“Cosa diavolo è successo?”, chiede il mensile neozelandese parlando delle relazioni tra Nuova Zelanda e Australia. “Non molto tempo fa i due paesi facevano squadra insieme, ma nell’ultimo decennio i rapporti si sono gradualmente rovinati fino ad arrivare alla saga dei 501”. Il numero indica la sezione della legge australiana sull’immigrazione che permette di togliere i visti agli immigrati e di rimpatriarli, tanto che ormai è usato come sinonimo di “deportazione”. I più colpiti sono i tanti neozelandesi che hanno scelto di vivere e lavorare in Australia: attualmente sono circa 670mila, mentre gli australiani in Nuova Zelanda sono 70mila. L’articolo fa notare che gli immigrati neozelandesi, anche se sono residenti da molto tempo, pagano le tasse e contribuiscono allo sviluppo della società australiana, fanno molta fatica a ottenere la cittadinanza, quindi non possono votare e non hanno accesso ai servizi sociali. “Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha buoni rapporti con Wellington. Sarà finalmente in grado d’invertire questa tendenza?”. ◆
Amici da ritrovare
Lo yacht russo viola le sanzioni
Il 5 ottobre lo yacht da mezzo miliardo di dollari di Aleksej Mordašov, imprenditore russo del settore dell’acciaio, si è ancorato nelle acque territoriali di Hong Kong, aprendo un dibattito sulla possibilità di applicare alla città le sanzioni imposte da Stati Uniti, Unione europea e Regno Unito dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Oltre a essere uno degli uomini più ricchi del suo paese, infatti, Mordašov è considerato un alleato di Vladimir Putin. Secondo il South China Morning Post, Hong Kong potrebbe trasformarsi in un “paradiso sicuro” per gli oligarchi.
Paradiso digitale
Alla Conferenza sullo stato del Pacifico che si è tenuta alla fine di settembre a Canberra, in Australia, “l’inviata di Tuvalu ha proposto di creare una gemella digitale dell’isola per conservarne la cultura e i valori, sottraendoli alla minaccia del cambiamento climatico”, scrive il Guardian. Entro la fine del secolo l’arcipelago polinesiano sarà sommerso a causa dell’innalzamento dei mari. Per questo i suoi dodicimila abitanti vedono nel metaverso l’ultimo appiglio per salvare la memoria del loro paese.
Pechino vince sugli uiguri
Il 6 ottobre il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha votato contro la richiesta, presentata dagli Stati Uniti, di discutere sulla situazione dei diritti umani nello Xinjiang. Diciannove paesi su 47 si sono detti contrari, diciassette favorevoli e undici si sono astenuti. Dei tredici paesi africani presenti, solo la Somalia ha votato a favore; l’Ucraina si è astenuta. Questo risultato, si legge su Hong Kong free press, è stato ottenuto dopo “un’intensa attività di pressione da parte di Pechino e segna una pesante battuta d’arresto per l’occidente”. La portavoce del ministero degli esteri cinese Hua Chunying l’ha definita “una vittoria per i paesi in via di sviluppo”, descrivendo la richiesta dei paesi occidentali come un tentativo di “manipolazione politica” per “macchiare l’immagine della Cina”. Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty international, ha dichiarato che il voto pone il consiglio “nella ridicola posizione d’ignorare i risultati del suo stesso lavoro sui diritti umani”. Il riferimento è al recente, e lungamente atteso, rapporto dell’Onu che accusa la Cina di “gravi violazioni dei diritti umani” nello Xinjiang e afferma che la detenzione “arbitraria e discriminatoria” delle minoranze musulmane potrebbe rappresentare un crimine contro l’umanità.
Strage di bambini
Il 6 ottobre un uomo armato di pistola e coltello ha fatto irruzione in un asilo a Uthai Sawan, un villaggio rurale nel nordest del paese, e ha ucciso 34 persone, di cui 23 bambini, scrive il Bangkok Post. Dopo aver commesso la strage l’uomo è tornato a casa, dove ha assassinato la moglie e il figliastro prima di togliersi la vita. I motivi del gesto sono ignoti ma molti giornali hanno ricostruito la storia dell’omicida e la dinamica della strage. Secondo Reuters l’uomo, un ex poliziotto di 34 anni, era stato licenziato per problemi di droga. Stava affrontando un processo, e la mattina del 6 ottobre era appena uscito da un’udienza. Poi ha raggiunto l’asilo per prendere il figlio. Secondo i testimoni, non l’ha trovato e ha perso il controllo.
Taiwan Come ogni anno, il 10 ottobre l’isola ha celebrato la sua giornata nazionale. La data ricorda l’inizio della rivoluzione che portò al collasso dell’impero cinese nel 1911 e che i nazionalisti cinesi rifugiatisi nell’isola dal 1949, dopo l’arrivo dei comunisti al potere, considerano una loro vittoria. “Nonostante la grande attenzione sulla difesa nazionale dovuta all’aggravarsi delle tensioni con la Cina”, si legge sul magazine online New Bloom, “il discorso di quest’anno della presidente Tsai Ing-wen ha riservato ben poche sorprese”.
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