Il petroliere, il film di Paul Thomas Anderson sui primi anni dell’industria petrolifera californiana, contiene una scena spettacolare. Il futuro barone del petrolio Daniel Plainview ha appena costruito la sua prima torre di perforazione in legno su un giacimento. Durante una perforazione di prova, a cui assiste anche il figlio adottivo, un operaio perde il controllo della trivella. Dopo un sinistro brontolio sotterraneo, improvvisamente il petrolio inizia a sgorgare con una forza incredibile raggiungendo un’altezza di decine di metri. Il figlio di Plainview viene salvato appena prima che il geyser di petrolio prenda fuoco, ma l’esplosione gli fa perdere l’udito. Il messaggio è chiaro: il genio è uscito dalla bottiglia. È cominciata l’era del petrolio.
Questa scena non è solo un momento cruciale del film, ma mostra anche quanto fosse semplice estrarre il petrolio all’inizio del novecento. In molte zone bastava letteralmente fare un buco per terra per far sgorgare l’oro nero. Tutto questo però appartiene al passato. A parte forse in Arabia Saudita, estrarre petrolio e gas è diventato un’impresa. Man mano che i giacimenti accessibili si esaurivano, le aziende petrolifere hanno dovuto trivellare sempre più in profondità, con tecnologie sempre più avanzate, in luoghi sempre più inospitali. Grazie ai loro enormi investimenti nella ricerca e nello sviluppo le imprese petrolifere riescono ancora a spremere petrolio dalla crosta terrestre, ma devono “continuare a correre per riuscire a restare nello stesso posto”, come Alice in Attraverso lo specchio, il romanzo di Lewis Carroll.
I costi delle energie rinnovabili invece vanno in una sola direzione: verso il basso. Se negli ultimi cento anni il prezzo dei combustibili fossili aggiustato all’inflazione è rimasto invariato, quello delle rinnovabili è calato grazie alle economie di scala. Più pannelli solari escono dalle fabbriche, più si abbassa il loro costo. Dopo decenni di innovazioni, fotovoltaico, eolico e batterie sono ormai un trio molto competitivo sul mercato dell’energia.
Prendiamo quella solare. Quando nel 2015 è stato siglato l’accordo di Parigi, l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) prevedeva che nel 2040 l’energia solare sarebbe stata più cara delle fonti fossili. Sei anni dopo, con una svolta senza precedenti, l’Iea ha definito il solare la fonte di energia più economica in assoluto in alcune regioni del mondo.
L’istituto di ricerca Bloomberg new energy finance si è spinto oltre, affermando che nel 90 per cento del pianeta le energie rinnovabili sono più convenienti dei combustibili fossili. Anche nei Paesi Bassi l’era dei sussidi volge al termine. Nella provincia del Flevoland è stato presentato il progetto per il primo parco fotovoltaico senza aiuti statali, che occuperà venti ettari. E chi vuole costruire un parco eolico nel mare del Nord ormai deve battere un’agguerrita concorrenza per potersi aggiudicare l’appalto.
All’inizio le celle solari erano così care che potevano essere usate solo per i satelliti e, ironia della sorte, per le piattaforme petrolifere offshore
Una transizione rapida verso l’energia eolica e solare non è più il sogno dispendioso dei fanatici del clima, ma una scelta politica economicamente razionale. E più la transizione energetica viene portata avanti con decisione, meno salato sarà il conto. Nel 2006 il rapporto Stern calcolava che affrontare il cambiamento climatico sarebbe costato un sacco di soldi, circa l’1 per cento del pil mondiale ogni anno (un prezzo comunque inferiore rispetto a quello di non fare niente, stimato tra il 5 e il 20 per cento del pil).
Con il calo dei prezzi delle energie rinnovabili e delle batterie, la storia comincia a cambiare: combattere il cambiamento climatico abbandonando le fonti fossili può far risparmiare. Un rapporto della Oxford Martin school del 2020 sostiene che passare rapidamente a sole, vento e batterie in modo da rispettare l’obiettivo fissato dall’accordo di Parigi (cioè limitare l’aumento della temperatura media globale a meno di un grado e mezzo) farebbe risparmiare migliaia di miliardi di dollari.
Inoltre comincia a farsi strada la consapevolezza che bruciare i combustibili fossili è una delle principali cause di morte al mondo: provoca una morte su cinque. Da una ricerca dell’università di Harvard risulta che nel 2018 più di otto milioni di persone sono morte prematuramente per aver inalato aria inquinata dai combustibili fossili, più di quelle uccise dal fumo e dalla malaria messe insieme. E questi sono solo i morti: nel saggio Choked (2019), la giornalista statunitense Beth Gardiner spiega che numerosi studi collegano l’inquinamento atmosferico a patologie cardiache e vascolari, cancro, demenza, risultati scolastici peggiori e nascite premature.
Crescita esponenziale
È una soleggiata mattina d’autunno, e in un capannone nella zona industriale della città olandese di Eindhoven c’è puzza di plastica bruciata. Ovunque ci sono pannelli solari a diversi stadi di produzione. Alla Solarge sono costruiti ancora a mano, ma presto sarà pronta una fabbrica per produrre in serie una nuova generazione di pannelli. L’obiettivo, racconta il fondatore dell’azienda Gerard de Leede, è dare un nuovo involucro alle celle solari: mentre attualmente quasi tutti i pannelli sono realizzati in alluminio e vetro, la Solarge ha progettato un pannello a base di plastica, un materiale più facile da riciclare e che può essere prodotto usando molta meno energia.
De Leede, cinquant’anni, mi mostra un pannello solare riscaldato ben oltre i cento gradi (la temperatura esatta è un segreto commerciale). Il calore ha fatto staccare la plastica, scoprendo le celle solari. In questo modo, spiega De Leede, è possibile separare e riutilizzare i preziosi componenti di un pannello dismesso, come l’argento, il rame e il silicio. Un altro vantaggio è che un pannello di plastica pesa la metà di uno tradizionale, e può essere installato anche sui tetti meno robusti. “La plastica ha un’immagine negativa perché viene quasi sempre prodotta per essere subito buttata via”, dice De Leede. “Ma è un materiale leggero e resistente, che può essere riusato all’infinito. Questa è la strada da seguire”.
La Solarge s’ inserisce in una lunga tradizione. Da quando i laboratori Bell realizzarono la prima cella solare moderna nel 1954, molti si sono chiesti come trasformare la luce solare in energia nel modo più efficiente e meno costoso possibile. All’inizio le celle solari erano così care che potevano essere usate solo per i satelliti e, ironia della sorte, per le piattaforme petrolifere offshore. Solo negli anni novanta i costi diminuirono abbastanza perché fosse possibile installarle sui tetti delle case. L’industria fotovoltaica europea fiorì.
Negli anni duemila la Cina è passata al comando, decisa a padroneggiare questa tecnologia e a battere i prezzi della concorrenza. Il resto è storia: le economie di scala, l’energia a basso costo per le fabbriche cinesi, i generosi sussidi statali – e, oggi lo sappiamo, il lavoro forzato degli uiguri nello Xinjiang – hanno ridotto drasticamente il prezzo dei pannelli solari. Negli ultimi cinquant’anni sono diventati mille volte meno cari, mentre la loro efficienza è raddoppiata.
Le conseguenze sono altrettanto spettacolari. Dall’inizio degli anni novanta, la capacità installata globale è cresciuta in media del 44 per cento all’anno. Nei Paesi Bassi è quintuplicata rispetto al 2015. In questo momento sono al quarto posto nel mondo per watt pro capite prodotti da pannelli solari: solo Australia, Germania e Giappone fanno meglio. Una casa olandese su dieci ha dei pannelli solari sul tetto. Ed è solo l’inizio, dice De Leede. “Non ci sono motivi fondati per credere che il progresso si fermerà. Continuiamo a sottovalutare i pannelli solari, perché è una tecnologia che cresce in modo esponenziale. I suoi limiti sono ancora lontani”.
Secondo Olof van der Gaag, direttore dell’Associazione olandese per le energie sostenibili (Nvde), i Paesi Bassi – con la loro posizione geografica e la grande densità di popolazione – non se la caveranno solo con i pannelli fotovoltaici. “Ci sono due problemi da risolvere. Primo, l’offerta deve corrispondere alla domanda. Secondo, bisogna trovare lo spazio”.
Un mare di possibilità
Sulla spiaggia di Wijk aan Zee, davanti agli hotel dall’aria un po’ desolata, c’è una gigantesca montagna di sabbia. Presto qui saranno posati degli enormi cavi elettrici. Una speciale scavatrice subacquea appena arrivata da Taiwan sta scaldando i motori. Jasper Vis, che lavora al progetto del North sea wind power hub per conto del gestore della rete elettrica TenneT, indica l’orizzonte. Decine di pale dei parchi eolici di Amalia ed Egmond aan Zee ruotano placide, lontane ma ben visibili. “All’epoca quei parchi ci sembravano enormi” dice. “Gli impianti che saranno collegati a questi cavi saranno dieci volte più grandi”.
I parchi eolici nel mare del Nord sono un tassello importante nella soluzione dei due problemi accennati da Van der Gaag. Nel corso dell’anno, sole e vento si integrano bene: in inverno e autunno il vento è più forte, mentre in primavera ed estate il sole splende di più. E di spazio ce n’è abbastanza: anche escludendo le rotte di navigazione, il tratto di mare del Nord che appartiene ai Paesi Bassi è più grande della loro estensione sulla terraferma. Un altro vantaggio: non ci sono abitanti che possano contestare i progetti in tribunale. Al tavolo siedono solo l’industria nautica, il settore della pesca e le organizzazioni ambientaliste: un quadro non troppo complesso.
Ogni volta che la capacità installata di impianti fotovoltaici, eolici e batterie raddoppia, i costi diminuiscono di una percentuale fissa
Vis, che non dimostra i suoi cinquant’anni, si esprime con precisione. La sera cura un blog in cui corregge gli errori dei mezzi d’informazione ed elenca pazientemente tutti i fatti sulla transizione energetica, come le innovazioni nel campo delle turbine eoliche. Le pale più lunghe compiono una rotazione più ampia, ma arrivano anche più in alto, dove il vento soffia più forte e più spesso. Impianti più grandi non significano quindi solo più potenza, ma anche più energia nel corso dell’anno.
L’eolico offshore è interessante anche dal punto di vista logistico. Se sulla terraferma le turbine si scontrano con i limiti materiali del trasporto, in mare tutto può diventare più grande. Ormai ci sono aziende che costruiscono navi speciali per il trasporto di megaturbine che non passerebbero dalle strade. “Inoltre continuiamo ad alzare il voltaggio, in modo che negli stessi cavi passi più corrente”, dice Vis. “In Germania la TenneT ha imparato molto sulla corrente continua ad alta tensione. È una tecnologia necessaria se si vogliono posare cavi sottomarini su lunghe distanze”.
Le economie di scala, la frequenza regolare degli appalti e le “prese” installate in mare da TenneT hanno aiutato ad abbassare di molto i costi dell’eolico offshore. Nel 2012 il premier olandese Mark Rutte diceva che le turbine eoliche funzionavano solo grazie ai sussidi e che non avevano nessuna possibilità di successo. Sei anni dopo, nel 2018, è stato appaltato il primo parco offshore senza aiuti pubblici. Secondo Thijs ten Brinck, esperto di energie rinnovabili, il successo dell’eolico offshore olandese è anche una questione di tempi. “I Paesi Bassi hanno cominciato a investire in questo settore relativamente tardi. Altri paesi, come la Danimarca e la Germania, si sono mossi prima e hanno abbassato i prezzi”.
Nel frattempo siamo arrivati al centro visitatori di una nuova stazione di alta tensione a Beverwijk. Jasper Vis mi mostra una cartina del mare del Nord con i parchi eolici in costruzione. Grazie all’enorme espansione dell’eolico offhsore, Vis si aspetta che nel 2030 tre quarti di tutta l’energia elettrica consumata nei Paesi Bassi verranno da fonti sostenibili. Ma secondo lui stiamo per passare a un livello ancora superiore: gli hub energetici. Si tratta di enormi prese di corrente al centro del mare del Nord condivise da Paesi Bassi, Regno Unito, Belgio, Norvegia, Danimarca e Germania. Queste strutture non hanno solo il vantaggio di abbassare i costi per l’allacciamento di nuovi parchi eolici, ma anche di migliorare l’affidabilità del servizio grazie all’unione di varie reti elettriche nazionali. “La Danimarca sarà la prima a costruire un hub marino”, dice Vis. “Sarebbe logico seguirla. Più siamo legati ai nostri vicini, meglio è”.
La legge di Wright
Naturalmente il passaggio all’energia rinnovabile avrà dei costi, dice Auke Hoekstra, “ma non è diverso dal fare dei lavori di efficientamento energetico in casa che portano a risparmiare sulle bollette”. Hoekstra, della società di consulenza Zenmo, sa di cosa parla. Negli ultimi anni si è fatto costruire una casa talmente ben isolata da non aver quasi bisogno di accendere il riscaldamento. Come mai c’è voluto tanto perché la crescita delle energie rinnovabili fosse presa sul serio? “Quasi nessuno nel mondo dell’energia è in grado di comprendere la crescita esponenziale della tecnologia”, risponde Hoekstra. “È qualcosa di antintuitivo”. Gli esperti della Iea continuano a prevedere una crescita lineare delle energie rinnovabili. Per la frustrazione, Hoekstra ha messo a confronto le previsioni sbagliate fatte dall’agenzia per 16 anni consecutivi con i dati reali. Ogni anno lo stesso errore: prevedevano che la crescita sarebbe stata lineare e che il calo dei costi avrebbe avuto limiti rigidi. “Il successo dell’energia sostenibile non è una sorpresa per me”, afferma Hoekstra. “Circa quindici anni fa mi sono reso conto che c’era un’analogia con lo sviluppo dei computer e di internet. Per prevedere il futuro dell’energia sostenibile basta guardare alle tendenze del passato”.
È esattamente quello che hanno fatto i ricercatori della Oxford Martin school negli ultimi anni. Un loro studio del 2020 mostra che il fotovoltaico – come anche l’eolico e le batterie – segue un percorso di crescita perfettamente prevedibile, in linea con quello di altre tecnologie come microchip, telefoni, computer e televisori. Ogni volta che la capacità installata di impianti solari, eolici e batterie raddoppia, i costi diminuiscono di una percentuale fissa: è la curva di Wright, che deve il suo nome all’ingegnere statunitense Theodore Paul Wright.
Nel 1936 Wright pubblicò per conto del ministero della difesa una ricerca sulla produzione aeronautica, arrivando alla conclusione che se la produzione raddoppiava, il costo per aereo diminuiva di una percentuale fissa. Più aerei si producevano, più il processo di produzione si ottimizzava. Solo costruendo qualcosa si impara a farlo bene. La legge di Wright sarebbe stata applicata con successo a più di cinquanta tecnologie. Anche la famosa legge di Moore, secondo cui il numero di transistor nei microchip raddoppia ogni anno e mezzo, è risultata meno accurata della curva di Wright. Secondo i ricercatori della Oxford Martin school quattro tecnologie chiave – pannelli solari, turbine eoliche, batterie e celle elettrolitiche (che producono idrogeno a partire da acqua ed elettricità) – sembrano seguire la curva di Wright e possono abbattere drasticamente i costi dell’energia. Questo spiega il crescente divario tra i prezzi delle fonti fossili e quelli delle rinnovabili: queste ultime non sono gravate dal costo del combustibile. La luce del sole e il vento sono gratis. Tutti i miglioramenti tecnologici si riflettono quindi direttamente sul prezzo dell’elettricità. “Bastano altri dieci anni di crescita esponenziale per fotovoltaico, eolico, batterie ed elettrolisi, e nel 2045 sarà possibile avere un sistema energetico a emissioni zero”, conclude lo studio.
Thijs ten Brinck non è così ottimista. Secondo lui non è scontato che le fonti rinnovabili diventeranno più convenienti di quelle fossili anche nei Paesi Bassi, soprattutto a causa della geografia. “È vero che i costi dei pannelli solari e delle turbine eoliche stanno calando in modo spettacolare. E il bello del solare e dell’eolico è che possono essere ampliati con incredibile rapidità. Ma per questo ci vuole spazio, che nei Paesi Bassi è scarso e quindi caro”. Per il momento, spiega, le centrali fossili devono restare in funzione, per poter intervenire quando non c’è abbastanza sole o vento. Anche se servissero solo una volta all’anno, sono una sicurezza che va pagata.
Secondo Ten Brinck il costo delle infrastrutture, come i cavi dell’alta tensione, non è destinato a calare molto nel futuro immediato. Inoltre il sistema energetico olandese è già efficiente in termini di costi. “Il carbone costa pochissimo, è impossibile batterlo sotto questo aspetto. Appena sarà stabilito un prezzo adeguato per le emissioni di anidride carbonica, le rinnovabili passeranno in vantaggio. Ma questo non renderà l’energia più conveniente”.
Lingua franca
“Si mangia in mensa”. Ed van Roon lo dice in tono amichevole ma deciso a un camionista austriaco che ha appena addentato una mela. L’uomo lo guarda stupito, si sposta un po’ più in là e continua tranquillamente a mangiare. Van Roon lascia perdere. Ha molto da raccontare mentre mi guida attraverso un cantiere grande come 23 campi da calcio a Beverwijk, dov’è in costruzione la più grande stazione di trasformazione dei Paesi Bassi. Le regole di sicurezza sono severe. Tra non molto qui la tensione arriverà a 380mila volt. Alla fine del 2023 in questo impianto più di due gigawatt di corrente provenienti da tre nuovi parchi eolici saranno trasformati in alta tensione per la rete nazionale. “Presto qui arriverà tanta energia che un solo errore potrebbe mandare in tilt l’intera rete elettrica europea”, spiega Van Roon, che supervisiona i lavori per conto della TenneT.
Anche se l’elettrificazione procede a pieno ritmo, nell’aria c’è odore di carbone bruciato. Treni carichi di grandi bobine d’acciaio laminato passano davanti ai cancelli del cantiere. Siamo praticamente nel retrobottega delle acciaierie Tata. È già stato realizzato un gigantesco allacciamento elettrico per lo stabilimento, che di recente ha annunciato la riconversione dal carbone all’idrogeno. I camion vanno e vengono. Ogni tanto dobbiamo farci da parte per lasciar passare scavatrici e pulmini di operai. La transizione energetica qui va a pieni giri.
La TenneT, l’azienda pubblica che costruisce e gestisce le reti dell’alta tensione nei Paesi Bassi e in parte della Germania, sta vivendo il periodo più frenetico della sua storia. Nei prossimi dieci anni investirà più di venti miliardi di euro nell’ampliamento della rete, e tra le altre cose è prevista una nuova “presa di corrente” ogni anno per i parchi eolici offshore.
Anche il passo deve aumentare. Il mondo ha di fronte un compito formidabile: l’elettrificazione di tutto. L’elettricità rappresenta una parte sempre più grande del consumo di energia. Non è solo il software a “mangiare” il mondo, come disse il guru della Silicon valley Marc Andreessen, ma anche l’elettricità. Dopo decenni di stagnazione, la domanda di elettricità sta aumentando stabilmente. “Non si tratta solo di sostituire i combustibili”, scrive l’inventore e imprenditore delle energie sostenibili Saul Griffith in Electrify: an optimist’s playbook for our clean energy future (2021). “Dobbiamo anche cambiare le macchine”.
Tutto ciò che viaggia su strada, aria o acqua diventerà elettrico: prima gli autoveicoli, poi, quando la tecnologia delle batterie sarà matura, anche navi e aerei. Le industrie che usano il carbone e il gas stanno passando all’idrogeno prodotto in modo sostenibile. Il riscaldamento domestico sta passando dal gas alle pompe di calore elettriche. L’elettricità diventa il substrato su cui si muoverà la civiltà mondiale. In un certo senso è inevitabile, scrive Griffith, perché è la forma di energia più efficiente e flessibile che ci sia, la “lingua franca” dell’energia, applicabile universalmente.
La quantità di luce solare che colpisce la superficie terrestre in un’ora basta a coprire il fabbisogno mondiale di energia per un anno
Allo stesso tempo, l’elettrificazione di tutto è il passo più grande verso l’efficienza che l’umanità può fare. Anche la più moderna delle auto a combustione interna disperde due terzi dell’energia sotto forma di calore. Un’auto elettrica invece ne spreca solo il dieci per cento. Lo stesso vale per le pompe di calore: per una parte di elettricità, una pompa di calore estrae quattro parti di calore dall’aria o dal terreno, un’efficienza quattro volte superiore a quella di una caldaia a gas. Un altro grande progresso è poter fare a meno dell’estrazione, della raffinazione e del trasporto dei combustibili fossili, che assorbono almeno un decimo dell’energia mondiale. L’industria fossile causa un gigantesco movimento di materie prime: negli Stati Uniti la metà di tutti i trasporti su rotaia è rappresentata dal carbone. Il quaranta per cento di tutta l’industria navale mondiale serve al trasporto di combustibili fossili. Il passaggio all’elettricità metterà fine a tutto questo. “Le fonti rinnovabili e l’elettrificazione comportano una perdita di energia molto inferiore”, conferma Ten Brinck. “Quindi c’è bisogno di molta meno energia”. In Electrify, Griffith calcola che la completa elettrificazione degli Stati Uniti ridurrebbe del 57 per cento il consumo di energia.
E più l’economia si elettrifica, più è facile prevedere e gestire il tutto. Proprio com’è successo con internet, più persone vi partecipano, più il sistema migliora. Ma per collegare tutte queste cose bisognerà costruire. Le sole reti intelligenti non bastano: la rete elettrica ha bisogno di grandi interventi. “Nel corso dei decenni abbiamo usato sempre di più l’elettricità. Non è mai stato un problema”, dice Thijs ten Brinck. “Ampliare periodicamente la rete è la norma. I costi sono alti, ma in cambio si ottiene molto”.
Una conseguenza di tutte queste nuove macchine è che ci sarà una grande richiesta di materiali man mano che il nuovo sistema sarà esteso. L’industria mineraria rappresenta già la più grande fonte di rifiuti prodotti dagli esseri umani, ed è uno dei settori con le più elevate emissioni di anidride carbonica. “Dovremo stare attenti, altrimenti per salvare l’atmosfera distruggeremo una parte della Terra”, avverte Hoekstra. Secondo lui bisogna dare la priorità alle tecniche di estrazione sostenibile: alimentate con fonti rinnovabili e lontano da ecosistemi vulnerabili. L’azienda mineraria svedese Sandvik ha già annunciato di voler elettrificare completamente le sue attività a partire dal 2030.
Ma per Hoekstra non bisogna perdere di vista le proporzioni. Il settore minerario è un problema serio, ma in definitiva molto meno grave e più facile da risolvere del cambiamento climatico. “Un’auto a combustione interna emette nel corso della sua vita circa cento tonnellate di anidride carbonica. Una batteria ne produce pochi quintali, e alla fine del suo ciclo può essere completamente riciclata”.
Sole in abbondanza
Ogni secondo, a una temperatura superiore ai quindici milioni di gradi, nel nucleo del Sole circa seicento milioni di tonnellate di idrogeno si trasformano in elio attraverso la fusione nucleare. L’energia liberata da questo processo comincia un viaggio verso la superficie che può durare 170mila anni. Una volta arrivata alla superficie del Sole, l’energia può finalmente sfuggire sotto forma di radiazione elettromagnetica, anche detta luce solare. Solo una minuscola frazione raggiunge la Terra e attraversa l’atmosfera. Eppure questa minuscola frazione è già moltissimo: la quantità di luce solare che colpisce la superficie terrestre in un’ora basta a coprire il fabbisogno mondiale di energia per un anno.
“Meno dello 0,3 per cento della superficie terrestre è sufficiente a ricavare dalla luce solare tutta l’energia di cui abbiamo bisogno”, scrive l’istituto di ricerca Carbon tracker nel rapporto del 2021 The sky’s the limit. “È uno spazio più piccolo di quello che attualmente è usato per l’estrazione dei combustibili fossili”.
Difficile da immaginare? Prendiamo il giacimento petrolifero di Ghawar, in Arabia Saudita, uno dei più grandi e produttivi del mondo, che si estende sotto più di ottomila chilometri quadrati di deserto. Se sopra al giacimento – nel deserto, dunque – fosse installato un parco solare, fornirebbe il doppio dell’energia rispetto a quella del petrolio che viene estratto. L’abbondanza di luce solare è una buona notizia. Il mondo non ha una carenza di energia, ma una carenza di conoscenze su come trasformare la luce solare in energia utilizzabile.
Circa settecento milioni di persone vivono in posti soleggiati senza avere accesso all’elettricità. Quasi quattro persone su cinque vivono in un paese che dipende dall’importazione di combustibili fossili. Gli stati più poveri e con la popolazione che cresce più rapidamente, come la Nigeria, l’India e l’Indonesia, si trovano in una posizione geografica perfetta per saltare l’era fossile e passare direttamente a quella dell’energia solare.
Secondo Carbon tracker questi paesi rientrano nella categoria “superabbondante” dell’età delle energie sostenibili. In un’era di pannelli solari a buon mercato, potrebbero diventare i nuovi vincitori. “Milioni di persone avranno l’accesso all’energia, specialmente nei paesi a basso reddito”, scrive Kingsmill Bond, autore del rapporto. “Quando gli stati saranno liberati dall’importazione di petrolio, carbone e gas, la geopolitica sarà rivoluzionata”.
Bond prevede un cambio di prospettiva: dalla ripartizione dei costi delle misure per il clima a quella dei benefici che le stesse misure offriranno alla maggior parte dei paesi. Questo garantirà la sicurezza energetica e nuove opportunità economiche. I paesi baciati dal sole potranno diventare esportatori di prodotti che richiedono grandi quantità di energia, o anche esportatori di elettricità.
I progetti si susseguono senza sosta. Se fino a poco fa il cavo elettrico NorNed tra la Norvegia e i Paesi Bassi era il più lungo al mondo con i suoi 580 chilometri (recentemente è stato superato dai 720 chilometri del North sea link tra Norvegia e Regno Unito), oggi l’Australia e Singapore vogliono costruire un cavo che trasporterà per più di 4.200 chilometri l’energia solare prodotta nelle vastità dell’Australia settentrionale fino alla sovraffollata Singapore. Intanto il Regno Unito studia un collegamento elettrico diretto con il Marocco, paese ricco di sole e di vento.
Ma ci sono idee ancora più ambiziose. Di recente il Cile ha lanciato il progetto di un collegamento elettrico intercontinentale tra gli altipiani aridi e assolati del deserto di Atacama e la Cina, che sarebbe lungo quindicimila chilometri e attraverserebbe dieci fusi orari. I contorni di un’“internet dell’energia” mondiale – una rete ad alto voltaggio che avvolgerebbe tutto il mondo e avvicinerebbe la domanda e l’offerta di energia sostenibile – diventano sempre più nitidi.
Soluzioni creative
Mentre la maggior parte del mondo dispone di luce solare a volontà, i ricchi paesi dell’Europa occidentale come la Germania, i Paesi Bassi e la Danimarca appartengono, secondo Carbon tracker, alla minoranza che dovrà sfruttare tutte le opportunità disponibili. Per la combinazione tra elevata densità di popolazione e posizione geografica, i Paesi Bassi dovranno essere creativi.
Bisognerà installare pannelli solari dappertutto: su tetti, capannoni, parcheggi e perfino sull’acqua. Idee che fino a poco tempo fa sembravano irrealizzabili, come i parchi solari marini, dovranno essere prese in considerazione. Startup olandesi come SolarDuck e Oceans of Energy sono già al lavoro.
Nel frattempo la domanda di energia dovrà essere ridotta da milioni di pompe di calore e auto elettriche.
Una delle conseguenze è che i Paesi Bassi non saranno più la sede ideale per alcune industrie, come le acciaierie. “Il gas a buon mercato ci ha reso uno dei luoghi preferiti dalle industrie energivore”, spiega Thijs ten Brinck. “C’è da chiedersi se in un mondo basato sull’energia sostenibile sarà ancora così. Io credo di no. Prodotti che richiedono grandi quantità di energia, come il concime artificiale e l’acciaio, potranno essere realizzati altrove a prezzi più competitivi”.
L’Europa occidentale è l’eccezione alla regola. Per la maggior parte dell’umanità l’energia a basso costo diventerà la nuova normalità. E come l’invenzione della macchina a vapore ha reso possibile il treno e le fabbriche, l’abbondanza di energia ottenuta dal sole e dal vento trasformerà l’economia mondiale. Per esempio, sarà più conveniente e sostenibile sintetizzare i combustibili direttamente da acqua e anidride carbonica. Il cibo potrà essere coltivato tutto l’anno in serre illuminate a led, nel bel mezzo del deserto, senza pesticidi, con uno spreco minimo di acqua e vicino ai centri urbani. Milioni di persone nei paesi poveri potranno permettersi l’aria condizionata.
Cosa altrettanto importante, l’elettricità a basso costo renderà economicamente possibile rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera. Aziende come la canadese Carbon Engineering e la svizzera Climaworks hanno già cominciato a filtrare il gas direttamente dall’aria, mentre nel 2021 Elon Musk ha offerto un premio di cento milioni di dollari a chi svilupperà un’innovazione tecnologica in grado di rendere l’estrazione più economica.
Anche la Silicon valley sembra essersi svegliata. Terraformation, fondata all’inizio del 2022 dall’amministratore delegato di Reddit, vuole piantare più di un miliardo di ettari di alberi desalinizzando l’acqua marina attraverso pannelli solari a basso costo. L’idea è usare l’acqua per riportare in vita deserti e altri territori aridi e assorbire grandi quantità di carbonio nella vegetazione in crescita. L’energia a basso costo, insomma, permetterà agli esseri umani di regolare i gas serra nell’atmosfera come una sorta di termostato con cui controllare il clima.
“Ultimamente sono diventato molto più ottimista sul nostro futuro. Ora penso che il cambiamento climatico può essere fermato prima che diventi una minaccia alla nostra sopravvivenza”, dice Auke Hoekstra. “Il ritmo dev’essere accelerato, ma se non altro gli sviluppi vanno nella giusta direzione. E quello che mi preme più di tutto è diffondere questo messaggio di speranza”.◆ vf
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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati