Con una dichiarazione trasmessa in contemporanea sulle tv pubbliche nazionali, le giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger hanno annunciato l’uscita dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cédéao, in inglese Ecowas), che riunisce quindici paesi, da Capo Verde alla Nigeria. La decisione deriva dallo scontro tra le giunte golpiste e l’organizzazione regionale, che ha spesso usato la minaccia delle sanzioni dopo i recenti colpi di stato e ha più volte invitato le nuove autorità ad accelerare il ritorno all’ordine costituzionale. Nel settembre 2023 i tre paesi hanno formato una loro organizzazione, l’Alleanza degli stati del Sahel. Sui mezzi d’informazione della regione l’annuncio ha suscitato reazioni contrastanti, perché l’uscita – oltre al significato simbolico e politico – avrà conseguenze sulla vita delle persone creando “una crisi politica ed economica senza precedenti”, scrive Jeune Afrique. La Cédéao, nata nel 1975, è considerata un modello d’integrazione economica. Tra gli stati che ne fanno parte c’è la libera circolazione di persone e merci, mentre gli scambi commerciali e di servizi ammontano nel complesso a quasi 150 miliardi di dollari all’anno. Nel corso degli ultimi decenni sono stati fatti progressi nell’armonizzazione delle politiche nazionali, delle regole e delle strategie di sviluppo; sono state realizzate importanti infrastrutture ed è stato creato un mercato unico dell’energia. È in cantiere anche una moneta unica per sostituire il franco cfa. L’uscita dei tre paesi dalla Cédéao non sarà immediata: dalla notifica formale dell’uscita, dovrà passare un anno. “Sarà un lungo periodo di negoziati, che alcuni paragonano a quelli tra il Regno Unito e l’Unione europea ai tempi della Brexit”. ◆
Mandela non è in vendita
Dopo una serie di forti proteste è stata bloccata la vendita all’asta di un centinaio di oggetti personali dell’ex presidente sudafricano Nelson Mandela, tra cui il suo documento d’identità ai tempi dell’apartheid e le sue lettere dal carcere. Il Daily Maverick spiega che gli oggetti erano stati messi in vendita da una delle figlie di Mandela e da una delle sue vecchie guardie carcerarie. A chiedere di fermare l’asta sono stati altri familiari del leader della lotta contro l’apartheid e la fondazione a lui intitolata, sostenendo che quegli oggetti fanno parte del patrimonio culturale sudafricano.
Torna la fame al nord
Nella regione del Tigrai, nel nord dell’Etiopia, si sentono ancora gli effetti di due anni di guerra, scrive il sito Addis Standard. “Alcuni preoccupanti resoconti da quell’area indicano l’aumento delle persone che muoiono di fame: secondo i funzionari tigrini, sono state quasi quattrocento in un solo mese, tra cui 25 bambini”. Anche nella regione vicina, l’Amhara, la siccità e gli scontri armati tra le forze governative e la milizia locale Fano stanno causando enormi sofferenze ai civili.
Missione bloccata
L’alta corte del Kenya ha bloccato il 26 gennaio i piani del presidente William Ruto ( nella foto ) che prevedono l’invio di mille poliziotti ad Haiti alla guida di una missione approvata dalle Nazioni Unite per contrastare la violenza delle bande criminali nel paese caraibico. Secondo il quotidiano keniano The Nation, la decisione del tribunale “è un nuovo duro colpo per Ruto”, che ha sostenuto la missione e che ultimamente ha visto andare in fumo molti dei suoi progetti più importanti. L’alta corte ha giudicato incostituzionale l’invio di poliziotti, perché solo i militari possono essere mandati all’estero. Il governo ha annunciato un ricorso. Nel 2023 ad Haiti le bande criminali sono state responsabili dell’uccisione di almeno quattromila persone e del sequestro di altre tremila.
Sudan Il 30 gennaio il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha detto al Consiglio di sicurezza dell’Onu di avere sospetti fondati che in Darfur l’esercito sudanese e i paramilitari delle Forze di supporto rapido stiano commettendo crimini di guerra e contro l’umanità. Ha chiesto una risoluzione per far entrare nel paese gli ispettori internazionali.
Zimbabwe Il politico dell’opposizione Job Sikhala è uscito dal carcere il 30 gennaio, dopo essere rimasto rinchiuso per 600 giorni in attesa di processo.
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