Uno studio internazionale ha individuato un gene chiave per la diagnosi di una malattia che causa un grave ritardo nello sviluppo e disabilità. Analizzando varianti rare in centomila geni non codificanti nel dna di novemila persone con malattie neurologiche, sono state isolate delle mutazioni in una piccola regione del gene rnu4-2. Questo gene ha una funzione importante nel processo di maturazione dell’rna, da cui dipende la corretta espressione dei geni. Si stima che le varianti di rnu4-2 siano responsabili di quasi lo 0,5 per cento di tutti i disturbi neuroevolutivi: su scala globale questo equivale a centinaia di migliaia di persone. In Europa e negli Stati Uniti sono già stati diagnosticati centinaia di casi. È singolare che una variante genetica così comune sia stata scoperta solo ora, scrivono i ricercatori su Nature, sottolineando che molte malattie rare non sono diagnosticate perché i test si concentrano sui geni codificanti.
Diagnosi mancate
Vittime collaterali
I nuovi rodenticidi sono efficaci nel controllo delle popolazioni di topi e di ratti, ma possono diventare un grave problema ambientale. Si tratta di sostanze anticoagulanti che provocano la morte dei roditori dopo alcuni giorni. Questo permette di separare il momento dell’ingerimento dell’esca da quello della morte, riducendo la diffidenza dei roditori verso i nuovi cibi. Gli anticoagulanti possono quindi rimanere a lungo nei tessuti degli animali morti. “Secondo alcuni test, i veleni di seconda generazione possono rimanere nel fegato dei ratti per quasi un anno”, scrive Science. Gli animali predatori o spazzini che si nutrono dei roditori avvelenati possono accumulare le sostanze nei loro tessuti. In Italia, per esempio, su 186 lupi morti esaminati tra il 2018 e il 2022, il 62 per cento mostrava tracce di almeno un rodenticida. A New York su 65 uccelli rapaci morti trovati tra il 2018 e il 2023 il 77 per cento conteneva residui di queste sostanze. La presenza del veleno non implica necessariamente che questo abbia causato la morte dell’animale, anche se potrebbe averlo reso più vulnerabile. Sono quindi allo studio metodi più ecologici per il controllo dei roditori. ◆
Il killer dei pipistrelli
È stato studiato il fungo Pseudogymnoascus destructans, che negli ultimi vent’anni ha decimato i pipistrelli dell’America settentrionale. Il patogeno colpisce i pipistrelli della specie Myotis lucifugus nella fase di letargo e poi di risveglio, provocando un’infezione fungina della pelle. Secondo Science lo studio può essere utile a capire il meccanismo di azione di alcuni funghi infettivi.
Un buco nero nella media
Le immagini raccolte dal telescopio Hubble suggeriscono la presenza di un buco nero nell’ammasso stellare Omega Centauri (nell’immagine). Con una massa 8.200 volte maggiore di quella del Sole, sarebbe il secondo più grande nella nostra galassia. Secondo Nature potrebbe essere un candidato promettente per la categoria dei buchi nero intermedi, a metà tra quelli “supermassicci”, che sembrano trovarsi al centro della maggior parte delle galassie, e quelli più piccoli, con una massa equivalente a quella di una grande stella.
L’aviaria endemica
Il virus dell’influenza aviaria H5N1 del ceppo 2.3.4.4b potrebbe diventare endemico negli allevamenti di bovini degli Stati Uniti. In tal caso gli allevatori dovrebbero preoccuparsi ogni anno di eventuali focolai della malattia. Inoltre aumenterebbe il rischio di una mutazione del gene e di un salto verso gli esseri umani. Secondo Science è urgente introdurre ulteriori misure di controllo del virus.
Biologia L’ultimo antenato comune universale degli esseri viventi attuali potrebbe essere vissuto 4,2 miliardi di anni fa, poco dopo la formazione del pianeta, avvenuta circa 4,5 miliardi di anni fa. Secondo Nature Ecology and Evolution, a questo ipotetico microrganismo (nell’immagine) è possibile far risalire 2.600 geni che codificano per proteine. È possibile che questo microrganismo vivesse in un ecosistema composto anche da altre specie, e che si fosse già evoluto per resistere ai virus.
Genetica Lo scambio di materiale genetico tra umani moderni e neandertal è avvenuto in più fasi negli ultimi duecentomila anni. Oltre a influenzare l’evoluzione del genoma umano moderno, ha avuto conseguenze anche per i neandertal. Secondo uno studio pubblicato su Science, la presenza di geni umani nei neandertal potrebbe aver portato i ricercatori a sovrastimare la popolazione di quest’ultima specie.
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