Un grave sconvolgimento geopolitico che provoca un violento shock energetico; il prezzo del carburante che sale e l’inflazione che s’impadronisce completamente dell’economia; la crescita che rallenta all’improvviso. Siamo negli anni settanta, ma i paralleli con il presente sono evidenti. All’epoca i problemi partirono dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), che nel 1973 decise un embargo verso gli stati schierati con Israele nella guerra del Kippur, facendo impennare i prezzi del greggio. Due anni dopo la Francia era in recessione, con un pil in calo dell’1 per cento e l’inflazione vicina al 12 per cento. Nel 1976 superò la soglia del milione di disoccupati. La Germania Ovest registrò lo stesso numero di disoccupati l’anno successivo. “In Francia non abbiamo petrolio, ma abbiamo idee”, recitava uno slogan dell’epoca. Bisognava risparmiare energia per salvare il paese: il presidente Valéry Giscard d’Estaing introdusse l’ora legale, le trasmissioni televisive si fermavano alle undici di sera, i negozi non potevano illuminare le vetrine di notte. Nel Regno Unito il fenomeno ebbe effetti ancora più brutali: nel 1974 l’inflazione arrivò al 23 per cento, il pil diminuì dell’1,5 per cento e il governo calmierò il prezzo del pane. La Bbc intervistò un uomo che aveva modificato il motore della sua automobile per farlo funzionare con il carbone. Nessuno lo sapeva ancora, ma i “trent’anni gloriosi” del dopoguerra erano finiti. E intanto circolava un termine inventato nel 1965 dal deputato conservatore britannico Iain Macleod: stagflazione, un misto di stagnazione economica e inflazione.
Cinquant’anni dopo la storia si sta ripetendo? La guerra in Ucraina ha provocato un grave shock energetico. Il 7 marzo il prezzo di un barile di greggio Brent ha toccato i 140 dollari. Il 4 marzo si era avvicinato ai 120 dollari, il livello più alto degli ultimi quattordici anni, con un aumento del 25 per cento rispetto al 24 febbraio, quando era cominciata l’aggressione russa all’Ucraina. Negli stessi giorni il prezzo del gas in Europa è raddoppiato. Il 5 marzo il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha diffuso un comunicato allarmante: “La guerra in Ucraina procede velocemente e le sanzioni avranno conseguenze molto gravi sull’economia mondiale”. Oltre al prezzo dell’energia, l’Fmi teme anche i rincari dei prodotti alimentari.
Gli economisti della banca statunitense J.P. Morgan hanno tirato fuori le calcolatrici. Secondo loro, l’aumento del costo delle materie prime dovrebbe provocare un punto d’inflazione in più e un punto di crescita in meno in tutto il mondo. La società di consulenza Capital Economics sostiene che nell’eurozona, la regione più esposta a causa della vicinanza geografica all’Ucraina e della dipendenza dal gas russo, quest’anno la crescita dovrebbe rallentare, passando dal 3,5 al 2,8 per cento. A febbraio l’inflazione dell’area era del 5,8 per cento. Nei prossimi mesi dovrebbe arrivare al 7 per cento. Con una crescita intorno al 2 per cento e un’inflazione tra il 7 e l’8 per cento, non siamo lontani dalla stagflazione. Secondo Eric Dor, direttore della ricerca all’istituto di formazione superiore per il commercio Iéseg, “l’aumento improvviso dei prezzi delle materie prime equivale a un impoverimento netto dei paesi importatori. Una situazione che potrebbe portare alla recessione. Quindi a un principio di stagflazione”.
L’inflazione sta provocando una forte riduzione del potere d’acquisto. Secondo il gruppo assicurativo Allianz, in Europa le bollette dell’elettricità e del gas aumenteranno in media del 30 per cento. In Germania, il paese con i prezzi più alti, la bolletta annuale raggiungerà in media i 3.400 euro, nel Regno Unito arriverà a tremila euro e in Francia a 2.800 euro. Oltremanica hanno stabilito anche la data precisa dello shock: il 1 aprile. Quel giorno la tariffa massima che può essere pagata per le bollette energetiche (rivista due volte all’anno dall’autorità di vigilanza) aumenterà del 54 per cento, che vuol dire in media 840 euro all’anno per ogni famiglia. Secondo l’Allianz, per i più poveri questo si tradurrà in una perdita del 3 per cento in termini di potere d’acquisto, un colpo molto duro. E probabilmente siamo solo all’inizio: la decisione delle autorità britanniche è stata presa il 3 febbraio, quando non c’era ancora la guerra. Dopo gli eventi delle ultime settimane sembra ormai inevitabile un ulteriore aumento di quel massimale. L’economista Véronique Riches-Flores ritiene la recessione una possibilità reale. “La crisi si è spinta troppo oltre per escludere una recessione mondiale in primavera. Tutto dipende da come proseguirà il conflitto”.
La grande differenza
Torniamo al passato. Nel 1980, l’anno dopo il secondo shock petrolifero, quello provocato dalla rivoluzione iraniana, in Francia il prezzo dell’energia elettrica aumentò del 22 per cento. Nelle famiglie più povere quegli anni restano impressi nella memoria. Carole, figlia di un calzolaio e di una sarta, ricorda le teste di pesce e i rimasugli di prosciutto comprati al mercato, la lana riutilizzata e gli abiti cuciti con gli scampoli di stoffa. E ricorda cosa esclamava sua madre mentre vedeva sparire i soldi: “Bisognerebbe fabbricarne altri”, diceva.
Tra quegli anni e l’epoca attuale, però, c’è una differenza fondamentale. Quarant’anni fa i sindacati avevano la forza sufficiente per ottenere un aumento dei salari e compensare l’inflazione. Secondo uno studio dell’Osservatorio francese delle congiunture economiche, negli anni settanta i salari reali in Francia aumentarono del 4 per cento all’anno, mentre il potere d’acquisto diminuì solo nel 1979, del 2 per cento. Nel Regno Unito la situazione era simile, nonostante una diminuzione del potere d’acquisto cominciata prima (nel 1976) e in modo più forte (7 per cento nel 1978). Sono negli anni ottanta, con la liberalizzazione del mercato del lavoro, si vide l’austerità salariale.
Oggi i salari non sembrano aumentare come negli anni settanta. In Germania nel 2021 è stato registrato un aumento medio dell’1,3 per cento, in Italia dello 0,6 per cento. In Francia ci sono stati aumenti solo in alcuni settori: i servizi alla persona, la ristorazione, le vendite. L’aumento medio del 2021 nel paese è stato del 2,7 per cento. Ecco la grande differenza con la stagflazione degli shock petroliferi: per il momento in Europa non si vede nessuna spirale prezzi-salari (cioè quando l’aumento dei salari e quello dei prezzi si alimentano a vicenda). ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati