Nelle elezioni legislative del 29 novembre i due partiti della coalizione di governo uscente, il liberale Fianna Fáil e il Fine Gael (centrodestra), hanno conquistato rispettivamente 48 e 38 seggi al dáil (la camera bassa irlandese). I nazionalisti del Sinn Féin, all’opposizione, ne hanno ottenuti 39. Il primo ministro dimissionario, Simon Harris ( nella foto) , del Fine Gael, aveva convocato le elezioni anticipate per consolidare il potere del suo partito, ma sembra aver perso la scommessa. Comunque “il duopolio Fianna Fáil-Fine Gael non è mai stato davvero messo in discussione”, scrive l’Irish Times. “Questo è il motivo per cui la campagna elettorale non ha mai preso realmente vita”.
Un governo senza scossoni
La sicurezza e la Nato
Mentre continuano gli attacchi russi sugli obiettivi civili ucraini, della guerra si è parlato al vertice della Nato a Bruxelles, il 3 e 4 dicembre. Sui tempi dell’ingresso di Kiev ci sono posizioni diverse tra gli alleati, ma il presidente Volodymyr Zelenskyj ha chiarito che l’Ucraina non acceterà garanzie di sicurezza diverse dalla piena integrazione.
Una conferma per i nazionalisti
Dopo la vittoria a sorpresa del candidato indipendente di estrema destra Călin Georgescu al primo turno delle presidenziali il 24 novembre, le legislative del 1 dicembre hanno confermato l’ottimo momento della destra populista romena. Il partito più votato è stato il Psd (Socialdemocratici, 22 per cento), ma le tre forze nazionaliste e filorusse – Aur, Sos Romania e Pot – insieme hanno preso il 32 per cento dei voti. Probabilmente il governo sarà comunque guidato dal Psd, che potrebbe allearsi con gli altri partiti tradizionali (i nazional-liberali del Pnl, i liberali di Usr e la forza della minoranza ungherese). In attesa del ballottaggio delle presidenziali, il Jurnalul National esprime preoccupazione per il successo della destra radicale, le cui idee “distruggono la coesione e la solidarietà alla base della democrazia. Non fare nulla di fronte a queste forze ha conseguenze devastanti”.
Macron al capolinea
Il 4 dicembre l’assemblea nazionale francese ha votato una mozione di sfiducia al governo guidato da Michel Barnier. In calendario ce n’erano due: una presentata dal Nuovo fronte popolare (Nfp, sinistra) e una dall’estrema destra del Rassemblement national. Le due forze politiche contestavano al premier la decisione di far passare la parte della legge di bilancio relativa al finanziamento dello stato sociale senza l’accordo del parlamento, una procedura che la costituzione francese prevede in via eccezionale nell’articolo 49 comma 3. Oltre ad aver innescato una crisi finanziaria, la crisi di governo mette a rischio anche il presidente Emmanuel Macron, che secondo Libération “è un re quasi nudo. Non ha più da tempo il suo fiuto politico né intorno a sé qualcuno che ce l’abbia al posto suo. Ha trascinato il paese in una delle crisi politiche più gravi della quinta repubblica”. E neppure la riapertura della cattedrale di Notre-Dame, l’8 dicembre a Parigi, “potrà aiutare a trovare la soluzione miracolosa”. ◆
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