in Canada, Iran, Marocco e Cile.
Mancano i fertilizzanti
Il pil ridotto di un terzo
Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), se la guerra continua, nel 2022 il pil dell’Ucraina potrebbe contrarsi del 35 per cento. L’istituto stima che l’economia del paese abbia già perso il 10 per cento a causa dell’invasione russa, che sta distruggendo le principali città e infrastrutture ucraine e ha messo in fuga numerose persone.
Le perdite della BlackRock
La BlackRock, il più grande fondo di gestione patrimoniale del mondo, ha perso circa 17 miliardi di dollari a causa della guerra in Ucraina. L’azienda, scrive il Financial Times, ha fatto sapere che alla fine di gennaio gestiva circa 18,2 miliardi di dollari in attività russe, che hanno perso valore in seguito alle sanzioni occidentali perché sono diventate in gran parte “invendibili”. Il caso della BlackRock, osserva il quotidiano, dimostra il danno che l’aggressione russa ha provocato al sistema finanziario globale. Altri grandi fondi hanno subìto pesanti perdite. Per esempio la Pimco, che detiene titoli di stato russi per 1,5 miliardi di dollari e garanzie su un’eventuale insolvenza del Cremlino per 1,1 miliardi.
Prezzi alle stelle
“I governi di tutto il mondo hanno difficoltà a gestire l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli causato dall’aggressione russa all’Ucraina, colpendo in particolare prodotti come il grano, l’orzo e l’olio di semi di girasole”, scrive il Washington Post. Questi aumenti “metteranno a rischio soprattutto la sicurezza dei paesi più poveri, dove beni come la farina e l’olio per cucinare sono già difficili da trovare”. Tra i paesi minacciati ci sono quelli del Nordafrica, che dipendono fortemente dalle importazioni dall’Ucraina. La Tunisia, spiega Mediapart, ha dichiarato che le sue scorte di grano sono sufficienti almeno fino a giugno, ma deve cominciare a trovare mercati alternativi. E intanto si sente già la penuria di semola, farina e olio vegetale, beni di prima necessità sovvenzionati dallo stato. Il Libano non può più contare sulle sue riserve di grano strategiche, dopo l’esplosione che il 4 agosto 2020 a Beirut distrusse i silos installati vicino al porto. ◆
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