È una piccola rivoluzione, anche se ancora incompiuta, e ha dato un po’ di respiro al governo italiano. Il 4 settembre Roma ha annunciato di aver chiuso il contenzioso con la Commissione europea sulle concessioni balneari. Una riunione tra la presidente del consiglio Giorgia Meloni e i due vicepresidenti del consiglio Matteo Salvini, leader della Lega, e Antonio Tajani, segretario di Forza Italia, ha sbloccato la situazione.
Salvini non voleva sentir parlare di regolamentazione del settore delle concessioni balneari, anche se questa era stata pazientemente negoziata per settimane con Bruxelles da Raffaele Fitto, ministro per gli affari europei e candidato alla carica di commissario europeo.
Da anni la Commissione chiedeva trasparenza e chiarezza nella gestione di queste aree del demanio, in modo che il settore delle concessioni si apra alla concorrenza. Secondo i dati del ministero del lavoro, in Italia gli stabilimenti balneari sono circa settemila e ci lavorano 300mila persone.
La direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi all’interno dell’Unione europea, adottata alla fine del 2006, prevede l’obbligo di assegnare le concessioni con una gara d’appalto, ma finora i vari governi che si sono succeduti sono sempre stati restii ad affrontare la “lobby dei balneari”, una categoria particolarmente potente. Per più di mezzo secolo, molte delle concessioni balneari italiane sono state tramandate di generazione in generazione, spesso in modo del tutto opaco. Secondo la società di consulenza Nomisma, lo stato incassa circa cento milioni di euro all’anno di canone per concedere in “affitto” le spiagge, una cifra insignificante per un settore che vale 15 miliardi di euro. La Commissione europea, esasperata dalla resistenza dell’Italia a regolamentare il settore, aveva avviato una procedura d’infrazione. Ma ora pare che l’ascia di guerra sia stata sotterrata. “La collaborazione tra Roma e Bruxelles ha permesso di trovare un equilibrio tra la necessità di aprire il mercato delle concessioni balneari e l’opportunità di proteggere le legittime aspettative degli attuali concessionari”, ha dichiarato palazzo Chigi in un comunicato. “Si tratta di una questione annosa e complessa che ora è chiusa”, ha aggiunto su X il ministro Fitto, di Fratelli d’Italia.
Gioco di equilibri
Nel tentativo di placare Bruxelles, il governo italiano ha approvato un decreto legge che introduce l’obbligo di mettere a gara le strutture balneari entro il giugno 2027. Secondo le nuove regole, le future concessioni delle spiagge avranno una durata minima di cinque anni e massima di venti. Il testo governativo specifica inoltre che spetterà al futuro gestore di uno stabilimento balneare rimborsare al precedente concessionario la parte di investimento effettuata e che non sarà ammortizzata.
La Commissione europea ha preso atto della volontà del governo Meloni di arrivare a una regolamentazione. Eric Mamer, portavoce della presidente Ursula von der Leyen, l’ha addirittura definito “un passo nella giusta direzione”.
Ma Bruxelles non sta dando un assegno in bianco e il decreto dovrà essere trasformato in legge e applicato. “La procedura d’infrazione rimarrà aperta finché l’Italia non sarà pienamente in linea con le norme europee”, ha avvertito la Commissione. Giorgia Meloni si trova ora di fronte a un lungo gioco di equilibri: dovrà vincere la resistenza del settore balneare, che teme per il proprio modello economico, e dovrà anche allinearsi finalmente ai criteri europei.
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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati